Servizi sociali
L’osservatorio “Giulia e Rossella” con D.i.re. contro ogni violenza
Intervista all’avv. Capurso, vicepresidente del centro antiviolenza barlettano. Minori danneggiati dai conflitti tra i genitori
Barletta - lunedì 29 ottobre 2012
Scalpore e indignazione provocano le situazioni conflittuali in ambito familiare, soprattutto quando coinvolgono, loro malgrado, dei minorenni. L'associazione nazionale D.I.RE (donne in rete contro la violenza) ha coinvolto l'Osservatorio Giulia e Rossella di Barletta. Per discutere di questi problemi, abbiamo incontrato l'avv. Cristina Capurso, avvocata esperta di diritto di famiglia e delle persone, legale e vicepresidente dell'Osservatorio Giulia e Rossella Centro Antiviolenza ONLUS I.S.
Lei rappresenta l'Osservatorio Giulia e Rossella, che gestisce volontariamente da 13 anni il centro antiviolenza di Barletta. Ora interviene su delicate questioni di violenza psicologica a minori, attraverso la sigla dell'associazione nazionale "Donne in rete contro la violenza": ci spiega il rapporto tra i due enti.
L'associazione Osservatorio Giulia e Rossella condivide il comunicato dell'associazione nazionale D.I.RE. della quale fa parte sin dalla sua costituzione (29.09.2008). Tale gruppo raccoglie in un unico progetto sessanta associazione di donne (tra le quali la nostra) che affrontano il tema della violenza maschile sulle donne secondo l'ottica della differenza di genere, collocando le radici di tale violenza nella storica ma ancora attuale, disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali. L'associazione D.i.Re è nata allo scopo di costruire un'azione politica nazionale e promuove atti volti a innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei riguardi del fenomeno della violenza maschile sulle donne.
In un recente comunicato di D.I.RE, siete partiti da una recente esperienza che ha lasciato sbigottita l'Italia: la vicenda del piccolo Lorenzo, il bambino di Padova prelevato da scuola con violenza da alcuni agenti di polizia per essere messo in un istituto. Secondo lei bisogna che accadano fatti del genere, molto più frequenti di quello che si pensa, perché si discuta nelle case, nelle scuole, nelle Istituzioni di questioni così importanti? Nel caso di Padova a chi sono attribuibili le principali responsabilità?
Non mi piace parlare del caso specifico perché non conosco la storia e gli atti processuali e quindi non voglio fare valutazioni. Le situazioni, nell'ambito di una separazione e/o divorzio conflittuale, hanno le motivazioni più varie, tante quante sono le persone coinvolte. Se il bambino rifiuta un genitore, la motivazione può risiedere in cause specifiche legate alla storia di famiglia, nonostante molti affermino, quasi con fare 'dogmatico', che tutte queste storie hanno una causa comune. La mia esperienza mi ha insegnato che ogni caso deve essere analizzato singolarmente, comprendendo le ragioni e la storia delle persone coinvolte. La storia del bambino di Padova impone di porre domande e di evitare le affermazioni: funzionano e sono sufficienti i servizi e gli interventi sociali sul territorio? Aldilà delle 'vuote' formule normative e delle carte, vengono attuati reali interventi in rete tra tutte le istituzioni, servizi e persone in contatto con le situazioni familiari 'a rischio'? I tempi processuali per le controversie in materia familiare godono di una corsia preferenziale? Sono attuate serie politiche di prevenzione, ivi comprese quelle di formazione di tutti i soggetti che, a vario titolo, si trovano coinvolti in tali vicende (insegnanti, avvocati, giudici, assistenti sociali, psicologi, appartenenti alle forze dell'ordine, ecc.)? Queste domande le poniamo ogni volta che un caso eclatante, quale quello considerato, ha gli 'onori della cronaca'. Nel frattempo, però, un esercito di bambini continua a soffrire ingiustamente tra genitori che litigano in giudizio o tra le mura di casa.
Cos'è la PAS? Esiste?
La cosiddetta 'sindrome da alienazione genitoriale' (PAS), è un'ipotetica dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra statunitense Richard Gardner, sarebbe generata in alcune situazioni di separazione e divorzio conflittuali, non adeguatamente mediate. Essa, in realtà, disconosciuta dal mondo scientifico, non è una malattia, ma viene usata come strumento diretto a una 'psichiatrizzazione' preventiva del bambino in sede giudiziaria, quasi come fosse un malato, con possibili conseguenze sul piano del suo diritto all'ascolto (come previsto dalla Convenzione di New York del 1989, dal Trattato di Lisbona del 2007 e dall'art. 155-sexies c.c.). Altrettanto gravi, poi, sono le conseguenze che sono state segnalate laddove la PAS è divenuta uno strumento utilizzato da uomini maltrattanti per ottenere, nelle controversie familiari, l'affidamento dei figli, deviando così l'attenzione dai loro atteggiamenti di abuso e maltrattamento commissivo e/o omissivo, privando la madre della dignità del suo ruolo. Infatti, nelle separazioni caratterizzate da continue controversie sull'affidamento dei figli, vi è spesso una storia di violenza domestica, che è in atto da anni. La separazione diventa in tali situazioni un momento di acutizzazione della violenza in passato perpetrata tra le mura domestiche, assumendo solo altre forme (denigrazione e svilimento del ruolo materno, maltrattamento economico, ma anche ricatto diretto nei confronti dei figli, ecc.). In una parola: con questi modi viene riaffermato il 'potere' in un gioco pericoloso che non vede solo come vittima la donna, ma soprattutto i figli, dei quali viene 'risucchiata' la mente.
La Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (SINPIA) nelle sue Linee guida in tema di abuso sui minori, pubblicate nel 2007 , ha incluso la PAS tra le possibili forme di abuso psicologico. In che termini viene oggi utilizzata nei tribunali italiani?
Per gli operatori, che perseguono sostanzialmente l'interesse del bambino all'interno del meccanismo processuale, il dibattito sulla PAS risulta quasi del tutto superato. Resta solo una residua parte di sostenitori, che peraltro costituisce una vera e propria 'lobby' in Parlamento: infatti, nonostante la non scientificità di tale 'malattia', sono ancora all'attenzione del nostro legislatore delle proposte di legge (v., in particolare, il disegno di legge n.957) che prevedono – tra l'altro- che la sindrome da alienazione genitoriale possa 'essere causa di esclusione dall'affidamento'.
Può la Pas essere utilizzata in maniera strumentale dagli autori delle violenze che fanno leva sulla minaccia di sottrarre i figli per tenere le donne sotto il loro controllo?
In relazione a quanto detto voglio specificare che, per quella che è la mia esperienza, non escludo che nelle separazioni conflittuali i figli siano strumentalizzati da uno o entrambi i genitori. Ciò sicuramente succede, ma in misura minore rispetto a quello che si possa credere e, in genere, quando la conflittualità diventa cronica: lo scopo dei comportamenti non è la 'separazione', il giudizio, ma ancora una volta l'affermazione del potere. Nelle situazioni dette, è prioritario che i figli della coppia non vengano lasciati soli: essi devono essere aiutati a capire che mentre può essere normale preferire un genitore all'altro, è altrettanto naturale rifiutarsi di partecipare alla loro 'guerra', dicendo espressamente che non è un problema che li può riguardare, ma anzi può causare loro danno.
Quale la funzione dell'avvocato in tali situazioni?
E' importante che gli avvocati impegnati in una causa di diritto di famiglia sappiano mantenere sempre alta la capacità di ridefinizione delle richieste del proprio cliente; tengano in massima considerazione i legami familiari. Il sistema famiglia è una rete di scambi, legami e relazioni da cui dipende l'equilibrio delle persone. Anche quando i legami sono patologici il problema è sempre quello di passare da un equilibrio a un altro. L'obiettivo è superare i legami non distruggerli. La distruzione dei legami familiari è contraria agli interessi del proprio assistito e a quello dei figli. L'avvocato ha il dovere di non fomentare conflitti. Il professionista deve interagire con le altre professionalità esistenti sul territorio, informandone il cliente. Appare fondamentale non perdere di vista le prerogative sostanziali, ma anche processuali, di una giustizia che svolge essenzialmente una funzione di garanzia e di tutela dei soggetti deboli e non si basa su uno schema processuale impostato sulla dicotomia parte vittoriosa-parte soccombente.
Lei rappresenta l'Osservatorio Giulia e Rossella, che gestisce volontariamente da 13 anni il centro antiviolenza di Barletta. Ora interviene su delicate questioni di violenza psicologica a minori, attraverso la sigla dell'associazione nazionale "Donne in rete contro la violenza": ci spiega il rapporto tra i due enti.
L'associazione Osservatorio Giulia e Rossella condivide il comunicato dell'associazione nazionale D.I.RE. della quale fa parte sin dalla sua costituzione (29.09.2008). Tale gruppo raccoglie in un unico progetto sessanta associazione di donne (tra le quali la nostra) che affrontano il tema della violenza maschile sulle donne secondo l'ottica della differenza di genere, collocando le radici di tale violenza nella storica ma ancora attuale, disparità di potere tra uomini e donne nei diversi ambiti sociali. L'associazione D.i.Re è nata allo scopo di costruire un'azione politica nazionale e promuove atti volti a innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei riguardi del fenomeno della violenza maschile sulle donne.
In un recente comunicato di D.I.RE, siete partiti da una recente esperienza che ha lasciato sbigottita l'Italia: la vicenda del piccolo Lorenzo, il bambino di Padova prelevato da scuola con violenza da alcuni agenti di polizia per essere messo in un istituto. Secondo lei bisogna che accadano fatti del genere, molto più frequenti di quello che si pensa, perché si discuta nelle case, nelle scuole, nelle Istituzioni di questioni così importanti? Nel caso di Padova a chi sono attribuibili le principali responsabilità?
Non mi piace parlare del caso specifico perché non conosco la storia e gli atti processuali e quindi non voglio fare valutazioni. Le situazioni, nell'ambito di una separazione e/o divorzio conflittuale, hanno le motivazioni più varie, tante quante sono le persone coinvolte. Se il bambino rifiuta un genitore, la motivazione può risiedere in cause specifiche legate alla storia di famiglia, nonostante molti affermino, quasi con fare 'dogmatico', che tutte queste storie hanno una causa comune. La mia esperienza mi ha insegnato che ogni caso deve essere analizzato singolarmente, comprendendo le ragioni e la storia delle persone coinvolte. La storia del bambino di Padova impone di porre domande e di evitare le affermazioni: funzionano e sono sufficienti i servizi e gli interventi sociali sul territorio? Aldilà delle 'vuote' formule normative e delle carte, vengono attuati reali interventi in rete tra tutte le istituzioni, servizi e persone in contatto con le situazioni familiari 'a rischio'? I tempi processuali per le controversie in materia familiare godono di una corsia preferenziale? Sono attuate serie politiche di prevenzione, ivi comprese quelle di formazione di tutti i soggetti che, a vario titolo, si trovano coinvolti in tali vicende (insegnanti, avvocati, giudici, assistenti sociali, psicologi, appartenenti alle forze dell'ordine, ecc.)? Queste domande le poniamo ogni volta che un caso eclatante, quale quello considerato, ha gli 'onori della cronaca'. Nel frattempo, però, un esercito di bambini continua a soffrire ingiustamente tra genitori che litigano in giudizio o tra le mura di casa.
Cos'è la PAS? Esiste?
La cosiddetta 'sindrome da alienazione genitoriale' (PAS), è un'ipotetica dinamica psicologica disfunzionale che, secondo le teorie dello psichiatra statunitense Richard Gardner, sarebbe generata in alcune situazioni di separazione e divorzio conflittuali, non adeguatamente mediate. Essa, in realtà, disconosciuta dal mondo scientifico, non è una malattia, ma viene usata come strumento diretto a una 'psichiatrizzazione' preventiva del bambino in sede giudiziaria, quasi come fosse un malato, con possibili conseguenze sul piano del suo diritto all'ascolto (come previsto dalla Convenzione di New York del 1989, dal Trattato di Lisbona del 2007 e dall'art. 155-sexies c.c.). Altrettanto gravi, poi, sono le conseguenze che sono state segnalate laddove la PAS è divenuta uno strumento utilizzato da uomini maltrattanti per ottenere, nelle controversie familiari, l'affidamento dei figli, deviando così l'attenzione dai loro atteggiamenti di abuso e maltrattamento commissivo e/o omissivo, privando la madre della dignità del suo ruolo. Infatti, nelle separazioni caratterizzate da continue controversie sull'affidamento dei figli, vi è spesso una storia di violenza domestica, che è in atto da anni. La separazione diventa in tali situazioni un momento di acutizzazione della violenza in passato perpetrata tra le mura domestiche, assumendo solo altre forme (denigrazione e svilimento del ruolo materno, maltrattamento economico, ma anche ricatto diretto nei confronti dei figli, ecc.). In una parola: con questi modi viene riaffermato il 'potere' in un gioco pericoloso che non vede solo come vittima la donna, ma soprattutto i figli, dei quali viene 'risucchiata' la mente.
La Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza (SINPIA) nelle sue Linee guida in tema di abuso sui minori, pubblicate nel 2007 , ha incluso la PAS tra le possibili forme di abuso psicologico. In che termini viene oggi utilizzata nei tribunali italiani?
Per gli operatori, che perseguono sostanzialmente l'interesse del bambino all'interno del meccanismo processuale, il dibattito sulla PAS risulta quasi del tutto superato. Resta solo una residua parte di sostenitori, che peraltro costituisce una vera e propria 'lobby' in Parlamento: infatti, nonostante la non scientificità di tale 'malattia', sono ancora all'attenzione del nostro legislatore delle proposte di legge (v., in particolare, il disegno di legge n.957) che prevedono – tra l'altro- che la sindrome da alienazione genitoriale possa 'essere causa di esclusione dall'affidamento'.
Può la Pas essere utilizzata in maniera strumentale dagli autori delle violenze che fanno leva sulla minaccia di sottrarre i figli per tenere le donne sotto il loro controllo?
In relazione a quanto detto voglio specificare che, per quella che è la mia esperienza, non escludo che nelle separazioni conflittuali i figli siano strumentalizzati da uno o entrambi i genitori. Ciò sicuramente succede, ma in misura minore rispetto a quello che si possa credere e, in genere, quando la conflittualità diventa cronica: lo scopo dei comportamenti non è la 'separazione', il giudizio, ma ancora una volta l'affermazione del potere. Nelle situazioni dette, è prioritario che i figli della coppia non vengano lasciati soli: essi devono essere aiutati a capire che mentre può essere normale preferire un genitore all'altro, è altrettanto naturale rifiutarsi di partecipare alla loro 'guerra', dicendo espressamente che non è un problema che li può riguardare, ma anzi può causare loro danno.
Quale la funzione dell'avvocato in tali situazioni?
E' importante che gli avvocati impegnati in una causa di diritto di famiglia sappiano mantenere sempre alta la capacità di ridefinizione delle richieste del proprio cliente; tengano in massima considerazione i legami familiari. Il sistema famiglia è una rete di scambi, legami e relazioni da cui dipende l'equilibrio delle persone. Anche quando i legami sono patologici il problema è sempre quello di passare da un equilibrio a un altro. L'obiettivo è superare i legami non distruggerli. La distruzione dei legami familiari è contraria agli interessi del proprio assistito e a quello dei figli. L'avvocato ha il dovere di non fomentare conflitti. Il professionista deve interagire con le altre professionalità esistenti sul territorio, informandone il cliente. Appare fondamentale non perdere di vista le prerogative sostanziali, ma anche processuali, di una giustizia che svolge essenzialmente una funzione di garanzia e di tutela dei soggetti deboli e non si basa su uno schema processuale impostato sulla dicotomia parte vittoriosa-parte soccombente.