Ogni cosa è illuminata
Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche
Incontriamo alla Feltrinelli l'attore Filippo Timi, un Amleto cinico ma innamorato
sabato 10 aprile 2010
Un poveraccio quando esce fuori di testa si sente Re.
Un Re quando impazzisce che cosa si può immaginare di essere?
Inizia così lo spettacolo "Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche", in scena venerdì 9 e sabato 10 aprile sul palcoscenico del teatro Kismet di Bari (i biglietti sono già esauriti da novembre).
Per l'occasione il foyer della libreria Feltrinelli ha ospitato l'attore e co-autore della pièce Filippo Timi. Dietro il volto di questo moderno e spietato Amleto si nasconde il viso di uno dei più virtuosi interpreti italiani del momento, che ha trovato successo e visibilità nel panorama cinematografico nostrano con personaggi sempre irrequieti come il padre neonazista di "Come dio comanda" o il tonante Mussolini dell'acclamato "Vincere".
Già applaudito nei teatri di tutta Italia, Timi è colui che rende ogni difetto perfezione, a partire dalla sua irrinunciabile balbuzie. «E nonostante ciò si cucca tantissimo». Che le donne siano istintualmente attratte dal rude tenebroso è un dato di fatto, ma come rivela Timi ad una intervista televisiva «è l'imperfezione a rendere umani». Ecco perché il suo Amleto non è il principesco eroe immaginato da Shakespeare, ma il più comune zimbello del destino, che si serve di tagliente ironia per contrastare l'avverso fato. Anche sul palcoscenico l'attore perugino balbetta, rendendo ancora più umana la dramatis persona dagli occhi irruenti da lui impersonata.
Il tristemente famoso aforisma attribuito a Maria Antonietta è solo lo spunto iniziale per un'opera che rilegge con spietata modernità la follia del giovane Amleto e il suo amore contrastato per la seducente Ofelia. Spiega Timi: «Amleto è arrabbiato, da quattrocento anni muore ogni sera, per tentare di uscire da quel meccanismo infernale riscrive il copione, mettendo in scena se stes¬so e la finzione del gioco teatrale». La critica ha già ribattezzato il suo spettacolo un incrocio comico e coloratissimo che oscilla tra Alice nel paese delle meraviglie e i chiari e scuri di Caravaggio.
Spogliatosi della veemente armatura indossata in scena, Filippo Timi incontra il pubblico barese e risponde senza remore – e con una schiettezza senza pari – alle domande della giornalista Anna Puricella.
Come mai si comincia con una citazione di Maria Antonietta? Lei era una regina e Amleto un principe, forse sono uniti da un legame di follia del potere?
«Proprio così. La scelta è voluta per far sì che il pubblico non si aspetti un Amleto classico. Il mio Amleto è un personaggio fortemente contemporaneo, quindi storico. Bisogna imparare a saper ridere della tragedia». Come aveva già raccontato in una intervista al Corriere della Sera: «Il mio è un principe orgiastico, tutto cibo e denti marci; lo specchio consapevole del mondo da cui proviene, quello dei potenti che nel 1600 potevano permettersi di uccidere un uomo solo per il gusto di farlo».
Un Amleto che sicuramente rompe gli schemi del teatro convenzionalmente inteso. «Dopo Carmelo Bene – un idolo per me – è impossibile pensare il teatro come era prima […] Il mio obiettivo è quello di contagiare il pubblico con il coraggio».
Dal pubblico interviene un distinto signore di Otranto.
Non si ritiene troppo presuntuoso per accostarsi ad un genio come Carmelo Bene?
«Non credo». Fu proprio il grande interprete pugliese ad affermare: Io mi pongo compiti impossibili. «Solo i compiti impossibili sono degni di essere perseguiti».
Afferro il microfono e tento anch'io una domanda.
Anche sulla scena il tuo Amleto è insicuro e balbetta. Secondo te l'imperfezione in questo modo può rendersi perfezione? Forse i difetti sono più affascinanti di una statica armonia?
«No, è giusto che esista la perfezione, come è altrettanto giusto che esista l'imperfezione. Se al mondo fossimo tutti uguali ci si annoierebbe». E citando il film Fight Club: «C'è chi si innamora di Brad Pitt per il fisico scolpito, e chi invece gli preferisce il meno convenzionale Edward Norton». In ogni caso la bellezza è incredibilmente varia, «ecco perché sono contrario a questa mania per la chirurgia estetica», però ammette «è probabile che tra qualche anno cambi idea».
Nascondendosi in borghese fra il pubblico, erano presenti all'incontro anche gli altri attori diretti da Timi: Paola Fresa («una Ofelia che per caso inciampa nell'amore»), Marina Rocco, Luca Pignagnoli e Lucia Mascino.
Se anche voi siete rimasti affascinati da questo eclettico artista, quest'anno candidato persino al David di Donatello, vi consigliamo la visione di alcuni suoi film:
● Vincere (2009) di Marco Bellocchio
● La doppia ora (2009) di Giuseppe Capotondi
● Come dio comanda (2008) di Gabriele Salvatores
«Nella vita adoro illudermi, credere nell'amore eterno e cose di questo tipo, sono i va¬ri fuochi fatui che ci fanno andare avanti; l'importante è essere coscienti che è tutto un inganno». (Filippo Timi)
Un Re quando impazzisce che cosa si può immaginare di essere?
Inizia così lo spettacolo "Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche", in scena venerdì 9 e sabato 10 aprile sul palcoscenico del teatro Kismet di Bari (i biglietti sono già esauriti da novembre).
Per l'occasione il foyer della libreria Feltrinelli ha ospitato l'attore e co-autore della pièce Filippo Timi. Dietro il volto di questo moderno e spietato Amleto si nasconde il viso di uno dei più virtuosi interpreti italiani del momento, che ha trovato successo e visibilità nel panorama cinematografico nostrano con personaggi sempre irrequieti come il padre neonazista di "Come dio comanda" o il tonante Mussolini dell'acclamato "Vincere".
Già applaudito nei teatri di tutta Italia, Timi è colui che rende ogni difetto perfezione, a partire dalla sua irrinunciabile balbuzie. «E nonostante ciò si cucca tantissimo». Che le donne siano istintualmente attratte dal rude tenebroso è un dato di fatto, ma come rivela Timi ad una intervista televisiva «è l'imperfezione a rendere umani». Ecco perché il suo Amleto non è il principesco eroe immaginato da Shakespeare, ma il più comune zimbello del destino, che si serve di tagliente ironia per contrastare l'avverso fato. Anche sul palcoscenico l'attore perugino balbetta, rendendo ancora più umana la dramatis persona dagli occhi irruenti da lui impersonata.
Il tristemente famoso aforisma attribuito a Maria Antonietta è solo lo spunto iniziale per un'opera che rilegge con spietata modernità la follia del giovane Amleto e il suo amore contrastato per la seducente Ofelia. Spiega Timi: «Amleto è arrabbiato, da quattrocento anni muore ogni sera, per tentare di uscire da quel meccanismo infernale riscrive il copione, mettendo in scena se stes¬so e la finzione del gioco teatrale». La critica ha già ribattezzato il suo spettacolo un incrocio comico e coloratissimo che oscilla tra Alice nel paese delle meraviglie e i chiari e scuri di Caravaggio.
Spogliatosi della veemente armatura indossata in scena, Filippo Timi incontra il pubblico barese e risponde senza remore – e con una schiettezza senza pari – alle domande della giornalista Anna Puricella.
Come mai si comincia con una citazione di Maria Antonietta? Lei era una regina e Amleto un principe, forse sono uniti da un legame di follia del potere?
«Proprio così. La scelta è voluta per far sì che il pubblico non si aspetti un Amleto classico. Il mio Amleto è un personaggio fortemente contemporaneo, quindi storico. Bisogna imparare a saper ridere della tragedia». Come aveva già raccontato in una intervista al Corriere della Sera: «Il mio è un principe orgiastico, tutto cibo e denti marci; lo specchio consapevole del mondo da cui proviene, quello dei potenti che nel 1600 potevano permettersi di uccidere un uomo solo per il gusto di farlo».
Un Amleto che sicuramente rompe gli schemi del teatro convenzionalmente inteso. «Dopo Carmelo Bene – un idolo per me – è impossibile pensare il teatro come era prima […] Il mio obiettivo è quello di contagiare il pubblico con il coraggio».
Dal pubblico interviene un distinto signore di Otranto.
Non si ritiene troppo presuntuoso per accostarsi ad un genio come Carmelo Bene?
«Non credo». Fu proprio il grande interprete pugliese ad affermare: Io mi pongo compiti impossibili. «Solo i compiti impossibili sono degni di essere perseguiti».
Afferro il microfono e tento anch'io una domanda.
Anche sulla scena il tuo Amleto è insicuro e balbetta. Secondo te l'imperfezione in questo modo può rendersi perfezione? Forse i difetti sono più affascinanti di una statica armonia?
«No, è giusto che esista la perfezione, come è altrettanto giusto che esista l'imperfezione. Se al mondo fossimo tutti uguali ci si annoierebbe». E citando il film Fight Club: «C'è chi si innamora di Brad Pitt per il fisico scolpito, e chi invece gli preferisce il meno convenzionale Edward Norton». In ogni caso la bellezza è incredibilmente varia, «ecco perché sono contrario a questa mania per la chirurgia estetica», però ammette «è probabile che tra qualche anno cambi idea».
Nascondendosi in borghese fra il pubblico, erano presenti all'incontro anche gli altri attori diretti da Timi: Paola Fresa («una Ofelia che per caso inciampa nell'amore»), Marina Rocco, Luca Pignagnoli e Lucia Mascino.
Se anche voi siete rimasti affascinati da questo eclettico artista, quest'anno candidato persino al David di Donatello, vi consigliamo la visione di alcuni suoi film:
● Vincere (2009) di Marco Bellocchio
● La doppia ora (2009) di Giuseppe Capotondi
● Come dio comanda (2008) di Gabriele Salvatores
«Nella vita adoro illudermi, credere nell'amore eterno e cose di questo tipo, sono i va¬ri fuochi fatui che ci fanno andare avanti; l'importante è essere coscienti che è tutto un inganno». (Filippo Timi)