Associazioni
I partigiani 'di nuovo loro' presenti a Barletta
Riflessioni sulla presentazione della sezione provinciale dell'ANPI. Cercando di ricostruire la vera storia
Barletta - giovedì 27 gennaio 2011
Nell'anno "2011" e nel giorno 15 Gennaio, a Barletta, è stata costituita la Sezione provinciale dell'A.N.P.I., che avrà sede presso il locale Spi- CGIL, intitolata al partigiano barlettano, Francesco Gammarota, nome di battaglia "Brancaleone" forse per ricordarsi, in quei momenti di grande tensione civile, il luogo natio e i suoi affetti.
Tra il pubblico, molto carente di presenze sia di giovani sia di pantere grigie come vengono chiamati, con eufemismo, coloro a cui i capelli si sono imbiancati, vi era un solo superstite partigiano: il barlettano,Vito Cuonzo della Divisione Osoppo Friuli. Correva l'anno "1948", il presidente dell'A.N.P.I. della Sezione di Barletta, Mario Torti, invitava con lettera, datata 20 Maggio 1948, e dava un appuntamento, per la domenica mattina del 23 Maggio 1948, alle famiglie dei partigiani barlettani caduti, Damiani Giuseppe, Delvecchio Francesco, Di Scisciolo Vito, Dicuonzo Gino, Fusillo Antonio, Guglielmi Mario, Laboragine Giuseppe, Musti Michele, Rizzi Savino e Sfregola Giuseppe, ai fini di benedire la Bandiera, e Mario Torti raccomandava loro di intervenire per l'alto significato simbolico che avrebbe assunto la cerimonia a motivo della loro presenza. Non erano incluse, nella citata lettera, le famiglie dei partigiani barlettani caduti: Allegretti Cosimo Damiano, Dell'Aquila Francesco, Andreola Francesco, Daloiso Giuseppe, Dambra Antonio, Delcarmine Giovanni, Dibenedetto Pasquale, Fiorentino Matteo, Lacavalla Ruggiero, Lamacchia Michele, Laserra Salvatore, Lombardi Domenico, Morella Ruggiero, Perrone Nicola e Tumolo Pasquale. Di questa Sezione A.N.P.I, sorta nel 1948, si perdono quasi subito le tracce, per cui gli altri partigiani sunnominati passano nel dimenticatoio, angolo "negativo" della cosiddetta memoria storica.
E' strano ma vero che quelle tragiche giornate di settembre del "43, per le quali si è discettato, molto tempo dopo, intorno alle domande se, a Barletta, vi fu la resistenza ai Tedeschi, e se i Tedeschi, addirittura furono aggrediti o si comportarono da aggressori, e se la resistenza fu protratta, sono rimaste senza risposte convincenti. Il silenzio caduto e persistito su tali dolorosi e luttuosi avvenimenti non è stato, del tutto, casuale perché la politica successiva ha cercato, per presunte ragioni di Stato, di coprire o di stendere nel migliore dei casi su tutto ciò un velo pietoso, negando, tra l'altro, ad una città come Barletta, il suo orgoglio di "resistente" e costringendo la sua popolazione con valori di così alta civiltà patriottica, quasi a non parlarne per un comportamento inspiegabile, forse costretti da pressioni intellettuali di varia natura, che, alla fine, l'hanno spuntata, lasciando, come retaggio, la simbolica conoscenza e la vuota commemorazione allorquando i giochi erano stati già fatti per porre al riparo e al sicuro i responsabili di tali tragici accadimenti, risultati all'anagrafe più che longevi. Era stata imbastita: la storia della moto-carrozzella tedesca, che girava attorno a Piazza Roma (così denominata all'epoca), poi finita in un locale, in cui, si dice, che sia stato consumato un delitto ai danni di uno degli occupanti il motoveicolo, con cui poi avrebbero raggiunto l'ospedale. E di tale vicenda fioriscono solo dichiarazioni verbali, non supportate da testimonianze documentali. La stessa vicenda dell'eccidio dei dieci vigili urbani e dei due netturbini presenta qualche lato oscuro perché sarebbe stata giustificata, secondo logiche barbariche, dalla presunta uccisione di un militare tedesco mentre nell'area cimiteriale barlettana riposano 31 Tedeschi, per cui sarebbero dovuti morire ancora altri cittadini barlettani, che, per fortuna, sono stati risparmiati e, a questo punto, sorgono dubbi, perplessità e sospetti. I documenti, relativi agli eventi di quei cruenti giorni, esistono ma non in maniera copiosa e risentono, comunque, degli influssi storici dell'epoca, smarrendo, in tal guisa, l'obiettività che ora non aiuta gli studiosi a colmare gli eventuali vuoti della memoria storica.
Tra il pubblico, molto carente di presenze sia di giovani sia di pantere grigie come vengono chiamati, con eufemismo, coloro a cui i capelli si sono imbiancati, vi era un solo superstite partigiano: il barlettano,Vito Cuonzo della Divisione Osoppo Friuli. Correva l'anno "1948", il presidente dell'A.N.P.I. della Sezione di Barletta, Mario Torti, invitava con lettera, datata 20 Maggio 1948, e dava un appuntamento, per la domenica mattina del 23 Maggio 1948, alle famiglie dei partigiani barlettani caduti, Damiani Giuseppe, Delvecchio Francesco, Di Scisciolo Vito, Dicuonzo Gino, Fusillo Antonio, Guglielmi Mario, Laboragine Giuseppe, Musti Michele, Rizzi Savino e Sfregola Giuseppe, ai fini di benedire la Bandiera, e Mario Torti raccomandava loro di intervenire per l'alto significato simbolico che avrebbe assunto la cerimonia a motivo della loro presenza. Non erano incluse, nella citata lettera, le famiglie dei partigiani barlettani caduti: Allegretti Cosimo Damiano, Dell'Aquila Francesco, Andreola Francesco, Daloiso Giuseppe, Dambra Antonio, Delcarmine Giovanni, Dibenedetto Pasquale, Fiorentino Matteo, Lacavalla Ruggiero, Lamacchia Michele, Laserra Salvatore, Lombardi Domenico, Morella Ruggiero, Perrone Nicola e Tumolo Pasquale. Di questa Sezione A.N.P.I, sorta nel 1948, si perdono quasi subito le tracce, per cui gli altri partigiani sunnominati passano nel dimenticatoio, angolo "negativo" della cosiddetta memoria storica.
E' strano ma vero che quelle tragiche giornate di settembre del "43, per le quali si è discettato, molto tempo dopo, intorno alle domande se, a Barletta, vi fu la resistenza ai Tedeschi, e se i Tedeschi, addirittura furono aggrediti o si comportarono da aggressori, e se la resistenza fu protratta, sono rimaste senza risposte convincenti. Il silenzio caduto e persistito su tali dolorosi e luttuosi avvenimenti non è stato, del tutto, casuale perché la politica successiva ha cercato, per presunte ragioni di Stato, di coprire o di stendere nel migliore dei casi su tutto ciò un velo pietoso, negando, tra l'altro, ad una città come Barletta, il suo orgoglio di "resistente" e costringendo la sua popolazione con valori di così alta civiltà patriottica, quasi a non parlarne per un comportamento inspiegabile, forse costretti da pressioni intellettuali di varia natura, che, alla fine, l'hanno spuntata, lasciando, come retaggio, la simbolica conoscenza e la vuota commemorazione allorquando i giochi erano stati già fatti per porre al riparo e al sicuro i responsabili di tali tragici accadimenti, risultati all'anagrafe più che longevi. Era stata imbastita: la storia della moto-carrozzella tedesca, che girava attorno a Piazza Roma (così denominata all'epoca), poi finita in un locale, in cui, si dice, che sia stato consumato un delitto ai danni di uno degli occupanti il motoveicolo, con cui poi avrebbero raggiunto l'ospedale. E di tale vicenda fioriscono solo dichiarazioni verbali, non supportate da testimonianze documentali. La stessa vicenda dell'eccidio dei dieci vigili urbani e dei due netturbini presenta qualche lato oscuro perché sarebbe stata giustificata, secondo logiche barbariche, dalla presunta uccisione di un militare tedesco mentre nell'area cimiteriale barlettana riposano 31 Tedeschi, per cui sarebbero dovuti morire ancora altri cittadini barlettani, che, per fortuna, sono stati risparmiati e, a questo punto, sorgono dubbi, perplessità e sospetti. I documenti, relativi agli eventi di quei cruenti giorni, esistono ma non in maniera copiosa e risentono, comunque, degli influssi storici dell'epoca, smarrendo, in tal guisa, l'obiettività che ora non aiuta gli studiosi a colmare gli eventuali vuoti della memoria storica.