Pop Corn
Il peso umano della vita di Ron Woodrof in Dallas Buyers Club
La scarnificazione della superbia in una enorme potenza emotiva prorompente al di là dello schermo
sabato 8 febbraio 2014
12.15
Immaginate la vita di un uomo, dedito all'alcool, alla droga, alle belle donne, cowboy in un rodeo, appassionato fumatore. Immaginatelo mentre vive orgoglioso i suoi vani piaceri, mentre avanza superbo e fugge con i soldi dei suoi scommettitori. Adesso guardatelo bene mentre sviene per l'accumulo degli eccessi delle sue giornate e immaginatelo al suo risveglio in ospedale nel momento in cui gli dicono di essere positivo all'HIV. Osservatelo bene e vedrete gli occhi di un uomo in pena per se stesso, un uomo che una vita così l'ha vissuta davvero: Ron Woodrof.
Questo l'incipit dello straordinario reportage cinematografico di Jean Marc Vallée, regista del film Dallas Buyers Club, candidato a sei premi Oscar. Per Ron non esiste religione, non esiste educazione, non esiste civiltà, esiste solo un "me stesso", idoleggiato con i vizi di una vita lungamente trascinata nel nulla delle vanità. Quando un giorno la malattia entra irruentemente nel suo corpo, con una diagnosi impietosa di morte repentina. I medici gli danno al massimo trenta giorni, da vivere a braccetto con l'AIDS, ma Ron non si sente ancora pronto, sente di non essersi redento abbastanza, sente di non aver respirato tutta l'aria che la vita gli aveva donato, sente di non aver apprezzato ancora nulla in realtà.
Si avvia così un percorso inizialmente caratterizzato dall'incredulità, Ron quel virus spera di non averlo, spera che gli infermieri abbiano fatto confusione con le provette, spera che qualcuno possa svegliarlo da quest'incubo. Dopo la speranza però subentra la rassegnazione, così il malandato cowboy, accompagnato costantemente dai suoi stivali, che soli sembrano reggere il peso di una figura umana ormai in frantumi, inizia una serie di ricerche, si documenta e scopre che è in atto proprio in quel momento la sperimentazione di un farmaco per combattere l'HIV. Ron quel farmaco lo vuole davvero e per ottenerlo sarà disposto a corrompere chiunque, salvo poi scoprirne la tossicità. Infatti dopo una breve somministrazione di questo, Ron smetterà di prenderlo, per iniziare un commercio illegale importando medicinali non approvati negli U.S.A. che possano aiutare chi come lui deve convivere con l'HIV.
L'evoluzione del personaggio, tende il filo della narrazione di un racconto che appassiona, oltre che per l'importante realismo delle immagini, soprattutto per la focale introspezione psicologica. Nonostante la minima caratterizzazione dei personaggi secondari, tra cui la Dottoressa Eve e il transessuale Rayon, il protagonista Ron, inizialmente omofobo e retrogrado misogino, vive nella maturazione di un percorso di salvezza, con un imprevedibile ribaltamento di luoghi comuni e stili di vita. Impossibile prescindere, nell'analisi di questo grande successo, dall'abilità interpretativa di Matthew McConaughey, in scena con trenta chili in meno e un'esemplare identificazione psicologica. Da aguzzino a portatore di salvezza, il protagonista campeggia titanicamente la scena, trascinando verso lo spettatore un'immensa carica emotiva, facendosi promotore di vita, divenendo da carnefice di se stesso, ultimo umile tra gli umili.
Questo l'incipit dello straordinario reportage cinematografico di Jean Marc Vallée, regista del film Dallas Buyers Club, candidato a sei premi Oscar. Per Ron non esiste religione, non esiste educazione, non esiste civiltà, esiste solo un "me stesso", idoleggiato con i vizi di una vita lungamente trascinata nel nulla delle vanità. Quando un giorno la malattia entra irruentemente nel suo corpo, con una diagnosi impietosa di morte repentina. I medici gli danno al massimo trenta giorni, da vivere a braccetto con l'AIDS, ma Ron non si sente ancora pronto, sente di non essersi redento abbastanza, sente di non aver respirato tutta l'aria che la vita gli aveva donato, sente di non aver apprezzato ancora nulla in realtà.
Si avvia così un percorso inizialmente caratterizzato dall'incredulità, Ron quel virus spera di non averlo, spera che gli infermieri abbiano fatto confusione con le provette, spera che qualcuno possa svegliarlo da quest'incubo. Dopo la speranza però subentra la rassegnazione, così il malandato cowboy, accompagnato costantemente dai suoi stivali, che soli sembrano reggere il peso di una figura umana ormai in frantumi, inizia una serie di ricerche, si documenta e scopre che è in atto proprio in quel momento la sperimentazione di un farmaco per combattere l'HIV. Ron quel farmaco lo vuole davvero e per ottenerlo sarà disposto a corrompere chiunque, salvo poi scoprirne la tossicità. Infatti dopo una breve somministrazione di questo, Ron smetterà di prenderlo, per iniziare un commercio illegale importando medicinali non approvati negli U.S.A. che possano aiutare chi come lui deve convivere con l'HIV.
L'evoluzione del personaggio, tende il filo della narrazione di un racconto che appassiona, oltre che per l'importante realismo delle immagini, soprattutto per la focale introspezione psicologica. Nonostante la minima caratterizzazione dei personaggi secondari, tra cui la Dottoressa Eve e il transessuale Rayon, il protagonista Ron, inizialmente omofobo e retrogrado misogino, vive nella maturazione di un percorso di salvezza, con un imprevedibile ribaltamento di luoghi comuni e stili di vita. Impossibile prescindere, nell'analisi di questo grande successo, dall'abilità interpretativa di Matthew McConaughey, in scena con trenta chili in meno e un'esemplare identificazione psicologica. Da aguzzino a portatore di salvezza, il protagonista campeggia titanicamente la scena, trascinando verso lo spettatore un'immensa carica emotiva, facendosi promotore di vita, divenendo da carnefice di se stesso, ultimo umile tra gli umili.