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«Questo rigurgito neo-colonialista è antistorico e antiumano»
La lectio magistralis di Ugo Villani sul conflitto israeliano-palestinese
Mondo - martedì 5 agosto 2014
Non si è mai dall'altra parte del mondo quando si parla di guerra. E figuriamoci quando si parla di guerra, ma di fatto si esegue un massacro. Barletta ha sentito l'esigenza di capire meglio cosa sta succedendo nella Striscia di Gaza e per farlo si è avvalsa di una figura professionale, prof. Ugo Villani, docente universitario di diritto internazionale.
L'approccio storico della lezione aperta, a conclusione della Festa in Periferia organizzata da Sinistra Unita, riporta avanti il passato e fa capire come è avvenuto l'innesto ebreo e tutte le ambiguità politiche del caso: «E' difficile fare un'analisi fredda di una strage umana ma cercherò di astenermi dal giudizio emotivo-esordisce Villani. Tutto comincia quando nel 1925, la Società delle Nazioni affida alla Gran Bretagna un mandato sulla Palestina; mandato che prevedeva la concessione agli arabi della Palestina come paese indipendente e agli ebrei la concessione della stessa terra come Sede nazionale (National home). Questo assetto permane fino alla risoluzione 181 che l'ONU approva il 29 novembre 1947, con un piano di spartizione che vede la Palestina divisa in tre parti: uno stato ebraico sul 56% del territorio, uno stato palestinese e una zona internazionale che comprenda Gerusalemme e Betlemme. Il confine tracciato viene definito "Linea Verde". Un piano non approvato dallo stato arabo e che porterà alla creazione dello Stato d'Israele l'anno successivo. All'indomani di questa proclamazione, scoppiano i primi conflitti tra Israele e gli stati arabi confinanti. Saranno quattro: 1948-1949, nell'ottobre-novembre 1956, nel giugno 1967 (guerra dei sei giorni) e nell'ottobre 1973 (Yom Kippur) e aggiungerei quello del "margine difensivo" del luglio-agosto 2014. L'appropriazione di territori mediante l'uso delle armi è uno dei primi divieti alla base della diplomazia internazionale, che fa il paio con il principio di autodeterminazione dei popoli. Con il divieto si toglie agli israeliani, con il diritto si dà ai palestinesi; eppure le ambiguità non mancano: dai documenti rilasciati dal Consiglio di Sicurezza si può rilevare un'incongruenza interpretativa sulla clausola che impone a Israele di ritirarsi dai territori. Nel documento inglese si legge "from territories", mentre in quello francese "des territoires": il primo indica un ritiro da alcuni territori occupati, mentre il secondo implica un ritiro assoluto da tutti i territori, ma è una consuetudine ormai globale accettare l'inglese come lingua franca».
Non manca di ironia Villani quando si sofferma sulla preziosa spiegazione di questi escamotages diplomatici, volutamente ambigui. E va avanti con le quattro convenzioni di Ginevra, con gli accordi di Oslo del 1993, con l'operazione piombo fuso tra il 2008 e il 2009 e l'innalzamento dello status della Palestina a "stato osservatore non membro" dell'ONU, con il voto contrario degli Usa. Inorridisce Villani al ricordo della guerra preventiva, approvata e attuata da Bush figlio per attaccare l'Iraq; inorridisce al pensiero che due premi Nobel per la Pace (Mandela e Arafat) siano stati inseriti nella lista mondiale dei terroristi; inorridisce di fronte all'informazione mutilata, che parla di risoluzione trovata dal Consiglio di sicurezza, quando in realtà trattasi di un'inconcludente raccomandazione: «Che Israele si deve ritirare e Hamas non deve più sparare è chiaro a tutti. Questa non è una risoluzione, ma un palliativo comunicativo che vuole rompere l'assordante silenzio dei grandi organismi internazionali sulla vicenda. Una via d'uscita sicuramente più fattibile l'ha trovata il Consiglio europeo dei diritti umani, che ha condannato tutte le violazioni dei diritti umanitari; stabilito dei luoghi interdetti all'attacco militare (scuole, ospedali, chiese); vietato la punizione collettiva dei civili e obbligato gli stati aderenti non solo a rispettare, ma anche a far rispettare ai singoli le norme approvate».
La soluzione proposta da Villani è la creazione di due stati, con confini e barriere ben definiti, come se l'unica salvezza risieda nella separazione. Ma come arrivarci? Questo rimane il grande dedalo della questione arabo-israeliana, che pur avendo il suo epilogo utopistico, manca ancora di quello scientifico. Sulla figura del mediatore, Villani è dubbioso: «I governi che sono stati proposti come mediatori non mi convincono perché né l'Egitto, né l'Unione europea sono equidistanti dai due poli. L'Egitto è troppo schierato e l'UE non ha l'assetto militare, e soprattutto di una politica estera unitaria, per mediare una polarizzazione così cruenta».
E mentre lo scenario medio-orientale si sta rivoluzionando sul versante geo-politico, la storia ci dice che Shoah e Al-Nakba non hanno avuto la stessa dignità narrativa e commemorativa: «In effetti-ammette Villani-le due diaspore sono entrate in rotta di collisione tra loro e anziché capire reciprocamente il dolore dell'altro, le ostilità si animano nella reciproca negazione di due popoli che hanno sofferto. Qui sta l'unica soluzione umana possibile, nel riconoscimento reciproco della sofferenza. Questo rigurgito neo-colonialista è antistorico e antiumano». 40 giorni, 1800 vittime, di cui un terzo è rappresentato da bambini; solo i morti riescono a vedere la fine della guerra. Noi siamo ancora vivi e non ci è concesso sperare.
L'approccio storico della lezione aperta, a conclusione della Festa in Periferia organizzata da Sinistra Unita, riporta avanti il passato e fa capire come è avvenuto l'innesto ebreo e tutte le ambiguità politiche del caso: «E' difficile fare un'analisi fredda di una strage umana ma cercherò di astenermi dal giudizio emotivo-esordisce Villani. Tutto comincia quando nel 1925, la Società delle Nazioni affida alla Gran Bretagna un mandato sulla Palestina; mandato che prevedeva la concessione agli arabi della Palestina come paese indipendente e agli ebrei la concessione della stessa terra come Sede nazionale (National home). Questo assetto permane fino alla risoluzione 181 che l'ONU approva il 29 novembre 1947, con un piano di spartizione che vede la Palestina divisa in tre parti: uno stato ebraico sul 56% del territorio, uno stato palestinese e una zona internazionale che comprenda Gerusalemme e Betlemme. Il confine tracciato viene definito "Linea Verde". Un piano non approvato dallo stato arabo e che porterà alla creazione dello Stato d'Israele l'anno successivo. All'indomani di questa proclamazione, scoppiano i primi conflitti tra Israele e gli stati arabi confinanti. Saranno quattro: 1948-1949, nell'ottobre-novembre 1956, nel giugno 1967 (guerra dei sei giorni) e nell'ottobre 1973 (Yom Kippur) e aggiungerei quello del "margine difensivo" del luglio-agosto 2014. L'appropriazione di territori mediante l'uso delle armi è uno dei primi divieti alla base della diplomazia internazionale, che fa il paio con il principio di autodeterminazione dei popoli. Con il divieto si toglie agli israeliani, con il diritto si dà ai palestinesi; eppure le ambiguità non mancano: dai documenti rilasciati dal Consiglio di Sicurezza si può rilevare un'incongruenza interpretativa sulla clausola che impone a Israele di ritirarsi dai territori. Nel documento inglese si legge "from territories", mentre in quello francese "des territoires": il primo indica un ritiro da alcuni territori occupati, mentre il secondo implica un ritiro assoluto da tutti i territori, ma è una consuetudine ormai globale accettare l'inglese come lingua franca».
Non manca di ironia Villani quando si sofferma sulla preziosa spiegazione di questi escamotages diplomatici, volutamente ambigui. E va avanti con le quattro convenzioni di Ginevra, con gli accordi di Oslo del 1993, con l'operazione piombo fuso tra il 2008 e il 2009 e l'innalzamento dello status della Palestina a "stato osservatore non membro" dell'ONU, con il voto contrario degli Usa. Inorridisce Villani al ricordo della guerra preventiva, approvata e attuata da Bush figlio per attaccare l'Iraq; inorridisce al pensiero che due premi Nobel per la Pace (Mandela e Arafat) siano stati inseriti nella lista mondiale dei terroristi; inorridisce di fronte all'informazione mutilata, che parla di risoluzione trovata dal Consiglio di sicurezza, quando in realtà trattasi di un'inconcludente raccomandazione: «Che Israele si deve ritirare e Hamas non deve più sparare è chiaro a tutti. Questa non è una risoluzione, ma un palliativo comunicativo che vuole rompere l'assordante silenzio dei grandi organismi internazionali sulla vicenda. Una via d'uscita sicuramente più fattibile l'ha trovata il Consiglio europeo dei diritti umani, che ha condannato tutte le violazioni dei diritti umanitari; stabilito dei luoghi interdetti all'attacco militare (scuole, ospedali, chiese); vietato la punizione collettiva dei civili e obbligato gli stati aderenti non solo a rispettare, ma anche a far rispettare ai singoli le norme approvate».
La soluzione proposta da Villani è la creazione di due stati, con confini e barriere ben definiti, come se l'unica salvezza risieda nella separazione. Ma come arrivarci? Questo rimane il grande dedalo della questione arabo-israeliana, che pur avendo il suo epilogo utopistico, manca ancora di quello scientifico. Sulla figura del mediatore, Villani è dubbioso: «I governi che sono stati proposti come mediatori non mi convincono perché né l'Egitto, né l'Unione europea sono equidistanti dai due poli. L'Egitto è troppo schierato e l'UE non ha l'assetto militare, e soprattutto di una politica estera unitaria, per mediare una polarizzazione così cruenta».
E mentre lo scenario medio-orientale si sta rivoluzionando sul versante geo-politico, la storia ci dice che Shoah e Al-Nakba non hanno avuto la stessa dignità narrativa e commemorativa: «In effetti-ammette Villani-le due diaspore sono entrate in rotta di collisione tra loro e anziché capire reciprocamente il dolore dell'altro, le ostilità si animano nella reciproca negazione di due popoli che hanno sofferto. Qui sta l'unica soluzione umana possibile, nel riconoscimento reciproco della sofferenza. Questo rigurgito neo-colonialista è antistorico e antiumano». 40 giorni, 1800 vittime, di cui un terzo è rappresentato da bambini; solo i morti riescono a vedere la fine della guerra. Noi siamo ancora vivi e non ci è concesso sperare.