Eventi
«Ogni giornalista scrive la sua verità»
Meeting delle testate giornalistiche locali. Verità e idee personali nel dibattito presso la chiesa del SS. Crocifisso
Barletta - sabato 26 gennaio 2013
Ferruccio de Bortoli, Giorgio Napolitano e Gianfranco Ravasi, un dialogo tridimensionale tra editoria, stato e religione, tre voci che si incontrano nel segno comune di una cultura morale. Questo il filmato proiettato nell'auditorium della chiesa del SS. Crocifisso per dare inizio al cruciale dibattito tra testate giornalistiche laiche e cattoliche del territorio. Moderatore dell'incontro Riccardo Losappio, direttore della commissione culturale e comunicazioni sociali dell'arcidiocesi Trani-Barletta-Bisceglie, che ha invitato a una tensione morale del sé verso la socialità, una pulsione che sfreghi costantemente il confine tra verità soggettiva e verità universale, tra fatti e interpretazioni, tra cronaca e opinione, tra denotazione e connotazione.
Ci si crede cercatori di sostanza, "sense makers" ma difficilmente ci si sofferma sulla subordinazione della sostanza rispetto alla forma. E' la relazione delle idee, la loro diposizione a incorniciare la notizia e a farne derivare il senso; l'effetto framing è il responsabile della percezione della notizia esattamente come in un film è l'inquadratura a render suggestiva la scena. E allora si può credere in una verità oggettiva? In una pura denotazione di fatti? Nella notizia pura, asettica, scevra da ogni contaminazione di pensiero? Ai lettori l'ardua risposta tenendo conto di una banalità rilevante: dietro un testo di notizia vi è sempre una mente pensante ma non sempre un'intenzione manipolatoria.
Emblematica una frase di Eugenio Scalfari: "Ogni giornalista scrive la sua verità, l'importante è che dica dove si trova". Allora la pretesa oggettiva di verità è per un giornalista solo un'utopia, οὐ ("non") e τόπος ("luogo"), un'aspirazione senza luogo perché i luoghi del sapere sono edificati da pensieri individuali che concorrono per il bene comune, non per una conoscenza universalmente accettabile. La condivisione totale di un'idea porterebbe la dialettica sociale a un punto di stallo, di congelamento atrofizzante. Un dibattito intersecatosi su due fronti: quello tra giornalismo anticlericale e scrittura religiosa, e il fronte interno al giornalismo stesso con la questione cruciale dell'imparzialità deontologica. Il giornalismo di verità (singola o plurima che sia) rende, ad ogni modo, il mondo più civile per il suo potere comunicativo e non lesivo.
Chi legge deve pur sempre riconoscere a chi scrive l'onesta intellettuale di non voler né dissimulare i propri pensieri, né far simulare quelli altrui. Il pioniere del più profondo umanesimo credente, Kierkegaard, disse che la verità è qualcosa per cui valga la pena vivere e morire e se per un giornalista cattolico la verità è Dio, per uno laico è la propria idea.
Ci si crede cercatori di sostanza, "sense makers" ma difficilmente ci si sofferma sulla subordinazione della sostanza rispetto alla forma. E' la relazione delle idee, la loro diposizione a incorniciare la notizia e a farne derivare il senso; l'effetto framing è il responsabile della percezione della notizia esattamente come in un film è l'inquadratura a render suggestiva la scena. E allora si può credere in una verità oggettiva? In una pura denotazione di fatti? Nella notizia pura, asettica, scevra da ogni contaminazione di pensiero? Ai lettori l'ardua risposta tenendo conto di una banalità rilevante: dietro un testo di notizia vi è sempre una mente pensante ma non sempre un'intenzione manipolatoria.
Emblematica una frase di Eugenio Scalfari: "Ogni giornalista scrive la sua verità, l'importante è che dica dove si trova". Allora la pretesa oggettiva di verità è per un giornalista solo un'utopia, οὐ ("non") e τόπος ("luogo"), un'aspirazione senza luogo perché i luoghi del sapere sono edificati da pensieri individuali che concorrono per il bene comune, non per una conoscenza universalmente accettabile. La condivisione totale di un'idea porterebbe la dialettica sociale a un punto di stallo, di congelamento atrofizzante. Un dibattito intersecatosi su due fronti: quello tra giornalismo anticlericale e scrittura religiosa, e il fronte interno al giornalismo stesso con la questione cruciale dell'imparzialità deontologica. Il giornalismo di verità (singola o plurima che sia) rende, ad ogni modo, il mondo più civile per il suo potere comunicativo e non lesivo.
Chi legge deve pur sempre riconoscere a chi scrive l'onesta intellettuale di non voler né dissimulare i propri pensieri, né far simulare quelli altrui. Il pioniere del più profondo umanesimo credente, Kierkegaard, disse che la verità è qualcosa per cui valga la pena vivere e morire e se per un giornalista cattolico la verità è Dio, per uno laico è la propria idea.