Pop Corn
Il fuoco del drago Smaug brucia la Terra di Mezzo
Capitolo centrale della trilogia de “Lo Hobbit”
lunedì 16 dicembre 2013
13.52
Quando la favola diventa epica, c'è lo zampino di Peter Jackson. A trasformare la placida narrazione fiabesca tolkieniana in un'accesa avventura dark è l'appassionata mano del regista, che non smette di innamorarsi ogni volta delle sue creature filmiche, seguendo le orme letterarie di J.R.R. Tolkien. Ad un anno di distanza da "Un viaggio inaspettato", arriva nelle sale "La Desolazione di Smaug", il secondo episodio della trilogia de "Lo Hobbit", dall'omonimo libro dello scrittore inglese: il viaggio continua e la compagnia dei nani guidata dallo spodestato re Thorin Scudodiquercia si avvicina alla propria meta, tra sentieri gotici e suggestioni nel più puro stile fantasy.
L'atmosfera si fa più oscura, virtualmente in linea con il secondo episodio della trilogia de "Il Signore degli Anelli", il più tetro dei tre. Non a caso a dominare sul grande schermo stavolta sono due meravigliosi villains: il drago Smaug, dall'inscalfibile corpo di fuoco e dalla tetra avidità per l'oro, dominatore dell'antico regno dei nani di Erebor, ormai divenuta sua culla di ricchezza, e il grande ritorno di Sauron, il supremo signore oscuro che, cominciando a raccogliere le sue prime energie e il suo primo esercito, darà filo da torcere alla futura compagnia dell'Anello. Degli irraggiungibili fasti della precedente trilogia de "Il Signore degli Anelli", rimangono alcune anticipazioni: l'oscurità che cresce, il ruolo demiurgico dello stregone Gandalf e l'oscuro fascino dell'Anello, che comincia a ghermire l'animo placido di Bilbo Baggins. Proprio l'hobbit è il protagonista soppiantato della scena: dopo averne vissuto le indolenze e le vette di coraggio nel primo episodio della nuova saga, dalla Contea sino al suo viaggio inaspettato al seguito della compagnia di Thorin, in questo capitolo centrale la narrazione rimbalza su più sentieri dedicando maggiore attenzione ai protagonisti collaterali e risicando lo spazio del vero protagonista, che si riscatta solo nell'elaborata scena del confronto col drago, incontro dialettico ma stiracchiato, quasi surreale, in cui il piccolo hobbit sembra cavarsela di fronte all'immensità mostruosa di Smaug solo grazie alla sonnecchiante leggerezza del drago, svegliato inaspettatamente dal suo sonno dorato. Le metafore ben riuscite legate all'oro, cornice all'incontro-scontro di Bilbo e Smaug, non raggiungono in efficacia l'altro confronto a due del precedente capitolo, quello con il tenebroso Gollum, con il velocissimo botta e risposta di sottili e avvitati intrecci di parole.
Nel contorno, mentre osserviamo le pareti e le stanze naniche della Montagna Solitaria animate dal crescente desiderio di Thorin di riappropriarsi del proprio regno, Jackson ci scorta in altri luoghi fantastici: su tutti, il Bosco Atro, dimora degli elfi silvani capeggiati dal solenne re Thranduil, ieratico e crudele, sul confine tra bene e male, e la città degli uomini di Esgaroth, costruita di solo legno, attraversata da incongruenze e burocrazie tipicamente umane e residenza di Bard, navigatore e arciere, eroe sfaccettato che ritornerà con maggiore importanza nel prossimo episodio. Si aggiungono alla lista ancora due personaggi, entrambi elfi: Legolas, vecchia conoscenza per gli appassionati della prima trilogia (caratterialmente in linea con la sua evoluzione ma tristemente fuori luogo e fuori storia) e Tauriel, invenzione jacksoniana e unico personaggio femminile sullo schermo (la si odia o la si ama, ma è da lodare la coraggiosa scelta di scrivere un personaggio ex novo, per annichilire la preponderante componente maschile della storia, anche se – al pari di Legolas – appare come una presenza forzata).
Il variegato parterre dei personaggi tolkieniani si alterna nella fabula della pellicola, riempiendo la vuota desolazione che Smaug ha creato intorno a sé. La vera vincitrice dello schermo è però la tecnica: con il ritorno dell'avanguardistica metologia 3D HFR (High Frame Rate, al ritmo di 48 frames al secondo), tutto diventa una fluida immersione visiva, valorizzando scenari, costumi, ambientazioni e atmosfere maniacalmente curate sotto ogni aspetto. Tante le debolezze narrative, dovute soprattutto all'eccessiva estensione temporale del film (ben 2 ore e 41 minuti), forse sovrastimate rispetto ad una trama letteraria originalmente più essenziale e forzatamente allungata senza esiti eccessivamente positivi. Con questo episodio abbastanza sottotono rispetto al precedente capitolo, la chiave di volta per apprezzare pienamente la saga – con i suoi pregi e i suoi difetti - sarà sicuramente il terzo e conclusivo episodio, in attesa per dicembre 2014.
L'atmosfera si fa più oscura, virtualmente in linea con il secondo episodio della trilogia de "Il Signore degli Anelli", il più tetro dei tre. Non a caso a dominare sul grande schermo stavolta sono due meravigliosi villains: il drago Smaug, dall'inscalfibile corpo di fuoco e dalla tetra avidità per l'oro, dominatore dell'antico regno dei nani di Erebor, ormai divenuta sua culla di ricchezza, e il grande ritorno di Sauron, il supremo signore oscuro che, cominciando a raccogliere le sue prime energie e il suo primo esercito, darà filo da torcere alla futura compagnia dell'Anello. Degli irraggiungibili fasti della precedente trilogia de "Il Signore degli Anelli", rimangono alcune anticipazioni: l'oscurità che cresce, il ruolo demiurgico dello stregone Gandalf e l'oscuro fascino dell'Anello, che comincia a ghermire l'animo placido di Bilbo Baggins. Proprio l'hobbit è il protagonista soppiantato della scena: dopo averne vissuto le indolenze e le vette di coraggio nel primo episodio della nuova saga, dalla Contea sino al suo viaggio inaspettato al seguito della compagnia di Thorin, in questo capitolo centrale la narrazione rimbalza su più sentieri dedicando maggiore attenzione ai protagonisti collaterali e risicando lo spazio del vero protagonista, che si riscatta solo nell'elaborata scena del confronto col drago, incontro dialettico ma stiracchiato, quasi surreale, in cui il piccolo hobbit sembra cavarsela di fronte all'immensità mostruosa di Smaug solo grazie alla sonnecchiante leggerezza del drago, svegliato inaspettatamente dal suo sonno dorato. Le metafore ben riuscite legate all'oro, cornice all'incontro-scontro di Bilbo e Smaug, non raggiungono in efficacia l'altro confronto a due del precedente capitolo, quello con il tenebroso Gollum, con il velocissimo botta e risposta di sottili e avvitati intrecci di parole.
Nel contorno, mentre osserviamo le pareti e le stanze naniche della Montagna Solitaria animate dal crescente desiderio di Thorin di riappropriarsi del proprio regno, Jackson ci scorta in altri luoghi fantastici: su tutti, il Bosco Atro, dimora degli elfi silvani capeggiati dal solenne re Thranduil, ieratico e crudele, sul confine tra bene e male, e la città degli uomini di Esgaroth, costruita di solo legno, attraversata da incongruenze e burocrazie tipicamente umane e residenza di Bard, navigatore e arciere, eroe sfaccettato che ritornerà con maggiore importanza nel prossimo episodio. Si aggiungono alla lista ancora due personaggi, entrambi elfi: Legolas, vecchia conoscenza per gli appassionati della prima trilogia (caratterialmente in linea con la sua evoluzione ma tristemente fuori luogo e fuori storia) e Tauriel, invenzione jacksoniana e unico personaggio femminile sullo schermo (la si odia o la si ama, ma è da lodare la coraggiosa scelta di scrivere un personaggio ex novo, per annichilire la preponderante componente maschile della storia, anche se – al pari di Legolas – appare come una presenza forzata).
Il variegato parterre dei personaggi tolkieniani si alterna nella fabula della pellicola, riempiendo la vuota desolazione che Smaug ha creato intorno a sé. La vera vincitrice dello schermo è però la tecnica: con il ritorno dell'avanguardistica metologia 3D HFR (High Frame Rate, al ritmo di 48 frames al secondo), tutto diventa una fluida immersione visiva, valorizzando scenari, costumi, ambientazioni e atmosfere maniacalmente curate sotto ogni aspetto. Tante le debolezze narrative, dovute soprattutto all'eccessiva estensione temporale del film (ben 2 ore e 41 minuti), forse sovrastimate rispetto ad una trama letteraria originalmente più essenziale e forzatamente allungata senza esiti eccessivamente positivi. Con questo episodio abbastanza sottotono rispetto al precedente capitolo, la chiave di volta per apprezzare pienamente la saga – con i suoi pregi e i suoi difetti - sarà sicuramente il terzo e conclusivo episodio, in attesa per dicembre 2014.