Associazioni
Giù le mani dai dipendenti Timac, la protesta del Collettivo Exit
«La bonifica non giustifica nessun licenziamento»
Barletta - giovedì 17 maggio 2018
Comunicato Stampa
«In una nota diramata a mezzo stampa nella giornata di venerdì la Timac Agro annuncia la procedura di licenziamento collettivo per cessazione attività. La stessa azienda spiega come tale scelta sia una conseguenza diretta dell'attività di bonifica del sito sul quale sorge lo stabilimento di Barletta. Tutto ciò è inaccettabile - scrive Emma Cafiero del Collettivo Exit - Solo un paio di settimane fa facevamo notare che la prevedibile risposta dell'azienda sarebbe stata quella di giocare sulla pelle degli operai facendo leva sul binomio ricatto-lavoro. Dalla nota in oggetto, questo ricatto è del tutto evidente; in altre parole si dice che, poiché a tutti interessa la bonifica delle aree, l'azienda è costretta a licenziare. In altre parole che chi vuole la bonifica è diretto responsabile del licenziamento dei dipendenti Timac.
In primo luogo non si pronuncia (cosa più che mai scontata) nemmeno una parola su chi siano i responsabili della devastazione ambientale che ha provocato la necessità di bonifica e quindi il sequestro dello stabilimento. I responsabili sono appunto i vertici aziendali che, con le loro scelte scellerate in nome del profitto, hanno contribuito al disastro ambientale. Non di certo gli operai, né tanto meno un'intera comunità che da anni denuncia un'emergenza sociale, ambientale e sanitaria, comunità di cui anche gli operai (va specificato) fanno parte. Il giochetto di sciacallare sulla condizione in cui si sono venuti a trovare, non per colpa loro, i dipendenti ed il tentativo di metterli contro il resto della cittadinanza è un triste quanto patetico teatrino al quale siamo abbondantemente abituati. E' un metodo spicciolo per distogliere l'attenzione di politica locale, sindacati e cittadinanza dai reali colpevoli del disastro. E di certo non biasimeremmo gli operai se in questo momento esprimessero la loro rabbia proprio contro coloro che in questi anni hanno chiesto a gran voce che le aziende insalubri di Barletta si assumessero le proprie responsabilità di fronte alla stupro del territorio da esse stesse causato.
E' proprio per queste ragioni che siamo ancora una volta qui per ribadire che non accetteremo che si giochi sulla pelle di decine di famiglie per provare a farla franca. Chi ha devastato i nostri territori deve pagare in maniera diretta per la sua condotta scellerata e dovrà farlo facendosi carico dei costi di risanamento e riqualificazione delle aree o, dove possibile, con la riconversione ecologica delle produzioni. Ciò siginifica, e lo traduciamo in termini spiccioli per quei signori che ancora fingono di non capire, che non solo non è necessario toccare alcun posto di lavoro ma che, probabilmente, si potrà creare nuova occupazione sul territorio. Sono anni che lo affermiamo promuovendo la strategia Rifiuti Zero e gli esempi virtuosi sparsi in tutto il mondo. Gli attuali dipendenti Timac potranno essere coinvolti direttamente nelle opere di risanamento e questo sarà possibile se la politica locale e nazionale non cederà al ricatto ed andrà fino in fondo affinchè i reali colpevoli (quelli in giacca e cravatta) paghino il conto degli effetti nefasti del loro amore per i profitti. Senza gravare sulla collettività e senza toccare gli operai.
Invitiamo, per tanto, tutta la cittadinanza a portare la propria solidarietà a chi oggi rischia il posto di lavoro. A farlo ribadendo i concetti fin qui espressi: chi ha inquinato deve pagare, chi ha inquinato è il nemico. Nelle scorse ore abbiamo affisso uno striscione davanti ai cancelli Timac che recita "STRATEGIA AZIENDALE: INQUINARE E LICENZIARE" come gesto di vicinanza a tutti coloro che sono in presidio dinanzi allo stabilimento. Siamo in una fase delicata come quella della campagna elettorale in cui la questione Timac sarà per molti uno strumento di propaganda elettorale o di accattonaggio voti ma non per noi. Non siamo qui a sostegno di nessun candidato poiché crediamo che nessun candidato potrà mai rappresentarci. Manifestiamo la nostra vicinanza agli operai che rischiano il posto di lavoro e lo facciamo lontani anni luce da ogni logica di partito basandoci esclusivamente sul principio della solidarietà, unica arma contro il ricatto dei padroni.
Lo dicevamo a Taranto nel 2012 e lo ribadiamo a Barletta da anni, il lavoro non è un ricatto, non è la viscida arma del potere per piegare un'intera comunità, né gli operai sono uno scudo umano per chi tenta una facile scappatoia».
In primo luogo non si pronuncia (cosa più che mai scontata) nemmeno una parola su chi siano i responsabili della devastazione ambientale che ha provocato la necessità di bonifica e quindi il sequestro dello stabilimento. I responsabili sono appunto i vertici aziendali che, con le loro scelte scellerate in nome del profitto, hanno contribuito al disastro ambientale. Non di certo gli operai, né tanto meno un'intera comunità che da anni denuncia un'emergenza sociale, ambientale e sanitaria, comunità di cui anche gli operai (va specificato) fanno parte. Il giochetto di sciacallare sulla condizione in cui si sono venuti a trovare, non per colpa loro, i dipendenti ed il tentativo di metterli contro il resto della cittadinanza è un triste quanto patetico teatrino al quale siamo abbondantemente abituati. E' un metodo spicciolo per distogliere l'attenzione di politica locale, sindacati e cittadinanza dai reali colpevoli del disastro. E di certo non biasimeremmo gli operai se in questo momento esprimessero la loro rabbia proprio contro coloro che in questi anni hanno chiesto a gran voce che le aziende insalubri di Barletta si assumessero le proprie responsabilità di fronte alla stupro del territorio da esse stesse causato.
E' proprio per queste ragioni che siamo ancora una volta qui per ribadire che non accetteremo che si giochi sulla pelle di decine di famiglie per provare a farla franca. Chi ha devastato i nostri territori deve pagare in maniera diretta per la sua condotta scellerata e dovrà farlo facendosi carico dei costi di risanamento e riqualificazione delle aree o, dove possibile, con la riconversione ecologica delle produzioni. Ciò siginifica, e lo traduciamo in termini spiccioli per quei signori che ancora fingono di non capire, che non solo non è necessario toccare alcun posto di lavoro ma che, probabilmente, si potrà creare nuova occupazione sul territorio. Sono anni che lo affermiamo promuovendo la strategia Rifiuti Zero e gli esempi virtuosi sparsi in tutto il mondo. Gli attuali dipendenti Timac potranno essere coinvolti direttamente nelle opere di risanamento e questo sarà possibile se la politica locale e nazionale non cederà al ricatto ed andrà fino in fondo affinchè i reali colpevoli (quelli in giacca e cravatta) paghino il conto degli effetti nefasti del loro amore per i profitti. Senza gravare sulla collettività e senza toccare gli operai.
Invitiamo, per tanto, tutta la cittadinanza a portare la propria solidarietà a chi oggi rischia il posto di lavoro. A farlo ribadendo i concetti fin qui espressi: chi ha inquinato deve pagare, chi ha inquinato è il nemico. Nelle scorse ore abbiamo affisso uno striscione davanti ai cancelli Timac che recita "STRATEGIA AZIENDALE: INQUINARE E LICENZIARE" come gesto di vicinanza a tutti coloro che sono in presidio dinanzi allo stabilimento. Siamo in una fase delicata come quella della campagna elettorale in cui la questione Timac sarà per molti uno strumento di propaganda elettorale o di accattonaggio voti ma non per noi. Non siamo qui a sostegno di nessun candidato poiché crediamo che nessun candidato potrà mai rappresentarci. Manifestiamo la nostra vicinanza agli operai che rischiano il posto di lavoro e lo facciamo lontani anni luce da ogni logica di partito basandoci esclusivamente sul principio della solidarietà, unica arma contro il ricatto dei padroni.
Lo dicevamo a Taranto nel 2012 e lo ribadiamo a Barletta da anni, il lavoro non è un ricatto, non è la viscida arma del potere per piegare un'intera comunità, né gli operai sono uno scudo umano per chi tenta una facile scappatoia».