Scuola e Lavoro
«Il mio primo giorno di scuola che vorrei»
La sensibile lettera di una studentessa del liceo "Cafiero" di Barletta
Barletta - giovedì 6 ottobre 2016
"Il mio primo giorno che vorrei" è il titolo di un tema, uno di quei tanti temi che si scrivono a scuola, per esercizio o per valutazione, per noia o per obbligo. Ma capita - non troppo raramente - che oltre questi temi ci sia più di un banale allenamento alla scrittura: un'emozione, una sensazione, un desiderio, una speranza. Un sentimento che potrebbe appartenere a ciascuno di noi, come quello provato da Sara Rizzi, studentessa del liceo "Cafiero" di Barletta, che - grazie all'incoraggiamento della professoressa Maria Sterpeta Cilli - ha voluto condividere con i lettori di BarlettaViva il suo pensiero.
Vorrei che la scuola aiutasse noi ragazzi, "povere anime in pena" persi nella confusione dei cambiamenti repentini e radicali di quest'età di crescita, a fermarci per pensare al futuro, ma non come se fosse una realtà lontana e piena di punti interrogativi, ma piena di orgoglio e soddisfazione per essere riusciti a scoprire a pieno noi stessi, le nostre qualità e i nostri talenti, averli coltivati e potenziati per spostare "la bandierina del traguardo" sempre un metro più in là e raggiungerla ogni volta sempre più grandi. Aiutateci ad accettare le sconfitte e le delusioni, ma non per sederci per terra e piangerci addosso fingendo il mondo sia finito, ma per capire che senza l'oscurità non si riesce ad apprezzare pienamente la luce e per essere più forti e determinati per raggiungere i nostri obiettivi e i nostri scopi più desiderati. Voi, cari insegnanti, guardateci con i vostri occhi, però con quelli che avevate alla nostra età per indossare meglio i nostri problemi e le nostre preoccupazioni (che a volte snobbate, giudicandoli irrilevanti, essendo adulti) risolvendoli come voi avete fatto a vostro tempo, tenendoci per mano attraversando questo labirinto pieno di scelte che invece di facilitarci le cose, ci manda solo più in crisi perché non sappiamo mai come comportarci e accettarne le conseguenze con maturità.
E per favore, siate insegnanti e non facciate gli insegnanti non limitandovi a spiegarci ciò che dovete con un tono di voce così piatto che, detto francamente, ci fa addormentare e ci fa passare via l'entusiasmo, ma metteteci la vostra essenza in ciò che fate dimostrandoci di averci preso a cuore come fossimo vostri figli così da poter avere un carattere contraddistinto che permetta agli altri di riconoscerci come vostri alunni, un po' come accade con il colore degli occhi uguale a quello del genitore. Permetteteci di esprimerci al massimo e di realizzarci, ma attraverso il sapere e la cultura che da secoli aumenta e si stratifica senza sosta, mettendosi a volte anche in discussione con se stessa aggiornandosi, per avere lo spunto per migliorare e lasciare un segno in questo posto così perfetto, grande ma anche piccolo e delicato che si chiama MONDO!».
IL MIO PRIMO GIORNO CHE VORREI…
«Ho riletto a casa il testo ascoltato in classe: "Il primo giorno (di scuola) che vorrei" di Alessandro D'Avenia, da sola, ad alta voce e con così tanta enfasi ed espressione da riuscire ad immedesimarmi così bene all'interno dei pensieri dell'autore che mi sono quasi commossa. Io, vorrei così pieno di emozioni e di nuove conoscenze non solo il primo giorno di scuola, dove ci si impegna tanto a fare bella figura addirittura pensando a ciò che indosseremo per quell'occasione diversi giorni prima. Io, vorrei che tutto questo accadesse tutti i giorni e che non sia solo raccontato ma fatto, vissuto e sperimentato. Vorrei che la scuola non fosse un posto collegato nella nostra mente all'ansia di un'interrogazione o di un giudizio nascosto dietro ad un numero che in realtà dice molto poco di noi. Vorrei che la scuola fosse un luogo dove combattere tutti i giorni una battaglia alla scoperta di noi stessi e degli altri e non solo una corsa contro il tempo per finire il prima possibile il programma di studi di quell'anno.Vorrei che la scuola aiutasse noi ragazzi, "povere anime in pena" persi nella confusione dei cambiamenti repentini e radicali di quest'età di crescita, a fermarci per pensare al futuro, ma non come se fosse una realtà lontana e piena di punti interrogativi, ma piena di orgoglio e soddisfazione per essere riusciti a scoprire a pieno noi stessi, le nostre qualità e i nostri talenti, averli coltivati e potenziati per spostare "la bandierina del traguardo" sempre un metro più in là e raggiungerla ogni volta sempre più grandi. Aiutateci ad accettare le sconfitte e le delusioni, ma non per sederci per terra e piangerci addosso fingendo il mondo sia finito, ma per capire che senza l'oscurità non si riesce ad apprezzare pienamente la luce e per essere più forti e determinati per raggiungere i nostri obiettivi e i nostri scopi più desiderati. Voi, cari insegnanti, guardateci con i vostri occhi, però con quelli che avevate alla nostra età per indossare meglio i nostri problemi e le nostre preoccupazioni (che a volte snobbate, giudicandoli irrilevanti, essendo adulti) risolvendoli come voi avete fatto a vostro tempo, tenendoci per mano attraversando questo labirinto pieno di scelte che invece di facilitarci le cose, ci manda solo più in crisi perché non sappiamo mai come comportarci e accettarne le conseguenze con maturità.
E per favore, siate insegnanti e non facciate gli insegnanti non limitandovi a spiegarci ciò che dovete con un tono di voce così piatto che, detto francamente, ci fa addormentare e ci fa passare via l'entusiasmo, ma metteteci la vostra essenza in ciò che fate dimostrandoci di averci preso a cuore come fossimo vostri figli così da poter avere un carattere contraddistinto che permetta agli altri di riconoscerci come vostri alunni, un po' come accade con il colore degli occhi uguale a quello del genitore. Permetteteci di esprimerci al massimo e di realizzarci, ma attraverso il sapere e la cultura che da secoli aumenta e si stratifica senza sosta, mettendosi a volte anche in discussione con se stessa aggiornandosi, per avere lo spunto per migliorare e lasciare un segno in questo posto così perfetto, grande ma anche piccolo e delicato che si chiama MONDO!».