Attualità
Un giornalista barlettano racconta il conflitto dal fronte libanese
Il reporter Attilio Calvaresi con il lucano Nello Rega documenta lo scenario bellico: «Giriamo con i giubbotti antiproiettile, l’attenzione è sempre alta»
Barletta - sabato 21 ottobre 2023
21.03
Viviamo un periodo storico di grande instabilità, e in queste ore lo scenario più instabile di tutti è quello del conflitto tra Israele e Hamas. L'offensiva militare e tutte le sue drammatiche conseguenze vengono raccontate giorno dopo giorno grazie al lavoro dei giornalisti, soprattutto da coloro che in prima persona si trovano lì dove si sta svolgendo l'aggressione.
Uno di questi è il barlettano Attilio Calvaresi, giornalista e cameraman, che con la sua attrezzattura sta affiancando il collega Nello Rega, lucano, caposervizio di Rainews24, per documentare dal vivo per la Rai ciò che accade in queste terribili giornate dalla "Blue Line" al confine tra Libano e Israele.
Di origini libanesi, ha perso la vita durante un attacco a sud del Libano mentre stava lavorando con una troupe per fornire un segnale video in diretta. Altri cinque colleghi sono rimasti feriti. «Sappiamo che il lavoro che tutti voi fate è incredibilmente pericoloso» era stato il messaggio da parte della portavoce della Casa Bianca Olivia Dalton appena appresa la notizia.
Rega e Calvaresi sono gli unici italiani al momento presenti in Libano per raccontare il conflitto. In situazioni del genere, il lavoro giornalistico si accompagna a una grande dose di coraggio.
Nell'hotel in cui alloggiano riescono a trovare ristoro e serenità, allentando la tensione dei collegamenti all'esterno, ma in diversi momenti si convive con il fischio dei missili che riecheggia nelle orecchie. «Risuonano nella testa, questi fischi penetranti, non li dimenticherò mai» conclude Attilio.
Uno di questi è il barlettano Attilio Calvaresi, giornalista e cameraman, che con la sua attrezzattura sta affiancando il collega Nello Rega, lucano, caposervizio di Rainews24, per documentare dal vivo per la Rai ciò che accade in queste terribili giornate dalla "Blue Line" al confine tra Libano e Israele.
La troupe giornalistica dai luoghi di guerra
«Siamo arrivati qui lo scorso 9 ottobre, facendo scalo da Roma a Istanbul per arrivare a Beirut: si vive in una situazione di calma apparente» racconta il collega Attilio dall'hotel in cui sta alloggiano con Rega. «I collegamenti non sono sempre facili, cerchiamo luoghi dove possiamo lavorare in sicurezza, per il resto del tempo giriamo con i giubbotti antiproiettile – aggiunge Attilio – Qui il mantra è quello di tenere l'attenzione sempre alta e avere gli occhi dappertutto». Si muovono in tre: insieme a loro c'è un fixer, che nel lavoro di reportage dalle zone di guerra è una figura di vitale importanza. È essenzialmente un interprete, incaricato di tradurre dall'arabo all'inglese e viceversa, ma è anche una guida locale, una persona che sa come muoversi in queste zone.Giornalismo e coraggio
Tra i vari collegamenti che vengono mandati in onda sui canali Rai, uno in particolare è stato molto doloroso: Rega e Calvaresi si sono recati sul luogo in cui è rimasto ucciso un reporter dell'agenzia di stampa Reuters, Issam Abdallah (guarda il video).Di origini libanesi, ha perso la vita durante un attacco a sud del Libano mentre stava lavorando con una troupe per fornire un segnale video in diretta. Altri cinque colleghi sono rimasti feriti. «Sappiamo che il lavoro che tutti voi fate è incredibilmente pericoloso» era stato il messaggio da parte della portavoce della Casa Bianca Olivia Dalton appena appresa la notizia.
Rega e Calvaresi sono gli unici italiani al momento presenti in Libano per raccontare il conflitto. In situazioni del genere, il lavoro giornalistico si accompagna a una grande dose di coraggio.
Nell'hotel in cui alloggiano riescono a trovare ristoro e serenità, allentando la tensione dei collegamenti all'esterno, ma in diversi momenti si convive con il fischio dei missili che riecheggia nelle orecchie. «Risuonano nella testa, questi fischi penetranti, non li dimenticherò mai» conclude Attilio.