Eventi
Michael Slaby svela i retroscena dell’Obama’s campaign 2012
Il pop della politica nell’informa(tizza)zione
Puglia - martedì 1 ottobre 2013
Chief integration and innovation officer, così si presenta Michael Slaby, il genio che ha contribuito alla doppietta Obama con il semplice ma arduo intento di arrivare alla gente. Sta tenendo lezioni accademiche in tutta Italia e ha fatto tappa a Bari, disquisendo dell'affilato tridente di "Internet, trasparenza, democrazia".
La campagna elettorale 2012 di Barack Obama è passata alla storia come il primo innesto della politica nelle morbide pieghe della tecnologia; l'artefice di questo astuto piegamento è Michael Slaby, un filantropo di fondo, un democratico per convinzione. E' convinto infatti della forza genitrice delle masse, del potere incontrastato che ha chi non è al potere; la politica per Slaby sembra essere quell'angolo a cui si affiancano le chiacchiere della gente, l'incontro, la collaborazione a colpi di click. Ecco l'efficacia della comunicazione virale, l'interconnessione dei pensieri in rete, la conoscenza superficiale di anche solo l'esistenza di qualcosa di nuovo. L'analisi che Slaby fa sul mondo liquido dell'artefatto è precisa: i nostri profili facebook sono come la pipa di Magritte a rimanere sul piano reale, ma sono le maschere che equivalgono ai nostri volti-votanti, se pensiamo agli effetti. Quello che ci compare nella home dei social network sono tutte le azioni narcisistiche dettate dal pensiero inconscio; perché non sfruttare questa subdola fenomenologia per promuovere le idee del potenziale presidente degli Stati Uniti d'America? Una domanda scaltra, alla quale Slaby ha dato una risposta fattuale facendo girare gli "Obama thoughts" su twitter e facebook. Pensieri che ti vengono buttati in faccia e che si avvalgono dell'autorevolezza del quid per poter essere conosciuti. La conoscenza non equivale al gradimento, ma nell'indecisione, si sa, è sempre il noto ad avere la meglio.
Chi vuole arrivare alla gente non ha bisogno di essere un attore bravo nelle pantomime; è necessario che sia un acrobata in grado di sapersi muovere indifferentemente sulle superfici più diverse. "Forward"(verso) è lo slogan della seconda campagna elettorale del presidente; "From Obama to the future" come se Obama fosse il nome di un trampolino da cui tuffarsi verso acque tutte da scoprire. In Italia si sono sprecati tra "rottamatori" e "usati sicuri"; in America si è preso il meglio dal passato (l'interazione comunicativa di Roosevelt davanti al caminetto) e lo si è portato nei tempi e negli spazi rivoluzionari del web. Il web non più inteso come mezzo ma come fine, perché la gente è lo scopo, la rete è la comunità virtuale e basta un sillogismo logico per capire che, una volta in internet, sei in piazza. Come preservarsi dall'informazione pop però? Quella fatta da chiunque possa generare un contenuto in rete? Slaby rassicura la stampa richiamandola al suo ruolo di selettore di priorità, di verità, di epuratore del fasullo ma anche di "stuart" preposto all'accoglienza delle spinte che vengono dal basso.
Una lezione che ha voluto marcare sull'impossibilità di demarcare una linea di confine tra pubblico e privato, tra autorevole e incerto, tra visibile e nascosto. Si deve aver coscienza che il fluido può consolidarsi, che il temporaneo può prolungarsi, che le cose esterne possono avere effetti all'interno, che la maschera può diventare il volto, che chi infetta può essere infettato.
La campagna elettorale 2012 di Barack Obama è passata alla storia come il primo innesto della politica nelle morbide pieghe della tecnologia; l'artefice di questo astuto piegamento è Michael Slaby, un filantropo di fondo, un democratico per convinzione. E' convinto infatti della forza genitrice delle masse, del potere incontrastato che ha chi non è al potere; la politica per Slaby sembra essere quell'angolo a cui si affiancano le chiacchiere della gente, l'incontro, la collaborazione a colpi di click. Ecco l'efficacia della comunicazione virale, l'interconnessione dei pensieri in rete, la conoscenza superficiale di anche solo l'esistenza di qualcosa di nuovo. L'analisi che Slaby fa sul mondo liquido dell'artefatto è precisa: i nostri profili facebook sono come la pipa di Magritte a rimanere sul piano reale, ma sono le maschere che equivalgono ai nostri volti-votanti, se pensiamo agli effetti. Quello che ci compare nella home dei social network sono tutte le azioni narcisistiche dettate dal pensiero inconscio; perché non sfruttare questa subdola fenomenologia per promuovere le idee del potenziale presidente degli Stati Uniti d'America? Una domanda scaltra, alla quale Slaby ha dato una risposta fattuale facendo girare gli "Obama thoughts" su twitter e facebook. Pensieri che ti vengono buttati in faccia e che si avvalgono dell'autorevolezza del quid per poter essere conosciuti. La conoscenza non equivale al gradimento, ma nell'indecisione, si sa, è sempre il noto ad avere la meglio.
Chi vuole arrivare alla gente non ha bisogno di essere un attore bravo nelle pantomime; è necessario che sia un acrobata in grado di sapersi muovere indifferentemente sulle superfici più diverse. "Forward"(verso) è lo slogan della seconda campagna elettorale del presidente; "From Obama to the future" come se Obama fosse il nome di un trampolino da cui tuffarsi verso acque tutte da scoprire. In Italia si sono sprecati tra "rottamatori" e "usati sicuri"; in America si è preso il meglio dal passato (l'interazione comunicativa di Roosevelt davanti al caminetto) e lo si è portato nei tempi e negli spazi rivoluzionari del web. Il web non più inteso come mezzo ma come fine, perché la gente è lo scopo, la rete è la comunità virtuale e basta un sillogismo logico per capire che, una volta in internet, sei in piazza. Come preservarsi dall'informazione pop però? Quella fatta da chiunque possa generare un contenuto in rete? Slaby rassicura la stampa richiamandola al suo ruolo di selettore di priorità, di verità, di epuratore del fasullo ma anche di "stuart" preposto all'accoglienza delle spinte che vengono dal basso.
Una lezione che ha voluto marcare sull'impossibilità di demarcare una linea di confine tra pubblico e privato, tra autorevole e incerto, tra visibile e nascosto. Si deve aver coscienza che il fluido può consolidarsi, che il temporaneo può prolungarsi, che le cose esterne possono avere effetti all'interno, che la maschera può diventare il volto, che chi infetta può essere infettato.