Ogni cosa è illuminata
La pop filosofia dei nuovi media
Recensione di ‘Videosofia’, il saggio di Valentina De Carlo
lunedì 3 gennaio 2011
«Lo schermo televisivo, ormai, è il vero unico occhio dell'uomo. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Ne consegue che quello che appare sul nostro schermo televisivo emerge come una cruda esperienza per noi che guardiamo. Ne consegue che la televisione è la realtà e che la realtà è meno della televisione».
Brian O'Blivion in Videodrome
Sembra un paradosso il termine Videosofia, titolo del saggio di Valentina De Carlo (edizioni Caratteri Mobili). Sembra quasi un ossimoro questo neologismo che coagula in un'unica definizione il più globalizzato mezzo di comunicazione del mondo moderno (la televisione) con la più antica forma di conoscenza del mondo classico (la filosofia). Eppure ogni ombra di contraddizione sparisce leggendo l'interessante saggio della De Carlo, giornalista, autrice e conduttrice televisiva. Pubblicato dalla casa editrice barese Caratteri Mobili, il testo ha inaugurato la collana "Formiche Elettriche", destinata alle più innovative riflessioni sulle tendenze e le culture pop del mondo attuale.
Si comincia con la semplice domanda: «Si può fare filosofia in TV?» e ci si addentra in un sentiero di riflessioni di filologia televisiva nel tentativo di scoprire quel punto di contatto fra filosofia e nuovi media. «I campi "filosofia" e "televisione" possono essere intersecati a vari livelli. Il primo è quello degli studi filosofici che hanno assunto la televisione come oggetto di riflessione. Il secondo piano riguarda la presenza dei filosofi e della filosofia nella televisione e risponde al quesito: "Si può fare filosofia in TV?" […] Ma c'è un altro modo di considerare la filosofia in TV: come il ritorno in scena, con effetto di presenza, del corpo del filosofo. La gestualità, la vocalità, la visibilità del filosofo riappaiono, dopo secoli di censura tipografica, proprio grazie alla visione tecnica a distanza». La De Carlo ci ricorda poi un'immagine più che allegorica dell'intera riflessione di fondo del saggio: un filmato televisivo di Heidegger che placidamente passeggia nella Foresta Nera, un pensoso e meditativo viandante che – nonostante la vicinanza visiva – non annulla la profonda lontananza con la sua virtuale platea televisiva, ma che inaugura un nuovo modo di approcciarsi ad una antica modalità di conoscenza. Se sembra dissacrante paragonare la performance maieutica del filosofo alla sua apparizione catodica, già dalle prime pagine del saggio introduttivo dello scrittore Gabriele Frasca il dubbio del lettore più ingenuo si dissolve, con una nuova valutazione della televisione come «un altro medium per ridistribuire una tecnologia del sapere nata con (e per) un mezzo precedente».
«Potremmo dire che la filosofia della televisione si realizza quando dal contatto impuro col mondo e la strumentalità televisiva emerge una produzione filosofica mutata, nella quale il pensiero filosofico non faccia da didascalia, da sottotesto all'immagine, come in un emblema allegorico, ma si incorpori in forme nuove» continua la De Carlo, supponendo un'interfaccia di comunione fra cultura visuale e riflessioni filosofiche in cui i due settori non si adattano semplicemente l'uno all'altro, ma generano un nuovo livello di relazione con peculiari categorie di linguaggio. «Non è stravagante ipotizzare una sorta di videosofia che si esplichi attraverso i linguaggi propri dei nuovi mezzi di comunicazione, considerando questi non come mero supporto, sostitutivo del precedente, ma come luoghi di nuove grammatiche , sintassi, topiche e retoriche del discorso filosofico».
Il saggio si conclude ipotizzando una nuova cultura visuale in cui infine filosofia e televisione si sposano nella videosofia battezzata dalla De Carlo: «Il conio adoperato, videosofia, vuole – tra le altre implicazioni – connotare un uso consapevole delle tele-tecnologie in relazione anche ai diritti di cittadinanza offuscati dai numeri enormi dell'analfabetismo tecnologico che, nella realtà concreta, adombrano il mito del villaggio globale». Sommergendo così l'amara previsione di Mary Somerville: «La televisione non durerà. E' solo un po' di luce negli occhi».
Brian O'Blivion in Videodrome
Sembra un paradosso il termine Videosofia, titolo del saggio di Valentina De Carlo (edizioni Caratteri Mobili). Sembra quasi un ossimoro questo neologismo che coagula in un'unica definizione il più globalizzato mezzo di comunicazione del mondo moderno (la televisione) con la più antica forma di conoscenza del mondo classico (la filosofia). Eppure ogni ombra di contraddizione sparisce leggendo l'interessante saggio della De Carlo, giornalista, autrice e conduttrice televisiva. Pubblicato dalla casa editrice barese Caratteri Mobili, il testo ha inaugurato la collana "Formiche Elettriche", destinata alle più innovative riflessioni sulle tendenze e le culture pop del mondo attuale.
Si comincia con la semplice domanda: «Si può fare filosofia in TV?» e ci si addentra in un sentiero di riflessioni di filologia televisiva nel tentativo di scoprire quel punto di contatto fra filosofia e nuovi media. «I campi "filosofia" e "televisione" possono essere intersecati a vari livelli. Il primo è quello degli studi filosofici che hanno assunto la televisione come oggetto di riflessione. Il secondo piano riguarda la presenza dei filosofi e della filosofia nella televisione e risponde al quesito: "Si può fare filosofia in TV?" […] Ma c'è un altro modo di considerare la filosofia in TV: come il ritorno in scena, con effetto di presenza, del corpo del filosofo. La gestualità, la vocalità, la visibilità del filosofo riappaiono, dopo secoli di censura tipografica, proprio grazie alla visione tecnica a distanza». La De Carlo ci ricorda poi un'immagine più che allegorica dell'intera riflessione di fondo del saggio: un filmato televisivo di Heidegger che placidamente passeggia nella Foresta Nera, un pensoso e meditativo viandante che – nonostante la vicinanza visiva – non annulla la profonda lontananza con la sua virtuale platea televisiva, ma che inaugura un nuovo modo di approcciarsi ad una antica modalità di conoscenza. Se sembra dissacrante paragonare la performance maieutica del filosofo alla sua apparizione catodica, già dalle prime pagine del saggio introduttivo dello scrittore Gabriele Frasca il dubbio del lettore più ingenuo si dissolve, con una nuova valutazione della televisione come «un altro medium per ridistribuire una tecnologia del sapere nata con (e per) un mezzo precedente».
«Potremmo dire che la filosofia della televisione si realizza quando dal contatto impuro col mondo e la strumentalità televisiva emerge una produzione filosofica mutata, nella quale il pensiero filosofico non faccia da didascalia, da sottotesto all'immagine, come in un emblema allegorico, ma si incorpori in forme nuove» continua la De Carlo, supponendo un'interfaccia di comunione fra cultura visuale e riflessioni filosofiche in cui i due settori non si adattano semplicemente l'uno all'altro, ma generano un nuovo livello di relazione con peculiari categorie di linguaggio. «Non è stravagante ipotizzare una sorta di videosofia che si esplichi attraverso i linguaggi propri dei nuovi mezzi di comunicazione, considerando questi non come mero supporto, sostitutivo del precedente, ma come luoghi di nuove grammatiche , sintassi, topiche e retoriche del discorso filosofico».
Il saggio si conclude ipotizzando una nuova cultura visuale in cui infine filosofia e televisione si sposano nella videosofia battezzata dalla De Carlo: «Il conio adoperato, videosofia, vuole – tra le altre implicazioni – connotare un uso consapevole delle tele-tecnologie in relazione anche ai diritti di cittadinanza offuscati dai numeri enormi dell'analfabetismo tecnologico che, nella realtà concreta, adombrano il mito del villaggio globale». Sommergendo così l'amara previsione di Mary Somerville: «La televisione non durerà. E' solo un po' di luce negli occhi».