La città
Miki, Paki, Gianni e gli altri. Il problema dei giovani a Barletta dopo la tragedia
Manca una presa di coscienza sulle emergenze del mondo giovanile
Barletta - sabato 1 agosto 2020
C'è un vecchio e cinico detto barlettano che recita: "il morto tre giorni si piange". A qualche settimana dal drammatico incidente costato la vita a tre ragazzi barlettani in sella a una bici elettrica ci chiediamo se sarà così anche stavolta, oppure se l'immane tragedia della Andria-Barletta – come ricordato da Don Giuseppe Cavaliere in occasione delle esequie di una delle vittime del 15 luglio scorso - costituirà finalmente l'occasione affinché cittadini e istituzioni di ogni ordine e grado si decidano finalmente a porre al centro dell'attenzione le problematiche dei nostri giovani e di riflesso del nostro futuro prossimo?
Quanto accaduto la mattina del 15 luglio avrebbe dovuto quanto meno indurci ad un serio esame di coscienza su quanto come comunità abbiamo fatto in questi anni, cioè nulla, in tema di problematiche giovanili.
E invece non una riflessione, non un pensiero, né tanto meno un mea culpa sui modelli di vita che da qualche decennio propiniamo ai nostri ragazzi. Anzi, talvolta, a seconda di quel che ci frulla nel cervello, ci si è lasciati andare o al forcaiolismo più cieco, che ha raggiunto l'acme sulle pagine social dopo il maxi sequestro di e-bike dei giorni scorsi da parte della Polizia municipale, oppure al solito perdonismo di circostanza che, stringi stringi, spesso altro non è che giustificazionismo verso uno stile di vita che non è poi tanto lontano dal nostro.
Per non parlare delle classi dirigenti di ogni ordine e grado, che a proposito di politiche giovanili, negli ultimi decenni altro non hanno fatto se non ripetere, con espressione finto contrita, le solite frasi fatte del tipo "un giovane su due né studia né lavora", salvo poi tornare a fregarsene tra una tartina e un prosecco, una volta spenta la spia "Rec" delle telecamere.
Quanti anni sono che a proposito dei nostri ragazzi sentiamo ripetere frasi tanto superficiali quanto inutili del tipo: "Siamo tra gli ultimi in Europa quanto a numero di laureati". Già, ma qualcuno si è mai posto il problema della preparazione media di tanti neo immatricolati?
"I giovani non hanno più voglia di fare certi lavori". Il che in parte è anche vero, ma qualcuno, ad esempio, si è mai chiesto se vi è una valida logica nell'obbligo scolastico fino a 16 anni (tra secondo e terzo anno di scuola secondaria) che vada oltre l'aumento degli introiti delle case editrici? E poi? Una volta lasciata la scuola a 16 anni (il che, "incredibile ma vero", capita ancora abbastanza spesso) che succede? Vanno a fare gli apprendisti? Dove? E soprattutto, viste le esigenze dei sedicenni e diciassettenni di oggi, la loro paga - ammesso che questa ci sia, visti i tempi - sarebbe sufficiente per jeans, camicie, scarpe, motorino (o e-bike), pizza, birra, tatuaggi, smartphone e fidanzatina, atteso che al giorno d'oggi, nel "meraviglioso" mondo globalizzato che ha come mantra parole come "competitività" e "riforme" (leggi compressione dei salari), gran parte delle loro famiglie risulta ben lungi dal navigare nell'oro?
E ancora ci meravigliamo del perché - a Barletta e in tutta Italia - tanti ragazzi scelgono la via della trasgressione delle regole e del cosiddetto "guadagno facile", per poi filosofeggiare ipocritamente sulla presenza in città del cantante neomelodico?
Dov'erano a inizio millennio i tanti Dante e Virgilio alle monacelle che oggi sermoneggiano sui gruppi social, mentre le fabbriche chiudevano e le tentazioni per i nostri ragazzi crescevano?
Perché, bando all'ipocrisia, a Barletta i giovani negli ultimi decenni sono stati considerati poco più che "carne da movida", con tutte le loro debolezze, con tutti i loro eccessi e non di rado con tutte le spiacevoli conseguenze che vanno dal fenomeno della e-bike selvaggia al vandalismo, dall'ubriachezza molesta all'uso, abuso e spaccio di sostanze stupefacenti, dalle risse per strada fino al dramma di quella stramaledetta mattina di mercoledì 15 luglio.
Già, perché Miki, Gianni e Paki, oltre che vittime della strada, sono vittime di un qualcosa forse molto più grande di loro che negli anni è andato sempre più sedimentandosi. Più di qualche ottimista in passato ha anche provato a giustificare questo qualcosa come prezzo da pagare in nome dello "sviluppo turistico" della città di Barletta. Noi invece, alla luce del fatto che il tanto agognato "sviluppo turistico" è ancora ben lungi dal materializzarsi, in segno di rispetto per tre giovani vite spezzate, e per una quarta, quella dell'autista del furgoncino, forse irrimediabilmente segnata da questa tragedia, ci limitiamo a definire questo modo di pensare, quanto meno come "superficiale". Anche se la tentazione di usare altri aggettivi resta molto forte.
Quanto accaduto la mattina del 15 luglio avrebbe dovuto quanto meno indurci ad un serio esame di coscienza su quanto come comunità abbiamo fatto in questi anni, cioè nulla, in tema di problematiche giovanili.
E invece non una riflessione, non un pensiero, né tanto meno un mea culpa sui modelli di vita che da qualche decennio propiniamo ai nostri ragazzi. Anzi, talvolta, a seconda di quel che ci frulla nel cervello, ci si è lasciati andare o al forcaiolismo più cieco, che ha raggiunto l'acme sulle pagine social dopo il maxi sequestro di e-bike dei giorni scorsi da parte della Polizia municipale, oppure al solito perdonismo di circostanza che, stringi stringi, spesso altro non è che giustificazionismo verso uno stile di vita che non è poi tanto lontano dal nostro.
Per non parlare delle classi dirigenti di ogni ordine e grado, che a proposito di politiche giovanili, negli ultimi decenni altro non hanno fatto se non ripetere, con espressione finto contrita, le solite frasi fatte del tipo "un giovane su due né studia né lavora", salvo poi tornare a fregarsene tra una tartina e un prosecco, una volta spenta la spia "Rec" delle telecamere.
Quanti anni sono che a proposito dei nostri ragazzi sentiamo ripetere frasi tanto superficiali quanto inutili del tipo: "Siamo tra gli ultimi in Europa quanto a numero di laureati". Già, ma qualcuno si è mai posto il problema della preparazione media di tanti neo immatricolati?
"I giovani non hanno più voglia di fare certi lavori". Il che in parte è anche vero, ma qualcuno, ad esempio, si è mai chiesto se vi è una valida logica nell'obbligo scolastico fino a 16 anni (tra secondo e terzo anno di scuola secondaria) che vada oltre l'aumento degli introiti delle case editrici? E poi? Una volta lasciata la scuola a 16 anni (il che, "incredibile ma vero", capita ancora abbastanza spesso) che succede? Vanno a fare gli apprendisti? Dove? E soprattutto, viste le esigenze dei sedicenni e diciassettenni di oggi, la loro paga - ammesso che questa ci sia, visti i tempi - sarebbe sufficiente per jeans, camicie, scarpe, motorino (o e-bike), pizza, birra, tatuaggi, smartphone e fidanzatina, atteso che al giorno d'oggi, nel "meraviglioso" mondo globalizzato che ha come mantra parole come "competitività" e "riforme" (leggi compressione dei salari), gran parte delle loro famiglie risulta ben lungi dal navigare nell'oro?
E ancora ci meravigliamo del perché - a Barletta e in tutta Italia - tanti ragazzi scelgono la via della trasgressione delle regole e del cosiddetto "guadagno facile", per poi filosofeggiare ipocritamente sulla presenza in città del cantante neomelodico?
Dov'erano a inizio millennio i tanti Dante e Virgilio alle monacelle che oggi sermoneggiano sui gruppi social, mentre le fabbriche chiudevano e le tentazioni per i nostri ragazzi crescevano?
Perché, bando all'ipocrisia, a Barletta i giovani negli ultimi decenni sono stati considerati poco più che "carne da movida", con tutte le loro debolezze, con tutti i loro eccessi e non di rado con tutte le spiacevoli conseguenze che vanno dal fenomeno della e-bike selvaggia al vandalismo, dall'ubriachezza molesta all'uso, abuso e spaccio di sostanze stupefacenti, dalle risse per strada fino al dramma di quella stramaledetta mattina di mercoledì 15 luglio.
Già, perché Miki, Gianni e Paki, oltre che vittime della strada, sono vittime di un qualcosa forse molto più grande di loro che negli anni è andato sempre più sedimentandosi. Più di qualche ottimista in passato ha anche provato a giustificare questo qualcosa come prezzo da pagare in nome dello "sviluppo turistico" della città di Barletta. Noi invece, alla luce del fatto che il tanto agognato "sviluppo turistico" è ancora ben lungi dal materializzarsi, in segno di rispetto per tre giovani vite spezzate, e per una quarta, quella dell'autista del furgoncino, forse irrimediabilmente segnata da questa tragedia, ci limitiamo a definire questo modo di pensare, quanto meno come "superficiale". Anche se la tentazione di usare altri aggettivi resta molto forte.