
La città
“Giuseppe De Nittis, dialogo con il Minotauro”: il teatro di formazione per avvicinare i giovani al pittore barlettano
Intervista al poeta e scrittore barlettano Giuseppe Lagrasta
Barletta - lunedì 20 ottobre 2025
Il poeta e scrittore Giuseppe Lagrasta ci racconta della sua nuova opera dal titolo "Giuseppe De Nittis: dialogo con il Minotauro", un dialogo teatrale che si appresta ad essere messo presto in scena. In quest'opera, in cui ci sono interlocuzioni tra il pittore barlettano Giuseppe De Nittis e la moglie Leontine De Nittis, emergono i malesseri dell'artista durante il suo periodo parigino, emersi da un'attenta lettura dei taccuini del pittore.
Lei ha scelto per diversi anni la prosa e la poesia. Come nasce l'idea di approcciarsi in questo periodo di creatività al dialogo teatrale? Crede che questa forma letteraria debba essere maggiormente presa in considerazione?
«Ora, come dice bene lei, ho pubblicato il primo testo teatrale con questo libro su cartaceo perché credo che questo testo possa avvicinare i giovani al cosiddetto teatro di formazione. Noi sappiamo che esiste il romanzo di formazione e la poesia di formazione ma esiste anche il teatro di formazione che è una narrazione che parla attraverso metafore disseminate nel testo di problemi che affrontano quotidianamente i giovani e che lo stesso Giuseppe De Nittis ha vissuto partendo da Barletta e arrivando a Parigi e abitando una società complessa come quella».
Già dal titolo emerge la presenza di questa figura mitologica. Cosa significa il Minotauro nella vita del De Nittis, qual è la sua valenza epistemologica?
«La nostra vita è rappresentata da un labirinto e il labirinto percorso dal Minotauro rappresenta proprio la rete complessa in cui la vita si fa abitare. Il Minotauro ha a che fare anche con Giuseppe De Nittis perché è la metafora dell'inquietudine, del disagio esistenziale, con cui ogni artista deve lottare per ridurre questo male di vivere, come direbbe Eugenio Montale nella sua famosa poesia tratta dagli Ossi di seppia. Quindi il Minotauro è la metafora del labirinto e noi che viviamo nel labirinto siamo costretti ad affrontare questo disagio e questo male di vivere».
Nel dialogo teatrale la figura di Leontine De Nittis incoraggia a riprendere la tavolozza dei colori della vita da contrapporre alla malinconia mediterranea. Qual è il ruolo della dama in quest'opera?
«Ecco, questa domanda è interessante perché mi consente di dire che Leontine De Nittis ha svolto un ruolo strategico nella vita del pittore barlettano. Come donna, ma anche come moglie, come madre di Jacques, è una donna volitiva e molto moderna. Ricordiamo che siamo nel 1870-1880, quindi è una donna rivoluzionaria e, leggendo il taccuino del pittore barlettano, si nota quanto spazio la figura di Leontine abbia conquistato nella vita e nella relazione con Giuseppe De Nittis. Aiutandolo, supportandolo e svolgendo un ruolo importante nell'affermazione dell'artista nei primi periodi parigini».
Il pittore viene colto nel suo stato di massima fragilità, con la pesantezza delle mani e la cecità degli occhi. Da dove nasce il malessere del pittore? Come crede di affrontarlo? A quale corda deve aggrapparsi?
«Sì, diciamo che questo malessere che noi descriviamo lo abbiamo ricavato dalla lettura attenta del taccuino. Questo malessere, noi lo abbiamo estrapolato metaforicamente dall'inquietudine che vive Giuseppe De Nittis, perché noi dobbiamo dare a lui una forza di volontà notevole, dopo Barletta e Napoli, va a vivere a Parigi, in una società complessa che non conosceva. Grazie alla moglie Leontine, è riuscito con la creatività, la volitività, la motivazione interiore, il senso di libertà e la conquista nella relazione con il mondo esterno ad aggrapparsi a una corda salvifica e tutte queste qualità gli hanno consentito di raggiungere il successo».
Ad un certo punto si vede contrapposta la solitudine del poeta rispetto alla folla dei mercanti, quale valenza può avere questa contrapposizione?
«A Parigi i mercanti erano gestiti da Giuseppe e dalla moglie Leontine. Inizialmente lo hanno aiutato a farsi conoscere nella società, acquistando le sue opere. Con il tempo però le cose si sono incrinate, il pittore si è sentito a disagio ed è stato preso da un forte malessere interiore perché voleva rispettare la sua arte e non rispettare le richieste dei mercanti. Per questo a lui si deve del coraggio, seguendo la sua arte è stato attento a leggere la molteplice complessità della società parigina cogliendo ogni minimo particolare e sfumatura».
Ultima domanda, qual è lo stato d'animo che lo ha spinto a scrivere di De Nittis? Ha un legame speciale con la figura del pittore Barlettano?
«Ho un legame speciale con Giuseppe De Nittis e con la sua arte. In primis perché per me è una figura di riferimento come artista e come poeta dei colori. Mentre Giuseppe De Nittis scrive la vita con i colori, io ho scritto la vita con le parole. Per me è stato un vero esempio e può essere un esempio per i giovani di come la creatività può essere usata per combattere il malessere interiore e vedere con più chiarezza le meraviglie della vita».
Lei ha scelto per diversi anni la prosa e la poesia. Come nasce l'idea di approcciarsi in questo periodo di creatività al dialogo teatrale? Crede che questa forma letteraria debba essere maggiormente presa in considerazione?
«Ora, come dice bene lei, ho pubblicato il primo testo teatrale con questo libro su cartaceo perché credo che questo testo possa avvicinare i giovani al cosiddetto teatro di formazione. Noi sappiamo che esiste il romanzo di formazione e la poesia di formazione ma esiste anche il teatro di formazione che è una narrazione che parla attraverso metafore disseminate nel testo di problemi che affrontano quotidianamente i giovani e che lo stesso Giuseppe De Nittis ha vissuto partendo da Barletta e arrivando a Parigi e abitando una società complessa come quella».
Già dal titolo emerge la presenza di questa figura mitologica. Cosa significa il Minotauro nella vita del De Nittis, qual è la sua valenza epistemologica?
«La nostra vita è rappresentata da un labirinto e il labirinto percorso dal Minotauro rappresenta proprio la rete complessa in cui la vita si fa abitare. Il Minotauro ha a che fare anche con Giuseppe De Nittis perché è la metafora dell'inquietudine, del disagio esistenziale, con cui ogni artista deve lottare per ridurre questo male di vivere, come direbbe Eugenio Montale nella sua famosa poesia tratta dagli Ossi di seppia. Quindi il Minotauro è la metafora del labirinto e noi che viviamo nel labirinto siamo costretti ad affrontare questo disagio e questo male di vivere».
Nel dialogo teatrale la figura di Leontine De Nittis incoraggia a riprendere la tavolozza dei colori della vita da contrapporre alla malinconia mediterranea. Qual è il ruolo della dama in quest'opera?
«Ecco, questa domanda è interessante perché mi consente di dire che Leontine De Nittis ha svolto un ruolo strategico nella vita del pittore barlettano. Come donna, ma anche come moglie, come madre di Jacques, è una donna volitiva e molto moderna. Ricordiamo che siamo nel 1870-1880, quindi è una donna rivoluzionaria e, leggendo il taccuino del pittore barlettano, si nota quanto spazio la figura di Leontine abbia conquistato nella vita e nella relazione con Giuseppe De Nittis. Aiutandolo, supportandolo e svolgendo un ruolo importante nell'affermazione dell'artista nei primi periodi parigini».
Il pittore viene colto nel suo stato di massima fragilità, con la pesantezza delle mani e la cecità degli occhi. Da dove nasce il malessere del pittore? Come crede di affrontarlo? A quale corda deve aggrapparsi?
«Sì, diciamo che questo malessere che noi descriviamo lo abbiamo ricavato dalla lettura attenta del taccuino. Questo malessere, noi lo abbiamo estrapolato metaforicamente dall'inquietudine che vive Giuseppe De Nittis, perché noi dobbiamo dare a lui una forza di volontà notevole, dopo Barletta e Napoli, va a vivere a Parigi, in una società complessa che non conosceva. Grazie alla moglie Leontine, è riuscito con la creatività, la volitività, la motivazione interiore, il senso di libertà e la conquista nella relazione con il mondo esterno ad aggrapparsi a una corda salvifica e tutte queste qualità gli hanno consentito di raggiungere il successo».
Ad un certo punto si vede contrapposta la solitudine del poeta rispetto alla folla dei mercanti, quale valenza può avere questa contrapposizione?
«A Parigi i mercanti erano gestiti da Giuseppe e dalla moglie Leontine. Inizialmente lo hanno aiutato a farsi conoscere nella società, acquistando le sue opere. Con il tempo però le cose si sono incrinate, il pittore si è sentito a disagio ed è stato preso da un forte malessere interiore perché voleva rispettare la sua arte e non rispettare le richieste dei mercanti. Per questo a lui si deve del coraggio, seguendo la sua arte è stato attento a leggere la molteplice complessità della società parigina cogliendo ogni minimo particolare e sfumatura».
Ultima domanda, qual è lo stato d'animo che lo ha spinto a scrivere di De Nittis? Ha un legame speciale con la figura del pittore Barlettano?
«Ho un legame speciale con Giuseppe De Nittis e con la sua arte. In primis perché per me è una figura di riferimento come artista e come poeta dei colori. Mentre Giuseppe De Nittis scrive la vita con i colori, io ho scritto la vita con le parole. Per me è stato un vero esempio e può essere un esempio per i giovani di come la creatività può essere usata per combattere il malessere interiore e vedere con più chiarezza le meraviglie della vita».
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