Calvino e il cinema di Vito Santoro
Calvino e il cinema di Vito Santoro
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Scoprire (e riscoprire) Calvino attraverso il cinema

Presentazione del libro del prof. Vito Santoro “Calvino e il cinema”. Incontro organizzato dalla Società Dante Alighieri presso il Liceo Classico

«Non so niente di cinema» è la modesta – e forse provocatoria – frase di Italo Calvino che apre l'interessante saggio di Vito Santoro, dottore di ricerca in italianistica presso l'Università degli Studi di Bari, dal titolo esplicativo "Calvino e il cinema". Il libro è stato presentato a Barletta giovedì sera, nell'aula magna del liceo classico "Casardi" in un incontro promosso dalla Società Dante Alighieri, moderato dalla professoressa Emilia Cosentino, anticipato da un intervento del preside Giuseppe Lagrasta e con la partecipazione attiva di alcuni studenti che hanno letto e interpretato passi di alcune opere più significative di Italo Calvino.

Un modo di scoprire (ma soprattutto ri-scoprire) la narrativa calviniana attraverso gli strumenti della cinematografia: qual è stato il rapporto di Italo Calvino con il cinema? E cosa ha rappresentato il linguaggio cinematografico nelle opere dello scrittore? Con il cinema, Italo Calvino ha un rapporto controverso, spiega Vito Santoro presentando il suo saggio: se – da un lato – le sue bozze di sceneggiatura non vedono mai la luce del sole, dall'altro lato conduce una lunga esperienza di critico cinematografico su diverse riviste e quotidiani, "Cinema nuovo", "La Repubblica" e "L'Unità". Ma sono soprattutto le riduzioni cinematografiche e televisive di alcune sue opere ad essere interessante oggetto di studio: una su tutte, la versione filmica del libro "Il Cavaliere inesistente" realizzata da Pino Zac nel 1969.

Studiare Italo Calvino attraverso il caleidoscopio del cinema rappresenta un nuovo approccio alla sua pagina, al suo sguardo sul mondo: la narrativa di Calvino è soprattutto visiva, e perciò non è un caso che l'occhio del cinema sia particolarmente adatto a scrutare i significati fantastici e dirompenti di un autore estremamente ricco come Calvino. Il testo di Vito Santoro è inoltre occasione per rileggere una importante fetta della storia del cinema italiano, a partire dal 1960, annus mirabilis della cinematografia made in Italy con le opere di tre grandi maestri del passato: "La dolce vita" di Federico Fellini, "L'avventura" di Michelangelo Antonioni e "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti.

«Per Calvino – scrive Santoro nel suo saggio - la lettura di una poesia e la visione di un film sono due esperienze che implicano l'immersione in un mondo di immagini che solo concettualmente ha un creatore che le provoca e un fruitore che le riceve. In realtà in entrambi i casi si assiste al coinvolgimento in una specie di gioco collettivo fatto di rimandi concatenati tra loro, dove si ricevono e si ri-creano sensazioni, come i cristalli nel vortice di un caleidoscopio. In altre parole, attraverso il cinema e la poesia si possono suscitare immagini già viste sotto una diversa angolazione, cioè si può "vedere di più", penetrare così a fondo nelle cose fino a trasfigurarle e pervenire ad un effetto di irrealtà».
"Chi ha l'occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi". Nasce come vignettista e favolista l'autore di questa proverbiale e saggia frase: Italo Calvino. Convinto assertore dell'importanza del senso visivo piuttosto che dell'organo, Calvino potenzia la sensibilità visiva fino ad elevarla a copula mundi, come paradigma universale per creare modelli di mondo. La scrittura calviniana è densa di immagini-focus, le sue descrizioni sul mondo veicolano l'esistenza dello stesso, leggerla è come battere una battigia tra figura e parola, tra significati e significanti. E quale miglior strumento,dunque, può dare sostanza visibile alla forma invisibile se non il cinema? Grazie a Calvino, il rapporto tra scrittura e schermo negli anni '60 è di reciproco sostegno, di vicendevole determinazione e questo basta per ridimensionare il cinema e ampliare il racconto nelle loro ragioni di esistenza più incontaminata. Le inquadrature si restringono, le azioni si addensano, i dialoghi si esautorano e le descrizioni si fanno fitte, tangibili, palpabili. La particolarizzazione sineddotica pone in sinergico compendio la penna di Calvino e la direzione di registi come Monicelli, Fellini, Antonioni, Visconti e Manfredi.

Lo scrittore dello sguardo, sebbene restio al "fracassone" cinema italiano a lui contemporaneo, immagina l'occhio umano come il filtro che permea lo sguardo della mente e, attraverso questa alienazione psicologica, si attua una dislocazione di pensieri che prendono vita nella pellicola filmica. Parole rinchiuse nelle inquadrature e scene che spiccano il volo dai testi, questo il magico risultato derivante dall'ancillare cooperazione tra dimensione prosimetrica e cinematografica che il prof. Vito Santoro ha voluto rilevare nel suo libro "Calvino e il cinema".
  • Liceo Classico "A. Casardi"
  • Presentazione libro
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