Eventi
Vizi antichi e moderni nel "Decamerone" di Stefano Accorsi
Lo spettacolo sarà in scena ancora oggi al teatro "Curci"
Barletta - domenica 20 dicembre 2015
10.48
Un carro-furgone sullo sfondo, casa e teatro della compagnia dei teatranti che si apprestano a mettere in scena l'opera: questa la proposta del regista Marco Baliani che ha immaginato una scena nuda - priva di orpelli scenografici che possono distogliere l'attenzione dello spettatore - per il suo Decamerone, vizi, virtù e passioni liberamente tratto dal Decamerone di Boccaccio. Così è tornata in scena per il secondo appuntamento del progetto Grandi Italiani la trilogia elaborata dal regista Marco Baliani insieme a Stefano Accorsi e Marco Balsamo che ha calcato il palco del teatro Curci di Barletta nei giorni del 18, 19 e anche oggi, 20 dicembre.
Eppure è proprio quel carro a favorire la messa in scena delle sette novelle tratte dall'indiscusso capolavoro boccacciano che restituiscono al pubblico suggestioni via via diverse a seconda delle storie rappresentate, tutte legate dal fil rouge di una peste ben più grave rispetto a quella trecentesca perché ben più radicata e insita nei costumi della società odierna. Una peste che traendo spunto dalle storie dei vari personaggi, nelle fogge di truffatori che si fingono preti per estorcere danari, uomini gelosi e cornificati, finti sordi e ciechi oggetto delle passioni più nascoste di un convento di monache, fratelli macchiati del delitto d'onore (come in Elisabetta da Messina) vanno a colpire il nostro sentir civile regalandoci momenti di pura spensieratezza lunghi tutto il tempo del racconto prima di riapprodare alla realtà alla fine della rappresentazione.
Magistralmente dirette e interpretate dalla compagnia sono le tematiche, che appaiono sapientemente e coerentemente messe in scena con l'ausilio del gioco meta teatrale - con cui l'Accorsi si è rivolto più spesso al pubblico - e quanto mai appropriate al nostro secolo, violentato dalle corruzioni delle mafie, dall'incuria dei potenti, dallo sfruttamento degli ultimi. Bella poi la sinergia tra i vari attori, colti di volta in volta a rivestire i ruoli più disparati impreziositi di un fine e sapiente umorismo tutto trecentesco mentre risulta incalzante il ritmo drammaturgico, che si snoda con maestria degli attori, capaci di trasformale le nobili favelle boccaccesche in idiomi facilmente comprensibili ai nostri giorni. Conforta però in conclusione l'efficacia del messaggio di risfogliare i capolavori della nostra letteratura, identità e ricchezza autentica del nostro bagaglio culturale che ci inorgoglisce del nostro essere italiani. Prima che la schiacciante e soffocante ruota del quotidiano si riappropri prepotentemente dei nostri pensieri, svanisce quell'aura di pura evasione, balsamo salvifico dell'animo nostro e la rappresentazione si chiude con un messaggio di speranza e amore. Calato poi il sipario, ciascuno ritorni alla propria vita ma l'intento di rileggere la peste che colpì la città toscana nel quattordicesimo secolo in chiave moderna e tutt'altro che scontata può dirsi raggiunto.
Eppure è proprio quel carro a favorire la messa in scena delle sette novelle tratte dall'indiscusso capolavoro boccacciano che restituiscono al pubblico suggestioni via via diverse a seconda delle storie rappresentate, tutte legate dal fil rouge di una peste ben più grave rispetto a quella trecentesca perché ben più radicata e insita nei costumi della società odierna. Una peste che traendo spunto dalle storie dei vari personaggi, nelle fogge di truffatori che si fingono preti per estorcere danari, uomini gelosi e cornificati, finti sordi e ciechi oggetto delle passioni più nascoste di un convento di monache, fratelli macchiati del delitto d'onore (come in Elisabetta da Messina) vanno a colpire il nostro sentir civile regalandoci momenti di pura spensieratezza lunghi tutto il tempo del racconto prima di riapprodare alla realtà alla fine della rappresentazione.
Magistralmente dirette e interpretate dalla compagnia sono le tematiche, che appaiono sapientemente e coerentemente messe in scena con l'ausilio del gioco meta teatrale - con cui l'Accorsi si è rivolto più spesso al pubblico - e quanto mai appropriate al nostro secolo, violentato dalle corruzioni delle mafie, dall'incuria dei potenti, dallo sfruttamento degli ultimi. Bella poi la sinergia tra i vari attori, colti di volta in volta a rivestire i ruoli più disparati impreziositi di un fine e sapiente umorismo tutto trecentesco mentre risulta incalzante il ritmo drammaturgico, che si snoda con maestria degli attori, capaci di trasformale le nobili favelle boccaccesche in idiomi facilmente comprensibili ai nostri giorni. Conforta però in conclusione l'efficacia del messaggio di risfogliare i capolavori della nostra letteratura, identità e ricchezza autentica del nostro bagaglio culturale che ci inorgoglisce del nostro essere italiani. Prima che la schiacciante e soffocante ruota del quotidiano si riappropri prepotentemente dei nostri pensieri, svanisce quell'aura di pura evasione, balsamo salvifico dell'animo nostro e la rappresentazione si chiude con un messaggio di speranza e amore. Calato poi il sipario, ciascuno ritorni alla propria vita ma l'intento di rileggere la peste che colpì la città toscana nel quattordicesimo secolo in chiave moderna e tutt'altro che scontata può dirsi raggiunto.