La città
Un tè con il giudice
Intervista sulla legalità al dott. Francesco Messina. «C’è massimo bisogno di etica, nella politica soprattutto»
Barletta - mercoledì 20 giugno 2012
Incontriamo in un caldo pomeriggio di giugno il Presidente facente funzioni del Tribunale di Trani e magistrato coordinatore della sezione distaccata di Barletta, dott. Francesco Messina; il giudice inoltre è iscritto e partecipa con passione dal 1993, come referente nazionale, a Magistratura Democratica, una delle associazioni di magistrati in cui si articola, al proprio interno, l'Associazione Nazionale Magistrati.
In questo periodo ricadono due anniversari molto tristi, ma molto importanti per la storia più recente di questo Paese: i vent'anni dalla morte di Giovanni Falcone, 23 maggio, e Paolo Borsellino, 19 luglio. Due coraggiosi magistrati, simbolo della lotta alla mafia e in generale alla criminalità. Cosa rappresentano oggi e cosa dovrebbero rappresentare?
«Questi magistrati rappresentano per me personalmente un ricordo molto forte, poiché alla loro morte ero entrato in magistratura da pochi mesi, coinvolgendomi molto emotivamente perché iniziavo questo percorso professionale e loro lo concludevano tragicamente. Ho sempre pensato a queste due figure come un qualcosa che deve rappresentare, nelle vite di tutti, l'unione dell'aspetto emotivo, inteso in senso passionale, e quello razionale: oggi c'è la tendenza a valutarle esclusivamente da un punto di vista emotivo, dimenticando l'altro. La loro grandezza è stata l'aver avuto sempre chiaro qual era lo scopo della loro professione, cioè l'accertamento della verità ad ogni costo e la necessità di ristabilire un equilibrio dei diritti che la criminalità organizzata potesse destabilizzare a tutti i livelli. Ciò è possibile solo attraverso una conoscenza e uno studio rigoroso dei fatti. Mi ha sempre colpito sapere che Paolo Borsellino avesse chiaro, sin da un minuto dopo la morte di Giovanni Falcone, che presto sarebbe toccato anche a lui, ma non ha perso tempo: il tempo va utilizzato per qualcosa di profondamente utile per la verità per tutti, perché c'è sempre qualcuno in posizione squilibrata. Ciò è possibile solo con il rigoroso ragionamento. Perciò facciamo un danno nel mitizzare queste persone, rendendole soltanto delle icone nella memoria».
Perché è importante parlare di mafia oggi, ricordare chi ha dato la vita per non aver invece voluto smettere di parlare? Sono passati invano questi anni?
«No, questi anni non sono passati invano perché si sono scoperte molte cose sul fenomeno mafioso e in generale della criminalità organizzata ed è cresciuta molto la consapevolezza, soprattutto in chi è più giovane, della necessità di attuare un meccanismo di quel genere. Trovo detestabile che oggi, anche molti giovani e istituzioni politiche, si rivolgano ai cittadini con questo approccio esclusivamente di tipo iconografico. Oggi deve essere forte la capacità di demistificare. Non sempre viene svolto questo compito da chi frequenta gli ambienti politici. Questo impegno rappresenta una parte della politica vera, in senso stretto: fare cultura, perché facendo cultura si fa anche politica, in senso alto; è per questo che partecipo attivamente alle iniziative dell'associazione "Democrazia delle parole"».
In varie occasioni in questi anni, con la sua autorevole presenza, Magistratura democratica, l'associazione "Democrazia delle parole", avete dato la possibilità ai barlettani di ascoltare, interrogare alte personalità della magistratura, della cultura, della politica, ponendo la necessità della 'parola' nella democrazia. Ma bastano le parole per affrontare pericoli del nostro quotidiano? E le azioni conseguenti quali devono essere?
«Nella società della comunicazione, le parole acquisiscono grande importanza. Ad esempio si parla di scontro tra Magistratura e Politica si tratta, invece, di una vera e propria aggressione ai magistrati; si confonde la differenza tra assoluzione e prescrizione. Quindi approfondire il significato preciso delle parole, riappropriarsene, è il primo passo per agire correttamente. C'è un malinteso senso della concretezza, che dimentica la capacità di ragionamento che c'è dietro: ciascuno può agire bene solo se pensa, e il pensiero è fatto anche di parole, che ognuno recita con se stesso e parole che comunica agli altri. E' ovvio che non ci si debba fermare solo alle parole ma si debbano attuare i comportamenti attivi conseguenti, ciascuno nei propri ambiti operativi. Oggi c'è una strana commistione per cui si chiede al magistrato di fare il politico, ma è un errore concettuale perché l'individuo deve svolgere il proprio compito o ruolo al meglio. Il significato di queste manifestazioni è stato proprio questo: il cittadino una volta reso consapevole non può più tirarsi fuori e agire di conseguenza».
A cosa è dovuta l'escalation d'illegalità in cui è caduta la nostra città negli ultimi tempi (racket, furti, truffe..)? Come stanno reagendo, a suo parere, le Istituzioni locali?
«Per quanto riguarda la magistratura, e in particolare gli uffici di Barletta, sotto il profilo organizzativo la macchina è efficiente. Si è conclusa da pochi giorni l'ispezione ministeriale, che avviene regolarmente ogni sette anni in tutti gli uffici giudiziari, e per quanto riguarda l'ufficio penale di Barletta sono state espresse parole di assoluto compiacimento: è stata definita macchina perfetta e modello da esportare in altre parti d'Italia. Stiamo facendo notevoli progressi anche nel settore civile. Quindi il nostro compito lo svolgiamo al meglio. Tuttavia, dobbiamo registrare una forte carenza di personale nelle forze dell'ordine, problema che dovrebbe essere seriamente preso in considerazione dalle Istituzioni e dal potere politico. Dal punto di vista della magistratura siamo pronti, a prezzo di grandi sacrifici, in termini di mole di lavoro. Il personale politico deve chiedere alle Istituzioni centrali il massimo impegno per portare le dovute risorse alle forze dell'ordine».
Si è notato come negli ultimi mesi siano state tante le occasioni a Barletta in cui si è discusso d'illegalità. A tutte abbiamo notato la costante presenza dei politici locali. Non crede che la classe dirigente voglia rifarsi il look, dopo qualche chiacchiericcio di troppo?
«Per mia disciplina deontologica non parlo della situazione politica locale. A livello generale credo che i cittadini debbano valutare se ognuno svolge i propri compiti al meglio, se la classe dirigente guarda all'interesse collettivo e non personale. Queste sono le domande che mi pongo come semplice cittadino».
…e che risposte si dà?
«Le risposte le tengo per me: sono tenuto ad una riservatezza dettata dalla mia professione. Cosa che spesso alcuni non capiscono. Posso solo dire che tutti, nel rispetto dei propri ruoli, devono usare parole giuste, anche forti, e comportamenti conseguenti».
Crede che ci sia oggi un'etica nella politica? E cosa vuol dire oggi in sostanza a Barletta?
«Io non mi ritengo italiano per il solo fatto di sventolare il tricolore o tifare per la Nazionale, ma per la capacità di ragionamento della tradizione millenaria italiana. Questo ci dice che c'è massimo bisogno di etica, nella politica soprattutto, ognuno poi può valutare se questo valore viene concretizzato nel nostro ambito. Mi è capitato di comporre un collegio giudiziario per un caso di compravendita di voti, non a Barletta, e abbiamo espresso un'assoluta e netta indicazione dei principi costituzionali su questi temi: la tutela della libertà di voto e di espressione deve essere assoluta, di cui deve farsi carico soprattutto chi ha responsabilità istituzionali o ambisce ad averle. Infine dico che a Barletta manca la tendenza a guardare il bene comune e chi vuole emergere lo fa solo criticando gli altri. Il livellare tutto a un livello, spesso mediocre, è controproducente perché creerà un livello basso nella nostra città. Pretendo un'onestà intellettuale, che a Barletta spesso è mancata».
Qual è il suo giudizio sull'operato della prevenzione della criminalità tra gli studenti e sulla loro partecipazione, 'caldeggiata' dagli insegnanti, ad iniziative sulla legalità?
«Personalmente non credo nelle manifestazioni che si limitano al forte impatto emotivo. Da anni non partecipo nelle scuole alle cosiddette 'Giornate della legalità', perché non è utile disputare incontri isolati. A me piace partecipare, e lo faccio spesso e offrendomi gratuitamente, percorsi di legalità: più incontri con gli studenti, portandoli a conoscere i meccanismi istituzionali, per renderli cittadini consapevoli e responsabili. Certo anche le singole manifestazioni hanno una loro validità, ma di gran lunga più importante è far ragionare i ragazzi sui fatti, conoscere le normative. Si diventa veramente liberi conoscendo e non solo assistendo alle rappresentazioni che fanno altri. Altrimenti si fa solo mitizzazione: la scienza dimostra che le sole emozioni nascondono la parte più profonda e più vera dell'uomo».
In questo periodo ricadono due anniversari molto tristi, ma molto importanti per la storia più recente di questo Paese: i vent'anni dalla morte di Giovanni Falcone, 23 maggio, e Paolo Borsellino, 19 luglio. Due coraggiosi magistrati, simbolo della lotta alla mafia e in generale alla criminalità. Cosa rappresentano oggi e cosa dovrebbero rappresentare?
«Questi magistrati rappresentano per me personalmente un ricordo molto forte, poiché alla loro morte ero entrato in magistratura da pochi mesi, coinvolgendomi molto emotivamente perché iniziavo questo percorso professionale e loro lo concludevano tragicamente. Ho sempre pensato a queste due figure come un qualcosa che deve rappresentare, nelle vite di tutti, l'unione dell'aspetto emotivo, inteso in senso passionale, e quello razionale: oggi c'è la tendenza a valutarle esclusivamente da un punto di vista emotivo, dimenticando l'altro. La loro grandezza è stata l'aver avuto sempre chiaro qual era lo scopo della loro professione, cioè l'accertamento della verità ad ogni costo e la necessità di ristabilire un equilibrio dei diritti che la criminalità organizzata potesse destabilizzare a tutti i livelli. Ciò è possibile solo attraverso una conoscenza e uno studio rigoroso dei fatti. Mi ha sempre colpito sapere che Paolo Borsellino avesse chiaro, sin da un minuto dopo la morte di Giovanni Falcone, che presto sarebbe toccato anche a lui, ma non ha perso tempo: il tempo va utilizzato per qualcosa di profondamente utile per la verità per tutti, perché c'è sempre qualcuno in posizione squilibrata. Ciò è possibile solo con il rigoroso ragionamento. Perciò facciamo un danno nel mitizzare queste persone, rendendole soltanto delle icone nella memoria».
Perché è importante parlare di mafia oggi, ricordare chi ha dato la vita per non aver invece voluto smettere di parlare? Sono passati invano questi anni?
«No, questi anni non sono passati invano perché si sono scoperte molte cose sul fenomeno mafioso e in generale della criminalità organizzata ed è cresciuta molto la consapevolezza, soprattutto in chi è più giovane, della necessità di attuare un meccanismo di quel genere. Trovo detestabile che oggi, anche molti giovani e istituzioni politiche, si rivolgano ai cittadini con questo approccio esclusivamente di tipo iconografico. Oggi deve essere forte la capacità di demistificare. Non sempre viene svolto questo compito da chi frequenta gli ambienti politici. Questo impegno rappresenta una parte della politica vera, in senso stretto: fare cultura, perché facendo cultura si fa anche politica, in senso alto; è per questo che partecipo attivamente alle iniziative dell'associazione "Democrazia delle parole"».
In varie occasioni in questi anni, con la sua autorevole presenza, Magistratura democratica, l'associazione "Democrazia delle parole", avete dato la possibilità ai barlettani di ascoltare, interrogare alte personalità della magistratura, della cultura, della politica, ponendo la necessità della 'parola' nella democrazia. Ma bastano le parole per affrontare pericoli del nostro quotidiano? E le azioni conseguenti quali devono essere?
«Nella società della comunicazione, le parole acquisiscono grande importanza. Ad esempio si parla di scontro tra Magistratura e Politica si tratta, invece, di una vera e propria aggressione ai magistrati; si confonde la differenza tra assoluzione e prescrizione. Quindi approfondire il significato preciso delle parole, riappropriarsene, è il primo passo per agire correttamente. C'è un malinteso senso della concretezza, che dimentica la capacità di ragionamento che c'è dietro: ciascuno può agire bene solo se pensa, e il pensiero è fatto anche di parole, che ognuno recita con se stesso e parole che comunica agli altri. E' ovvio che non ci si debba fermare solo alle parole ma si debbano attuare i comportamenti attivi conseguenti, ciascuno nei propri ambiti operativi. Oggi c'è una strana commistione per cui si chiede al magistrato di fare il politico, ma è un errore concettuale perché l'individuo deve svolgere il proprio compito o ruolo al meglio. Il significato di queste manifestazioni è stato proprio questo: il cittadino una volta reso consapevole non può più tirarsi fuori e agire di conseguenza».
A cosa è dovuta l'escalation d'illegalità in cui è caduta la nostra città negli ultimi tempi (racket, furti, truffe..)? Come stanno reagendo, a suo parere, le Istituzioni locali?
«Per quanto riguarda la magistratura, e in particolare gli uffici di Barletta, sotto il profilo organizzativo la macchina è efficiente. Si è conclusa da pochi giorni l'ispezione ministeriale, che avviene regolarmente ogni sette anni in tutti gli uffici giudiziari, e per quanto riguarda l'ufficio penale di Barletta sono state espresse parole di assoluto compiacimento: è stata definita macchina perfetta e modello da esportare in altre parti d'Italia. Stiamo facendo notevoli progressi anche nel settore civile. Quindi il nostro compito lo svolgiamo al meglio. Tuttavia, dobbiamo registrare una forte carenza di personale nelle forze dell'ordine, problema che dovrebbe essere seriamente preso in considerazione dalle Istituzioni e dal potere politico. Dal punto di vista della magistratura siamo pronti, a prezzo di grandi sacrifici, in termini di mole di lavoro. Il personale politico deve chiedere alle Istituzioni centrali il massimo impegno per portare le dovute risorse alle forze dell'ordine».
Si è notato come negli ultimi mesi siano state tante le occasioni a Barletta in cui si è discusso d'illegalità. A tutte abbiamo notato la costante presenza dei politici locali. Non crede che la classe dirigente voglia rifarsi il look, dopo qualche chiacchiericcio di troppo?
«Per mia disciplina deontologica non parlo della situazione politica locale. A livello generale credo che i cittadini debbano valutare se ognuno svolge i propri compiti al meglio, se la classe dirigente guarda all'interesse collettivo e non personale. Queste sono le domande che mi pongo come semplice cittadino».
…e che risposte si dà?
«Le risposte le tengo per me: sono tenuto ad una riservatezza dettata dalla mia professione. Cosa che spesso alcuni non capiscono. Posso solo dire che tutti, nel rispetto dei propri ruoli, devono usare parole giuste, anche forti, e comportamenti conseguenti».
Crede che ci sia oggi un'etica nella politica? E cosa vuol dire oggi in sostanza a Barletta?
«Io non mi ritengo italiano per il solo fatto di sventolare il tricolore o tifare per la Nazionale, ma per la capacità di ragionamento della tradizione millenaria italiana. Questo ci dice che c'è massimo bisogno di etica, nella politica soprattutto, ognuno poi può valutare se questo valore viene concretizzato nel nostro ambito. Mi è capitato di comporre un collegio giudiziario per un caso di compravendita di voti, non a Barletta, e abbiamo espresso un'assoluta e netta indicazione dei principi costituzionali su questi temi: la tutela della libertà di voto e di espressione deve essere assoluta, di cui deve farsi carico soprattutto chi ha responsabilità istituzionali o ambisce ad averle. Infine dico che a Barletta manca la tendenza a guardare il bene comune e chi vuole emergere lo fa solo criticando gli altri. Il livellare tutto a un livello, spesso mediocre, è controproducente perché creerà un livello basso nella nostra città. Pretendo un'onestà intellettuale, che a Barletta spesso è mancata».
Qual è il suo giudizio sull'operato della prevenzione della criminalità tra gli studenti e sulla loro partecipazione, 'caldeggiata' dagli insegnanti, ad iniziative sulla legalità?
«Personalmente non credo nelle manifestazioni che si limitano al forte impatto emotivo. Da anni non partecipo nelle scuole alle cosiddette 'Giornate della legalità', perché non è utile disputare incontri isolati. A me piace partecipare, e lo faccio spesso e offrendomi gratuitamente, percorsi di legalità: più incontri con gli studenti, portandoli a conoscere i meccanismi istituzionali, per renderli cittadini consapevoli e responsabili. Certo anche le singole manifestazioni hanno una loro validità, ma di gran lunga più importante è far ragionare i ragazzi sui fatti, conoscere le normative. Si diventa veramente liberi conoscendo e non solo assistendo alle rappresentazioni che fanno altri. Altrimenti si fa solo mitizzazione: la scienza dimostra che le sole emozioni nascondono la parte più profonda e più vera dell'uomo».