Ogni cosa è illuminata
Bandersnatch, per Black Mirror diamo 5 stelle su 5
Non hai resistito a un capolavoro totalizzante, ma i nerd già lo sapevano
lunedì 31 dicembre 2018
Prima una sfilza di emozioni tra cui scegliere: morboso o emozionante, pauroso o palpitante, avventuroso o citazionista. Almeno una è quella giusta.
Bandersnatch inaugura sulla nota piattaforma di streaming Netflix il filone dei film interattivi a finali multipli, in cui al pigro spettatore seriale, da cinema e popcorn o da divano e frittatona di cipolle, è chiesto non solo di divertirsi ma anche di scegliere come farlo.
Spieghiamoci meglio: un film si vede dall'inizio alla fine, come un libro. Ha la sua struttura rituale che noi spettatori, come navigati chierici, onoriamo cantando le lodi degli dei, che siano sceneggiatori e soggettisti o registi. Tutto regolare. Adesso non più. Il film scorre ma ci permette di scegliere armati del fido telecomando, tra un paio di scelte per volta, che generano differenti "strade" narrative coerenti con la scelta effettuata. Col telecomando. Quello con le quattro frecce. Lo stesso che brandiamo quando guardiamo una partita della Juventus, Mara Venier o il telegiornale.
L'effetto è incredibile, non tanto per la bontà indiscussa della storia narrata, morbosa soprattutto, ma per la realizzazione tecnica che evocando il miglior modo di utilizzare la interattività delle decantate smart tv offre una visione senza pause. Le scelte vengono operate in un lasso di tempo ridotto (sì, la tachicardia è compresa nell'offerta) mentre il film si produce in una pausa narrativa del protagonista, che come noi stessi "decide" in un tempo congruo dove portare la sua vita virtuale.
Capolavoro? Certo. La storia è un pretesto per capire non tanto dove voglia andare a parare, ma per convincerci che lo spettatore è parte integrante delle scelte. Anzi, in eleganti termini quantistici, sembra quasi che le scelte vengano proposte allo spettatore in quanto tale, con un protagonista costretto suo malgrado a "subire" le nostre scelte e mettendo in discussione il proprio libero arbitro. Mai avuto del resto in quanto attore di un film (forse. E sottolineo forse) ma questo lo dimenticheremo ben presto.
Il film diventa così il nostro demone personale, convincendoci che potrà continuare ad esistere solo se la nostra interpretazione degli elementi narrati sarà valida, e solo noi saremo padroni di scelte anche disturbanti, ma forse necessarie alla conclusione. Impareremo dunque che, in via del tutto eccezionale, saremo padroni della vita del protagonista, dell'attore che lo impersona, della software house che sicuramente cancellerà questo irritante gioco, del coerente mondo che ospita entrambi. Utilizzare il nostro libero arbitrio per surrogare quello di Stefan Butler, fino a capire che…
Con inquietudine dobbiamo anche riconoscere che si tratta di un'idea assolutamente non nuova, ma finemente declinata. Bandersnatch rompe la quarta parete del tesseratto di Interstellar e inizia a spostarsi nel tempo.
1984. Librogame editi in Italia dai tipi delle Edizioni E. Elle. Raffinati testi fantasy, organizzati in collane con nomi degni dei più grandi onori (Advanced D&D, La Terra di Mezzo, Lupo Solitario e tanti altri). Ideale via di mezzo tra narrativa e gioco di ruolo dove in quest'ultimo si viveva una piena interpretazione (arriva il Demogorgone, cose molto strane) mentre in questi testi si cominciava leggendo dall'inizio fino ad essere presi "per mano" dal testo che ci chiedeva di operare scelte "saltando" al paragrafo opportuno e continuando fino al miglior finale possibile o a una fine ingloriosa (ma si poteva ricominciare, stipulando il definitivo patto con la lettura, il fantasy e i sogni).
"Scorgi in lontananza il bagliore di un fuoco. Aggirarlo richiederebbe troppo tempo. Se vuoi avvicinarti senza cautele, vai al [paragrafo] 137. Se preferisci avvicinarti furtivamente, vai al 156"
[Steve Perrin, La Stirpe di Dragonspear – Advanced Dungeon and Dragons]
1985. Topolino, il notissimo settimanale tanto caro a bambini di allora, adulti di oggi, bambini di oggi, adulti di domani. Bruno Concina, stimato sceneggiatore, si ispirò non ai suddetti librogame ma a una serie di racconti con finali multipli scritti negli anni '30 da scrittori d'avanguardia in Francia. Ne risulta un fumetto godibilissimo, semplice quanto avvincente nella sua stesura in cui piccole scelte modificano radicalmente la storia destinata a diversi finali. Un valore aggiunto per il fumetto spesso citato in varie antologie scolastiche.
"Sono un papero intraprendente io, tagliando per questo viottolo eviteremo la coda". Se ti piacciono le scorciatoie salta a pag.16. Se preferisci la fila noiosa ma sicura, vai a pag.20.
[Topolino n. 1603, Bruno Concina: "Qui, Quo, Qua e le vacanze a bivi"]
1974. Dungeons and Dragons, il principe assoluto dei giochi di ruolo. Ovvero giochi di interpretazione in cui il giocatore è chiamato a operare scelte e a interpretare un suo "Avatar", ovvero un personaggio immerso in un contesto fantasy mutuato e riletto rispetto al capostipite "Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien in cui non ha regole e vincoli. Il personaggio scelto, un ruvido nano armato di una ascia dorata, una conturbante amazzone, un aitante guerriero o altri, deve operare delle scelte mentre "vive la propria vita". Tali scelte sono già previste nella storia di fondo, sapientemente orchestrata da un "master" (una sorta di regista, unico depositario delle regole del gioco che regolano la casualità in grado di dare un respiro "reale" alle vicende narrate). E questo personaggio vive, si nutre, fa esperienza, "cresce" evolvendo da essere un grigio viandante a un bianco stregone. E solo in gruppo si sopravvive nel sottosopra.
"E mentre Bongu l'ignaro improvvisò una danza, non pareva vero che i belligeranti goblin si distraessero al punto di non comprendere che eravamo lì per sterminarli"
[Sessione di gioco di ruolo tra amici, una qualsiasi]
2015. Minecraft: Story Mode. Dal cubettoso e creativo mondo a pixel dei videogame, Netflix prende in prestito dai creativi Telltale, colpevoli di una lunga serie di avventure interattive tra cui citiamo Game of Thrones e The secret of Monkey Island, il "motore" informativo a scelte multiple mettendo a disposizione dei propri spettatori un'esperienza del tutto simile tecnicamente a Bandersnatch, ma più "lieve" e in pixel. Un po' in sordina ma la tipologia è identica. La storia forse un po' debole, lontanissima dall'incombente fato del giovane programmatore della Tuckersoft.
2019. Bandersnatch in fondo è solo un film, una volta visti tutti i finali possibili che compongono gli oltre 312 minuti del girato possiamo rompere il patto narrativo e rilassarci. In fondo è solo un'opera di fantasia e il nostro libero arbitrio è intatto come la nostra capacità di scelta. Che sicuramente non ci farà rileggere le prime tre parole del sottotitolo.
Bandersnatch inaugura sulla nota piattaforma di streaming Netflix il filone dei film interattivi a finali multipli, in cui al pigro spettatore seriale, da cinema e popcorn o da divano e frittatona di cipolle, è chiesto non solo di divertirsi ma anche di scegliere come farlo.
Spieghiamoci meglio: un film si vede dall'inizio alla fine, come un libro. Ha la sua struttura rituale che noi spettatori, come navigati chierici, onoriamo cantando le lodi degli dei, che siano sceneggiatori e soggettisti o registi. Tutto regolare. Adesso non più. Il film scorre ma ci permette di scegliere armati del fido telecomando, tra un paio di scelte per volta, che generano differenti "strade" narrative coerenti con la scelta effettuata. Col telecomando. Quello con le quattro frecce. Lo stesso che brandiamo quando guardiamo una partita della Juventus, Mara Venier o il telegiornale.
L'effetto è incredibile, non tanto per la bontà indiscussa della storia narrata, morbosa soprattutto, ma per la realizzazione tecnica che evocando il miglior modo di utilizzare la interattività delle decantate smart tv offre una visione senza pause. Le scelte vengono operate in un lasso di tempo ridotto (sì, la tachicardia è compresa nell'offerta) mentre il film si produce in una pausa narrativa del protagonista, che come noi stessi "decide" in un tempo congruo dove portare la sua vita virtuale.
Capolavoro? Certo. La storia è un pretesto per capire non tanto dove voglia andare a parare, ma per convincerci che lo spettatore è parte integrante delle scelte. Anzi, in eleganti termini quantistici, sembra quasi che le scelte vengano proposte allo spettatore in quanto tale, con un protagonista costretto suo malgrado a "subire" le nostre scelte e mettendo in discussione il proprio libero arbitro. Mai avuto del resto in quanto attore di un film (forse. E sottolineo forse) ma questo lo dimenticheremo ben presto.
Il film diventa così il nostro demone personale, convincendoci che potrà continuare ad esistere solo se la nostra interpretazione degli elementi narrati sarà valida, e solo noi saremo padroni di scelte anche disturbanti, ma forse necessarie alla conclusione. Impareremo dunque che, in via del tutto eccezionale, saremo padroni della vita del protagonista, dell'attore che lo impersona, della software house che sicuramente cancellerà questo irritante gioco, del coerente mondo che ospita entrambi. Utilizzare il nostro libero arbitrio per surrogare quello di Stefan Butler, fino a capire che…
Con inquietudine dobbiamo anche riconoscere che si tratta di un'idea assolutamente non nuova, ma finemente declinata. Bandersnatch rompe la quarta parete del tesseratto di Interstellar e inizia a spostarsi nel tempo.
1984. Librogame editi in Italia dai tipi delle Edizioni E. Elle. Raffinati testi fantasy, organizzati in collane con nomi degni dei più grandi onori (Advanced D&D, La Terra di Mezzo, Lupo Solitario e tanti altri). Ideale via di mezzo tra narrativa e gioco di ruolo dove in quest'ultimo si viveva una piena interpretazione (arriva il Demogorgone, cose molto strane) mentre in questi testi si cominciava leggendo dall'inizio fino ad essere presi "per mano" dal testo che ci chiedeva di operare scelte "saltando" al paragrafo opportuno e continuando fino al miglior finale possibile o a una fine ingloriosa (ma si poteva ricominciare, stipulando il definitivo patto con la lettura, il fantasy e i sogni).
"Scorgi in lontananza il bagliore di un fuoco. Aggirarlo richiederebbe troppo tempo. Se vuoi avvicinarti senza cautele, vai al [paragrafo] 137. Se preferisci avvicinarti furtivamente, vai al 156"
[Steve Perrin, La Stirpe di Dragonspear – Advanced Dungeon and Dragons]
1985. Topolino, il notissimo settimanale tanto caro a bambini di allora, adulti di oggi, bambini di oggi, adulti di domani. Bruno Concina, stimato sceneggiatore, si ispirò non ai suddetti librogame ma a una serie di racconti con finali multipli scritti negli anni '30 da scrittori d'avanguardia in Francia. Ne risulta un fumetto godibilissimo, semplice quanto avvincente nella sua stesura in cui piccole scelte modificano radicalmente la storia destinata a diversi finali. Un valore aggiunto per il fumetto spesso citato in varie antologie scolastiche.
"Sono un papero intraprendente io, tagliando per questo viottolo eviteremo la coda". Se ti piacciono le scorciatoie salta a pag.16. Se preferisci la fila noiosa ma sicura, vai a pag.20.
[Topolino n. 1603, Bruno Concina: "Qui, Quo, Qua e le vacanze a bivi"]
1974. Dungeons and Dragons, il principe assoluto dei giochi di ruolo. Ovvero giochi di interpretazione in cui il giocatore è chiamato a operare scelte e a interpretare un suo "Avatar", ovvero un personaggio immerso in un contesto fantasy mutuato e riletto rispetto al capostipite "Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien in cui non ha regole e vincoli. Il personaggio scelto, un ruvido nano armato di una ascia dorata, una conturbante amazzone, un aitante guerriero o altri, deve operare delle scelte mentre "vive la propria vita". Tali scelte sono già previste nella storia di fondo, sapientemente orchestrata da un "master" (una sorta di regista, unico depositario delle regole del gioco che regolano la casualità in grado di dare un respiro "reale" alle vicende narrate). E questo personaggio vive, si nutre, fa esperienza, "cresce" evolvendo da essere un grigio viandante a un bianco stregone. E solo in gruppo si sopravvive nel sottosopra.
"E mentre Bongu l'ignaro improvvisò una danza, non pareva vero che i belligeranti goblin si distraessero al punto di non comprendere che eravamo lì per sterminarli"
[Sessione di gioco di ruolo tra amici, una qualsiasi]
2015. Minecraft: Story Mode. Dal cubettoso e creativo mondo a pixel dei videogame, Netflix prende in prestito dai creativi Telltale, colpevoli di una lunga serie di avventure interattive tra cui citiamo Game of Thrones e The secret of Monkey Island, il "motore" informativo a scelte multiple mettendo a disposizione dei propri spettatori un'esperienza del tutto simile tecnicamente a Bandersnatch, ma più "lieve" e in pixel. Un po' in sordina ma la tipologia è identica. La storia forse un po' debole, lontanissima dall'incombente fato del giovane programmatore della Tuckersoft.
2019. Bandersnatch in fondo è solo un film, una volta visti tutti i finali possibili che compongono gli oltre 312 minuti del girato possiamo rompere il patto narrativo e rilassarci. In fondo è solo un'opera di fantasia e il nostro libero arbitrio è intatto come la nostra capacità di scelta. Che sicuramente non ci farà rileggere le prime tre parole del sottotitolo.