Pop Corn
Lovelace: l’amara biografia della pornodiva di Gola Profonda
Da star dell’hard a salvatrice di se stessa, la vera storia di Linda Boreman
martedì 13 maggio 2014
2.11
Scorre la pellicola, mentre il regista guida lo spettatore fino a porlo nel mezzo della vicenda, ci si aspetta che da un momento all'altro prorompa in scena una bellezza esagerata, super truccata, ardita e sconcia che in realtà non apparirà mai. Ci si aspetta che compaia sullo schermo un'attrice pornografica e invece una fragile fanciullesca Amanda Seyfried interpreta la protagonista del film Linda Boreman in arte Lovelace. Per gli impreparati potrebbe sembrare un film come un altro, che racconta la storia esacerbata di una pornodiva pentita, ma Lovelace coglie di sorpresa rivelando importanti passi, talvolta anche macabri, di un'esistenza che la fantasia non avrebbe mai potuto elaborare.
Linda, giovane costretta a sottostare al regime autoritario e puritano della famiglia, non perde l'occasione di fuggire con Chuck Traynor (nel film Peter Sarsgaard) e dopo averlo sposato intraprende con il suo sostegno una carriera pornografica, producendo quello (e vari sequel) che rappresenterà l'emblema della rivoluzione sessuale degli anni '70, il celebre porno cult Gola Profonda, in lingua Deep Throat, nel biopic rappresentato, essendo la pellicola in mainstream, nei suoi aspetti meno scabrosi e più goldoniani. Da liberatore ad aguzzino la figura del marito di Linda si evolve nella pellicola, rappresentando il fragile filo narrativo su cui la trama viaggia ad una velocità psicologica tutta al femminile, il duo alla regia (Rob Epstein e Jeffrey Friedman) sceglie infatti di privilegiare la prospettiva che Lovelace dopo aver svestito i panni della pornodiva, darà della sua vita nell'autobiografia Ordeal (Calvario).
Basta poco perché l'atmosfera da frivola e quasi divertente diventi tetra, con il tratteggio dell'amara esistenza di una povera fanciulla sottomessa al suo destino come una principessa prima salvata e poi maltrattata. E' proprio questa infatti l'ingenua immagine che la Seyfried rimanda di una che fu invece tra le più celebri e celebrate attrici a luci rosse degli anni '70. La critica infatti ha rinviato a giudizio il film dichiarandone l'inadeguatezza nel superficiale racconto di quelle che invece furono complesse vicende biografiche. Ciò che rattrista nel racconto del biopic è il ruolo giocato all'epoca delle vicende dalla bigotta madre di Linda (interpretata da un'irriconoscibile Sharon Stone). Negli anni '70 i tempi erano maturi perché si potesse vivere in libertà sfuggendo se necessario da un destino impervio e doloroso, ma la durezza mentale di una famiglia di provincia, abituata ad uno stanco ma tenace conformismo alle regole sociali non consente a Linda di trovare rifugio tra le braccia di sua madre per sfuggire al pericoloso marito. Sarà il prevalere dell'istinto di conservazione a garantire infatti una via di salvezza a quella che diventò tra le più tenaci sostenitrici dei diritti femminili e che si schierò criticamente contro lo sfruttamento dell'immagine e della bellezza delle donne nell'industria hard, affrontando una battaglia da vincitrice del proprio destino.
Linda, giovane costretta a sottostare al regime autoritario e puritano della famiglia, non perde l'occasione di fuggire con Chuck Traynor (nel film Peter Sarsgaard) e dopo averlo sposato intraprende con il suo sostegno una carriera pornografica, producendo quello (e vari sequel) che rappresenterà l'emblema della rivoluzione sessuale degli anni '70, il celebre porno cult Gola Profonda, in lingua Deep Throat, nel biopic rappresentato, essendo la pellicola in mainstream, nei suoi aspetti meno scabrosi e più goldoniani. Da liberatore ad aguzzino la figura del marito di Linda si evolve nella pellicola, rappresentando il fragile filo narrativo su cui la trama viaggia ad una velocità psicologica tutta al femminile, il duo alla regia (Rob Epstein e Jeffrey Friedman) sceglie infatti di privilegiare la prospettiva che Lovelace dopo aver svestito i panni della pornodiva, darà della sua vita nell'autobiografia Ordeal (Calvario).
Basta poco perché l'atmosfera da frivola e quasi divertente diventi tetra, con il tratteggio dell'amara esistenza di una povera fanciulla sottomessa al suo destino come una principessa prima salvata e poi maltrattata. E' proprio questa infatti l'ingenua immagine che la Seyfried rimanda di una che fu invece tra le più celebri e celebrate attrici a luci rosse degli anni '70. La critica infatti ha rinviato a giudizio il film dichiarandone l'inadeguatezza nel superficiale racconto di quelle che invece furono complesse vicende biografiche. Ciò che rattrista nel racconto del biopic è il ruolo giocato all'epoca delle vicende dalla bigotta madre di Linda (interpretata da un'irriconoscibile Sharon Stone). Negli anni '70 i tempi erano maturi perché si potesse vivere in libertà sfuggendo se necessario da un destino impervio e doloroso, ma la durezza mentale di una famiglia di provincia, abituata ad uno stanco ma tenace conformismo alle regole sociali non consente a Linda di trovare rifugio tra le braccia di sua madre per sfuggire al pericoloso marito. Sarà il prevalere dell'istinto di conservazione a garantire infatti una via di salvezza a quella che diventò tra le più tenaci sostenitrici dei diritti femminili e che si schierò criticamente contro lo sfruttamento dell'immagine e della bellezza delle donne nell'industria hard, affrontando una battaglia da vincitrice del proprio destino.