Eventi
Il musicista Pietro Morello: «La forza di donare se stessi»
L'intervista ad uno degli speaker del prossimo “TEDxBarletta”, previsto per sabato 3 Luglio 2021
Barletta - sabato 12 giugno 2021
Pietro Morello è un ragazzo torinese nato nel 1999. Deve la sua fama soprattutto ai numeri sui suoi canali social: 110 mila followers su Instagram e addirittura quasi un milione e mezzo su TikTok, la piattaforma che è stata la sua principale rampa di lancio.
Pietro è un musicista, anzi, è artista polivalente che coltiva tante passioni: la musica prima di tutto, ma anche la creazione di contenuti digitali e, in un certo qual modo, il lavoro di "influencer" per mezzo social. Ma è anche una personalità attiva nel sociale, volontario presso la sua città e missionario all'estero.
Ha scelto di far inserire un pianoforte nel reparto di oncologia dell'ospedale Regina Margherita di Torino, nel quale si reca periodicamente per suonare, spinto dalla voglia di alleggerire le giornate di chi non vive situazioni serene; ma le sue attività umanitarie si allargano anche all'estero, in particolare Pietro Morello è missionario in alcune zone del mondo martoriate da fame, povertà o guerra.
Il 3 Luglio 2021 sarà uno degli speaker dell'edizione "Vita Nova" del TEDxBarletta ed a qualche settimana dall'evento, abbiamo raccolto un'intervista per conoscere meglio un ragazzo che in questi mesi è entrato nelle case di tantissimi italiani con i suoi video, ma anche nel cuore di tantissime persone in tutto il mondo, per le sue attività extra-musicali.
Pietro Morello, musicista, tiktoker, creatore di contenuti digitali ma soprattutto personalità interessata in prima linea in attività di volontariato e solidarietà sociale. Da dove nasce questo desiderio di praticare la "musicoterapia"? E quanto credi che sia davvero forte il potere della musica, per averlo scelto per fare del bene ai bambini dell'ospedale oncologico Regina Margherita di Torino?
«In generale prima di parlare di musicoterapia, che è un percorso molto lungo e complesso, dico che la musica ha un potere sulle persone enorme ed è possibile notarlo ogni giorno, facendo musica o anche solo ascoltando musica. Tendenzialmente la mia famiglia lavora tutta coi bambini: mio padre insegna alle medie, mia madre è educatrice al nido e mia sorella è maestra alle elementari, quindi sono cresciuti con i loro valori su quanto sia importante l'educazione infantile per una società migliore. Allora mi sono detto "A me piace molto la musica e mi fa stare bene, ma mi piacciono anche i bambini e so quanto mi sto bene quando mi occupo di loro: mettiamoli insieme e vediamo cosa viene fuori!" ed il primo modo per farlo è stato fare musica assistenziale per bambini con difficoltà, che fosse in missione umanitaria o in ospedale. Ci ho provato ed ho avuto dei riscontri pazzeschi e quindi…musica coi bimbi».
Il TEDxBarletta di quest'anno ha come tematica centrale quello della "Vita Nova", cioè del viaggio come scoperta e motivo di arricchimento. Quale pensi sia stata la scoperta più importante che hai fatto nei tuoi viaggi da missionario in Siria e quanto credi sia importante parlarne ad un evento come il TEDx, per fare conoscere una realtà di cui si parla tanto, ma forse è ancora un po' troppo lontana?
«Innanzitutto, la prima risposta che ti do è che io sono missionario al confine dell'Ucraina e nelle zone dell'Africa, mentre per la Siria sono missionario "in differita", perché prima di andare in presenza prima si fa una preparazione, quindi ti racconto una realtà territoriale diversa. Tendenzialmente credo una parte integrante di una missione umanitaria, che sia in zona di guerra o di povertà, sia il racconto della missione, che è il 50% della missione stessa. Il racconto a chi non conosce la realtà della missione, senza i filtri mediatici della TV. I motivi per cui i miei social esistono è proprio quello: cercare di avere un megafono gigantesco e urlare alle persone le realtà. Certo è che bisogna anche renderla "fruibile", perché si parla di realtà difficile che non può essere raccontata completamente, però la cosa importante è raccontare non di sé stessi, non epr eroicizzarsi, ma per comunicare che nel mondo ci sono queste situazioni e spingere ad informarsi. Credo in definitiva che raccontare sia fondamentale e ogni canale è utile per raccontare».
Molta della tua fama è dovuta ai video che pubblichi sui tuoi canali social di TikTok e Instagram. Anche la scelta di intraprendere la carriera dell' "influencer" è indirizzata all'obiettivo di trasmettere messaggi positivi ad un pubblico quanto più ampio possibile?
«È molto difficile parlare di questo ambito, perché quando si parla di grossi numeri suoi social network viene sempre stigmatizzare come colui che ricerca la notorietà a tutti i costi. Io mi posso definire, tra virgolette, influencer quando decido di parlare alle persone e cerco di influenzare le loro opinioni riguardo determinati argomenti, nel mio caso il volontariato. E' quindi principalmente questo il motivo per cui esistono i miei social e penso che sia un ruolo importante e spesso sottovalutato quello di chi ha grandi numeri sui social, perché è un ruolo pedagogicamente ed educativamente rilevante. Anzi, credo che sia quasi fondamentale, perché spesso c'è gente che basa le sue azioni proprio sull' "anti-educativo", su ciò che non va fatto per fare successo, ed è una cosa molto pericolosa per i ragazzini che seguono questi esempi».
Una cosa che mi ha colpito di te è che, anche in precedenti interviste in cui hai parlato del tuo impegno umanitario, hai utilizzato il termine "amore" come antidoto ai molti bambini che si trovano a vivere situazioni complicate come la guerra o una brutta malattia. In che modo cerchi di rendere la contrapposizione amore-guerra qualcosa di più di un semplice clichè?
«È questa la cosa bella: che è un clichè! Non tutti gli danno al giusta importanza, perché quando si parla per clichè tutti pensano che siano banalità e che non funzionino. È vero ciò che hai detto: è un clichè, una banalità, però è la più solenne verità. Nel mio caso, ti faccio un esempio pratico, ho scoperto che funziona l'atto di "dare" amore: significa dare sorrisi, impegno, dedicare tempo, occuparsi di regali che possono sembrare inutili. Ho capito quanto è importante "dare" a gente che ha imparato tutta la vita a "prendere", a bambini che non hanno niente, né cibo, né acqua, e sono stati educati a prendere tutto ciò che possono prendere, perché altrimenti non sopravvivono.
A questi bambini abbiamo iniziato a regalare quotidianamente qualcosa, che non è qualcosa di fondamentale come cibo, vestiti, acqua, eccetera, ma sono braccialetti, anelli, robe che sono, potenzialmente, inutili per loro, eppure questi bambini hanno tanto assimilato questo concetto del "dare" che, in cambio, mi hanno dato sassi, che era la cosa più semplice e preziosa che potevano darmi. Questo mi ha fatto capire che il cervello di una persona è duttile e se lui ha vissuto in situazioni negative che lo hanno spinto a focalizzarsi sulle cose negative e a prendere tutto quello che può, alla fine ha capito che la positività non può che fargli del bene, magari non gli cambia la vita, ma il modo di approcciarsi alla vita. Quindi penso che l'amore sia un ottimo modo per combattere la guerra in modo positivo».
Pensi che l'effetto della musica su determinate situazioni cambi da genere a genere, magari la musica classica ha un effetto terapeutico maggiore rispetto ad un altro genere, oppure pensi l'arte, in qualsiasi forma si presenti, è universalmente la soluzione che tu hai deciso di utilizzare?
«Sicuramente la seconda più della prima. Però ti dico anche che l'arte non è la soluzione a niente, perché non ce la fa, non ce la può fare ad essere, da sola, la soluzione. E te lo dice uno che fa solo arte. Ti faccio un esempio e ti parlo dei bambini in ospedale, che sono bambini con malattie molto gravi e debilitanti: la musica non li cura, l'arte non li cura, la scultura non li cura. Li curano i medici o le terapie. L'arte serve a migliorare l'approccio alle cure, non risolve le difficoltà, ma serve affinché le persone vivano meglio una situazione di difficoltà, per garantire un approccio alla vita più sereno. E a quel punto il genere musicale non conta più, perché se vivi la musica col sorriso e ti poni nel modo giusto, nessuno "ascolta" la musica che fai ma tutti la percepiscono».
Quale è stata quella scoperta così tanto importante che hai fatto e che ti ha spinto ad accettare l'invito al TEDxBarletta?
«Ti dico una cosa che probabilmente ti sconvolgerà: quando ho accettato l'invito al TEDxBarletta sapevo ben poco di questa realtà della vostra città. Però io nella vita ho compito una scelta: quella di sfruttare tutti i canali comunicativi che non siano contro i miei ideali. Il TED è stata una realtà che ha dato voce alla mia voce e mi ha permesso di parlare alla gente, che è quello che voglio fare, tanto più che in quel periodo non sono in missione e quindi posso dedicare benissimo del tempo a questa causa».
Spesso un dilemma per i ragazzi delle nuove generazioni è quello di non avere ben chiaro il loro "posto nel mondo", non sapere che tipo di cittadino essere un domani e che strada intraprendere. Quale consiglio ti sentiresti di dare ad un ragazzo della tua generazione che si sta approcciando ora a questa nuova realtà dell'impegno nel sociale?
«C'è una cosa che io dico spesso e che è diventato il mio slogan di vita: fate volontariato! C'è un problema ogni volta che si parla di volontariato: che automaticamente si pensa che il volontariato sia o cattolico, oppure legato ad essere delle persone perfette, pure, candide, sempre disponibili e impegnate. Invece no, perché per fare volontariato si possono fare tantissime cose diverse e guardare alla vita di tutti i giorni, alla quotidianità che spesso passa inosservato: volontariato può essere tutto!
Fare volontariato significa concedersi una formazione, che spesso è anche gratuita, ed esercitare quella formazione per capire dove vuoi andare nella vita, cosa vuoi essere un domani. Io ho provato a farlo e mi sono accorto che mi fa stare benissimo e che questo è ciò che voglio fare un domani, anche se magari non avrò un lavoro vero e proprio con i bambini, ma cercherò il modo per dedicarmi a loro. Può anche succedere il contrario: magari provando a fare volontariato capisci che non è la tua strada e quindi la escludi. Ma comunque ti dai un indirizzo di vita. Tutte le persone, senza nessun genere di distinzione, possono fare volontariato in Italia e ti permette di scoprire nuove cose, che altrimenti ti precludi, quindi…fate volontariato, ovunque e in qualunque ambito!».
Pietro è un musicista, anzi, è artista polivalente che coltiva tante passioni: la musica prima di tutto, ma anche la creazione di contenuti digitali e, in un certo qual modo, il lavoro di "influencer" per mezzo social. Ma è anche una personalità attiva nel sociale, volontario presso la sua città e missionario all'estero.
Ha scelto di far inserire un pianoforte nel reparto di oncologia dell'ospedale Regina Margherita di Torino, nel quale si reca periodicamente per suonare, spinto dalla voglia di alleggerire le giornate di chi non vive situazioni serene; ma le sue attività umanitarie si allargano anche all'estero, in particolare Pietro Morello è missionario in alcune zone del mondo martoriate da fame, povertà o guerra.
Il 3 Luglio 2021 sarà uno degli speaker dell'edizione "Vita Nova" del TEDxBarletta ed a qualche settimana dall'evento, abbiamo raccolto un'intervista per conoscere meglio un ragazzo che in questi mesi è entrato nelle case di tantissimi italiani con i suoi video, ma anche nel cuore di tantissime persone in tutto il mondo, per le sue attività extra-musicali.
Pietro Morello, musicista, tiktoker, creatore di contenuti digitali ma soprattutto personalità interessata in prima linea in attività di volontariato e solidarietà sociale. Da dove nasce questo desiderio di praticare la "musicoterapia"? E quanto credi che sia davvero forte il potere della musica, per averlo scelto per fare del bene ai bambini dell'ospedale oncologico Regina Margherita di Torino?
«In generale prima di parlare di musicoterapia, che è un percorso molto lungo e complesso, dico che la musica ha un potere sulle persone enorme ed è possibile notarlo ogni giorno, facendo musica o anche solo ascoltando musica. Tendenzialmente la mia famiglia lavora tutta coi bambini: mio padre insegna alle medie, mia madre è educatrice al nido e mia sorella è maestra alle elementari, quindi sono cresciuti con i loro valori su quanto sia importante l'educazione infantile per una società migliore. Allora mi sono detto "A me piace molto la musica e mi fa stare bene, ma mi piacciono anche i bambini e so quanto mi sto bene quando mi occupo di loro: mettiamoli insieme e vediamo cosa viene fuori!" ed il primo modo per farlo è stato fare musica assistenziale per bambini con difficoltà, che fosse in missione umanitaria o in ospedale. Ci ho provato ed ho avuto dei riscontri pazzeschi e quindi…musica coi bimbi».
Il TEDxBarletta di quest'anno ha come tematica centrale quello della "Vita Nova", cioè del viaggio come scoperta e motivo di arricchimento. Quale pensi sia stata la scoperta più importante che hai fatto nei tuoi viaggi da missionario in Siria e quanto credi sia importante parlarne ad un evento come il TEDx, per fare conoscere una realtà di cui si parla tanto, ma forse è ancora un po' troppo lontana?
«Innanzitutto, la prima risposta che ti do è che io sono missionario al confine dell'Ucraina e nelle zone dell'Africa, mentre per la Siria sono missionario "in differita", perché prima di andare in presenza prima si fa una preparazione, quindi ti racconto una realtà territoriale diversa. Tendenzialmente credo una parte integrante di una missione umanitaria, che sia in zona di guerra o di povertà, sia il racconto della missione, che è il 50% della missione stessa. Il racconto a chi non conosce la realtà della missione, senza i filtri mediatici della TV. I motivi per cui i miei social esistono è proprio quello: cercare di avere un megafono gigantesco e urlare alle persone le realtà. Certo è che bisogna anche renderla "fruibile", perché si parla di realtà difficile che non può essere raccontata completamente, però la cosa importante è raccontare non di sé stessi, non epr eroicizzarsi, ma per comunicare che nel mondo ci sono queste situazioni e spingere ad informarsi. Credo in definitiva che raccontare sia fondamentale e ogni canale è utile per raccontare».
Molta della tua fama è dovuta ai video che pubblichi sui tuoi canali social di TikTok e Instagram. Anche la scelta di intraprendere la carriera dell' "influencer" è indirizzata all'obiettivo di trasmettere messaggi positivi ad un pubblico quanto più ampio possibile?
«È molto difficile parlare di questo ambito, perché quando si parla di grossi numeri suoi social network viene sempre stigmatizzare come colui che ricerca la notorietà a tutti i costi. Io mi posso definire, tra virgolette, influencer quando decido di parlare alle persone e cerco di influenzare le loro opinioni riguardo determinati argomenti, nel mio caso il volontariato. E' quindi principalmente questo il motivo per cui esistono i miei social e penso che sia un ruolo importante e spesso sottovalutato quello di chi ha grandi numeri sui social, perché è un ruolo pedagogicamente ed educativamente rilevante. Anzi, credo che sia quasi fondamentale, perché spesso c'è gente che basa le sue azioni proprio sull' "anti-educativo", su ciò che non va fatto per fare successo, ed è una cosa molto pericolosa per i ragazzini che seguono questi esempi».
Una cosa che mi ha colpito di te è che, anche in precedenti interviste in cui hai parlato del tuo impegno umanitario, hai utilizzato il termine "amore" come antidoto ai molti bambini che si trovano a vivere situazioni complicate come la guerra o una brutta malattia. In che modo cerchi di rendere la contrapposizione amore-guerra qualcosa di più di un semplice clichè?
«È questa la cosa bella: che è un clichè! Non tutti gli danno al giusta importanza, perché quando si parla per clichè tutti pensano che siano banalità e che non funzionino. È vero ciò che hai detto: è un clichè, una banalità, però è la più solenne verità. Nel mio caso, ti faccio un esempio pratico, ho scoperto che funziona l'atto di "dare" amore: significa dare sorrisi, impegno, dedicare tempo, occuparsi di regali che possono sembrare inutili. Ho capito quanto è importante "dare" a gente che ha imparato tutta la vita a "prendere", a bambini che non hanno niente, né cibo, né acqua, e sono stati educati a prendere tutto ciò che possono prendere, perché altrimenti non sopravvivono.
A questi bambini abbiamo iniziato a regalare quotidianamente qualcosa, che non è qualcosa di fondamentale come cibo, vestiti, acqua, eccetera, ma sono braccialetti, anelli, robe che sono, potenzialmente, inutili per loro, eppure questi bambini hanno tanto assimilato questo concetto del "dare" che, in cambio, mi hanno dato sassi, che era la cosa più semplice e preziosa che potevano darmi. Questo mi ha fatto capire che il cervello di una persona è duttile e se lui ha vissuto in situazioni negative che lo hanno spinto a focalizzarsi sulle cose negative e a prendere tutto quello che può, alla fine ha capito che la positività non può che fargli del bene, magari non gli cambia la vita, ma il modo di approcciarsi alla vita. Quindi penso che l'amore sia un ottimo modo per combattere la guerra in modo positivo».
Pensi che l'effetto della musica su determinate situazioni cambi da genere a genere, magari la musica classica ha un effetto terapeutico maggiore rispetto ad un altro genere, oppure pensi l'arte, in qualsiasi forma si presenti, è universalmente la soluzione che tu hai deciso di utilizzare?
«Sicuramente la seconda più della prima. Però ti dico anche che l'arte non è la soluzione a niente, perché non ce la fa, non ce la può fare ad essere, da sola, la soluzione. E te lo dice uno che fa solo arte. Ti faccio un esempio e ti parlo dei bambini in ospedale, che sono bambini con malattie molto gravi e debilitanti: la musica non li cura, l'arte non li cura, la scultura non li cura. Li curano i medici o le terapie. L'arte serve a migliorare l'approccio alle cure, non risolve le difficoltà, ma serve affinché le persone vivano meglio una situazione di difficoltà, per garantire un approccio alla vita più sereno. E a quel punto il genere musicale non conta più, perché se vivi la musica col sorriso e ti poni nel modo giusto, nessuno "ascolta" la musica che fai ma tutti la percepiscono».
Quale è stata quella scoperta così tanto importante che hai fatto e che ti ha spinto ad accettare l'invito al TEDxBarletta?
«Ti dico una cosa che probabilmente ti sconvolgerà: quando ho accettato l'invito al TEDxBarletta sapevo ben poco di questa realtà della vostra città. Però io nella vita ho compito una scelta: quella di sfruttare tutti i canali comunicativi che non siano contro i miei ideali. Il TED è stata una realtà che ha dato voce alla mia voce e mi ha permesso di parlare alla gente, che è quello che voglio fare, tanto più che in quel periodo non sono in missione e quindi posso dedicare benissimo del tempo a questa causa».
Spesso un dilemma per i ragazzi delle nuove generazioni è quello di non avere ben chiaro il loro "posto nel mondo", non sapere che tipo di cittadino essere un domani e che strada intraprendere. Quale consiglio ti sentiresti di dare ad un ragazzo della tua generazione che si sta approcciando ora a questa nuova realtà dell'impegno nel sociale?
«C'è una cosa che io dico spesso e che è diventato il mio slogan di vita: fate volontariato! C'è un problema ogni volta che si parla di volontariato: che automaticamente si pensa che il volontariato sia o cattolico, oppure legato ad essere delle persone perfette, pure, candide, sempre disponibili e impegnate. Invece no, perché per fare volontariato si possono fare tantissime cose diverse e guardare alla vita di tutti i giorni, alla quotidianità che spesso passa inosservato: volontariato può essere tutto!
Fare volontariato significa concedersi una formazione, che spesso è anche gratuita, ed esercitare quella formazione per capire dove vuoi andare nella vita, cosa vuoi essere un domani. Io ho provato a farlo e mi sono accorto che mi fa stare benissimo e che questo è ciò che voglio fare un domani, anche se magari non avrò un lavoro vero e proprio con i bambini, ma cercherò il modo per dedicarmi a loro. Può anche succedere il contrario: magari provando a fare volontariato capisci che non è la tua strada e quindi la escludi. Ma comunque ti dai un indirizzo di vita. Tutte le persone, senza nessun genere di distinzione, possono fare volontariato in Italia e ti permette di scoprire nuove cose, che altrimenti ti precludi, quindi…fate volontariato, ovunque e in qualunque ambito!».