Pop Corn
Le “mine vaganti”, gli amori impossibili e le ipocrisie del Sud
Ambientato a Lecce il nuovo film di Ferzan Ozpetek
domenica 14 marzo 2010
Una sposa di bianco vestita si aggira fra alberi di ulivi e campi dorati: è la campagna di Lecce, magica e luminosa, e questo sembra l'incipit di una favola d'altri tempi. Si traccia invece dei primi minuti di Mine vaganti, ultimo film del regista Ferzan Ozpetek. In realtà questo è solo un ricordo, perché la storia racconta di Tommaso (Riccardo Scamarcio al culmine delle sue capacità) e del suo ritorno in famiglia: lui vive a Roma, è laureato in Lettere – mentre tutti pensano che studi Economia e commercio – ama scrivere ed è gay. Tornare a casa significa scontrarsi con affetti lontani, come quello del fratello Antonio (un freddissimo Alessandro Preziosi) e la bigotta mentalità di una famiglia all'antica, dove i rigidi conformismi meridionali dei genitori (Ennio Fantaschini e Lunetta Savino) vengono mitigati dalla nonna (superba Ilaria Occhini), "mina vagante" della famiglia, saggia ma incompresa.
Dopo l'insopportabile Un giorno perfetto, il regista italo-turco si lascia alle spalle i toni pesanti ed eccessivi della tragedia per approdare ad una pellicola ben equilibrata, dove l'atmosfera leggera da commedia di genere è bilanciata da un costante sottofondo malinconico. Il tutto è impreziosito dalle interpretazioni azzeccatissime di personaggi spesso sopra le righe e volutamente comici nella loro drammaticità (per esempio, squisita Elena Sofia Ricci nei panni della zia alcolizzata e repressa), ma soprattutto dagli incantevoli paesaggi leccesi, incorniciati da una fotografia armonica e da giochi di luce che ne esaltano il candore: Lecce non è solo scenografia naturale, ma anche personaggio della storia, città che non è fatta solo da strade e palazzi, ma soprattutto da gente, luoghi comuni, mormorii e conformismi. Ed è contro questa realtà tradizionalista – tipicamente meridionale – che si scontra il microcosmo della famiglia, regno di ipocrisie e frustrazioni, mondo chiuso da cui il protagonista cerca di divincolarsi. Ma troppo spesso sono proprio gli affetti più cari a reprimere sogni, aspirazioni e personalità, in un susseguirsi di compromessi accettati con la forza per non destabilizzare l'ordine precostituito.
Il Sud raccontato da Ozpetek appare per quello che è, un mondo all'antica dove si fatica ancora ad accettare l'altro, il diverso, la "mina vagante" che può distruggere la realtà ovattata sotto cui ci si maschera. Prima vittima di questo circolo vizioso è la nonna: era lei la sposa che correva per i campi, lei la sognatrice schiacciata dai conformismi, lei la saggezza che fuggiva dalla prigione che la circondava. In una Puglia che non cambia, sarà lei la prima a soccombere, ma non senza prima salutare il suo amore negato e la città che – nonostante tutto – le ha sempre donato tanto.
Dopo l'insopportabile Un giorno perfetto, il regista italo-turco si lascia alle spalle i toni pesanti ed eccessivi della tragedia per approdare ad una pellicola ben equilibrata, dove l'atmosfera leggera da commedia di genere è bilanciata da un costante sottofondo malinconico. Il tutto è impreziosito dalle interpretazioni azzeccatissime di personaggi spesso sopra le righe e volutamente comici nella loro drammaticità (per esempio, squisita Elena Sofia Ricci nei panni della zia alcolizzata e repressa), ma soprattutto dagli incantevoli paesaggi leccesi, incorniciati da una fotografia armonica e da giochi di luce che ne esaltano il candore: Lecce non è solo scenografia naturale, ma anche personaggio della storia, città che non è fatta solo da strade e palazzi, ma soprattutto da gente, luoghi comuni, mormorii e conformismi. Ed è contro questa realtà tradizionalista – tipicamente meridionale – che si scontra il microcosmo della famiglia, regno di ipocrisie e frustrazioni, mondo chiuso da cui il protagonista cerca di divincolarsi. Ma troppo spesso sono proprio gli affetti più cari a reprimere sogni, aspirazioni e personalità, in un susseguirsi di compromessi accettati con la forza per non destabilizzare l'ordine precostituito.
Il Sud raccontato da Ozpetek appare per quello che è, un mondo all'antica dove si fatica ancora ad accettare l'altro, il diverso, la "mina vagante" che può distruggere la realtà ovattata sotto cui ci si maschera. Prima vittima di questo circolo vizioso è la nonna: era lei la sposa che correva per i campi, lei la sognatrice schiacciata dai conformismi, lei la saggezza che fuggiva dalla prigione che la circondava. In una Puglia che non cambia, sarà lei la prima a soccombere, ma non senza prima salutare il suo amore negato e la città che – nonostante tutto – le ha sempre donato tanto.