Pop Corn
Interstellar: per un altro mondo possibile
La scienza filosofica di Christopher Nolan
domenica 16 novembre 2014
13.19
Il genere ufficiale è quello della fantascienza ma, a ben guardare, l'aspettativa viene disattesa: questo viaggio filmico è umano, terribilmente umano. C'è fame e i campi sono aridi; c'è bisogno di respirare e vola sabbia; è necessaria un'altra vita e c'è Cooper. Un Matthew McConaughey (reduce dall'Oscar di Dallas buyers club) lacerato dal suo essere individuo e dal suo essere specie; individuo per i suoi figli, specie per l'intera umanità. Un principio di responsabilità jonasiano guida Cooper e la sua squadra verso un'altra galassia, alla ricerca di possibili forme di vita in cui collocare gli esseri umani di un pianeta Terra sull'orlo del collasso. Una sorta di estremo messianismo è l'involucro avvolgente di un film che avverte la presenza incombente del futuro, l'esigenza di avere braccia che si curino della terra, perché gli uomini sono stati partoriti qui, ma non sono destinati a morirci.
E nello spazio, i coraggiosi esploratori che vivono oltre la terza dimensione, oltre quella vita terrena e maligna, trovano la fine dei loro giorni perché "qui nello spazio conosciamo la morte, ma non il male" sussurra il Dottor Brand: un'Anne Hathaway virile e muliebre, figlia di un uomo che da 40 anni finge di lavorare a un'equazione già risolta, ma che a tutti fa credere come la soluzione alla vita terrena. Un'Anne Hathaway testarda e frammentata dalla passione per un pioniere morto; perché oltre il nostro sistema solare non ci sono schemi per il genere, per l'amore, per la vita. Tutto va oltre le dimensioni spazio-temporali e si confonde in un orizzonte olistico fatto di acqua, ghiaccio, fuoco e aria nell'etere dell'esistenza umana. "Una volta alzavamo la testa al cielo e ci sentivamo parte di un unico firmamento, adesso chiudiamo gli occhi verso il basso, verso il mare di fango" espira Cooper, seduto sul presbiterio della sua fattoria, come un veggente che rivolge lo sguardo verso la nudità del suo raccolto e della sua prole.
Nolan ci sbatte ancora in faccia la realtà allucinata della nostra incoscienza, pur allontanandosi dalla dimensione onirica di Inception e da quella mnemonica di Memento e firma con la sua abilità visionaria un attualissimo capolavoro. Abbiamo esaurito le risorse della Terra e l'energia di quest'aria. Salvare la specie umana diventa necessario; ma qualcuno ci ha voluto bene e ha rallentato il processo estintivo interponendo un Warm Hall tra la costruzione e la distruzione. Tocca a Cooper e al Dott. Brand la missione di estinguere il pericolo, ma lassù nulla è già possibile; sulla Terra qualcosa lo è ancora, ma ci vuole comunicazione, empatia. Ed è nell'intelligenza emotiva di Murphy a risiedere la salvezza planetaria: un contatto fantasmagorico con suo padre, la trascrizione in codice binario scrive il futuro e lo rende leggibile in un spazio circolare, un'orbita di Saturno chiamata Cooper, in onore di Murphy Cooper. Non c'è più tempo per la linearità, la verticalità e il determinismo; la vita sta in una sfera, senza angoli oscuri o sponde marginali. La circolarità dell'amore, l'assurdità di avere 124 anni e vedere morire la propria figlia, di perdersi nella contemplazione aerea di case costruite su un suolo scoperto grazie alla sola fede cardiocentrica.
Nolan come Kubrick e il suo 2001: odissea nello spazio? "Non abbiamo più bisogno di ingegneri, ma di agricoltori esperti": questa non è fantascienza, ma cruda realtà. Gli effetti speciali sono causati dall'ordinarietà degli esperimenti Nasa, lo studio della gravità è lo studio su quanto pesano le nostre credenze e su quanto siamo pronti a portarle avanti. Il montaggio ansimante tra lo spazio, la fattoria e la libreria ci immerge in un contatto metafisico tra le varie galassie che non conosce tempo, un tempo troppo bergsoniano per guardare l'orologio; ancora una volta non è il sistema (solare) a preservare la vita, ma la vita stessa. Nolan come Heidegger: ci ha gettati nel mondo della pellicola e a noi ha conferito il compito di rialzarci. Ancora una volta: mera fantascienza? No, post-umanesimo.
E nello spazio, i coraggiosi esploratori che vivono oltre la terza dimensione, oltre quella vita terrena e maligna, trovano la fine dei loro giorni perché "qui nello spazio conosciamo la morte, ma non il male" sussurra il Dottor Brand: un'Anne Hathaway virile e muliebre, figlia di un uomo che da 40 anni finge di lavorare a un'equazione già risolta, ma che a tutti fa credere come la soluzione alla vita terrena. Un'Anne Hathaway testarda e frammentata dalla passione per un pioniere morto; perché oltre il nostro sistema solare non ci sono schemi per il genere, per l'amore, per la vita. Tutto va oltre le dimensioni spazio-temporali e si confonde in un orizzonte olistico fatto di acqua, ghiaccio, fuoco e aria nell'etere dell'esistenza umana. "Una volta alzavamo la testa al cielo e ci sentivamo parte di un unico firmamento, adesso chiudiamo gli occhi verso il basso, verso il mare di fango" espira Cooper, seduto sul presbiterio della sua fattoria, come un veggente che rivolge lo sguardo verso la nudità del suo raccolto e della sua prole.
Nolan ci sbatte ancora in faccia la realtà allucinata della nostra incoscienza, pur allontanandosi dalla dimensione onirica di Inception e da quella mnemonica di Memento e firma con la sua abilità visionaria un attualissimo capolavoro. Abbiamo esaurito le risorse della Terra e l'energia di quest'aria. Salvare la specie umana diventa necessario; ma qualcuno ci ha voluto bene e ha rallentato il processo estintivo interponendo un Warm Hall tra la costruzione e la distruzione. Tocca a Cooper e al Dott. Brand la missione di estinguere il pericolo, ma lassù nulla è già possibile; sulla Terra qualcosa lo è ancora, ma ci vuole comunicazione, empatia. Ed è nell'intelligenza emotiva di Murphy a risiedere la salvezza planetaria: un contatto fantasmagorico con suo padre, la trascrizione in codice binario scrive il futuro e lo rende leggibile in un spazio circolare, un'orbita di Saturno chiamata Cooper, in onore di Murphy Cooper. Non c'è più tempo per la linearità, la verticalità e il determinismo; la vita sta in una sfera, senza angoli oscuri o sponde marginali. La circolarità dell'amore, l'assurdità di avere 124 anni e vedere morire la propria figlia, di perdersi nella contemplazione aerea di case costruite su un suolo scoperto grazie alla sola fede cardiocentrica.
Nolan come Kubrick e il suo 2001: odissea nello spazio? "Non abbiamo più bisogno di ingegneri, ma di agricoltori esperti": questa non è fantascienza, ma cruda realtà. Gli effetti speciali sono causati dall'ordinarietà degli esperimenti Nasa, lo studio della gravità è lo studio su quanto pesano le nostre credenze e su quanto siamo pronti a portarle avanti. Il montaggio ansimante tra lo spazio, la fattoria e la libreria ci immerge in un contatto metafisico tra le varie galassie che non conosce tempo, un tempo troppo bergsoniano per guardare l'orologio; ancora una volta non è il sistema (solare) a preservare la vita, ma la vita stessa. Nolan come Heidegger: ci ha gettati nel mondo della pellicola e a noi ha conferito il compito di rialzarci. Ancora una volta: mera fantascienza? No, post-umanesimo.