Rino, il ragazzo della carne. <span>Foto Floriana Doronzo</span>
Rino, il ragazzo della carne. Foto Floriana Doronzo
Eventi

Da Barletta all’Andalusia con “Rino, il ragazzo della carne"

Profumi e morbidezza nel gusto delle ritmiche mediterranee

Un salto nella memoria della Barletta povera e affascinante, macchiata dal rosso caldo del fuoco iberico e da quello sguazzante della carne portata da Rino. Il suono del mandolino vibra nella pioggia di una domenica pomeriggio d'inverno e agita il ricordo della terra arsa di Barletta. La terra dei pomodori soleggiati, seccati al sole insieme ai fichi; l'ombra degli ulivi secolari e l'oro del pane bagnato dall'olio vergine. E in quest'orgia di sapori non può mancare la carne, quella viva e tenera tirata con quella spremuta di uva pigiata con i piedi e con tanta testa. La sacralità del vino e la voracità della carne, quella stessa carne portata da Ponente a Santa Maria da Rino.

Rino della carne come Juanito el Zapatin: umani nel corpo, ribelli nello spirito. Piccoli uomini in contatto con grandi animali; un rapporto in cui non è la ragione a fare la differenze, ma la voglia di vivere a fare l'uguaglianza. Rino è un ragazzo di 14 anni, magro come un fil di ferro e scuro come un vermetto: è il fattorino della macelleria "Capasso" e va su e giù per Barletta sulla sua bici rancida di ruggine, consegnando spangelle, salsicce, filetti, costatine e brasciole. E il racconto di Tommy Dibari, già preannunciato ai microfoni di Barlettaviva, profuma di ragù e suona come lo sfrigolio della domenica barlettana degli anni '80. Ma d'improvviso, maracas rosso-oro trasportano l'immaginazione nella terra di Blasco Ibanez e nella mesosfera sudamericana di Gabriel Garcia Marquez. Le parole di questi visionari immortali sono avvolte dalle note dei nostri Francesco De Gregori e Pino Daniele, musicando una nostalgia per il passato nel blues del flamenco e nel flamenco del blues.

La complessità del musical vien fuori in tutta la sua semplicità. Le reminiscenze dei barlettani accorsi ieri al punto Einaudi si alzavano come revenants in una galassia di emozioni, descritte da Rino con le parole del poeta Bodini durante l'esame di italiano per la licenza media: la Cattedrale bianca come una fetta di petto di pollo ben cotta, Eraclio nervoso come una spangella, il balconcino del Palazzo della Marra ruvido come il macinato che fuoriesce dalla macchinetta della salsiccia e il tramonto che si abbatte sui palazzi come una bestia macellata. Queste sono le meraviglie di Barletta e come non pensare all'immagine del "sole sul tetto dei palazzi in costruzione della 167 di oggi come la leva calcistica del '68, e terra e polvere che tira vento e poi magari piove. Rino pedala che sembra un uomo, con le scarpette di gomma dura, 14 anni e il cuore pieno di paura"; il terrore lo paralizza quando sui muri della scuola "De Nittis" in Via Libertà legge "NON AMMESSO". Ossa e muscoli spezzati. Lividi e tremore condivisi con Bodini, ma questo la Professoressa Sciancalepore lo ignorava. "Je so' pazzo" suonava la radio, appena Rino tornò a casa, e tutt'un tratto il mondo gli sembrò meno estraneo.

Il popolo degli zoccoli, il regno dei pescatori che chiamano Rino per farsi consegnare collane di salsiccia, il sangue nell'aria e la sfilata delle lacrime durante la sua pedalata controvento erano il suo tempo, il suo respiro, il suo spazio. La mancia era la sua libertà, le chiacchiere delle signore ai balconi il suo spettacolo da non pagante. Quante scale salite da Rino e quante scese dagli spettatori nell'abisso lucente dei ricordi. Oggi la carne non è più di moda, sushi e vegetali riempiono i frigoriferi, ma il calore di Rino arderà in tutta Italia attraverso il racconto sinestesico di Tommy Dibari, la magistrale prossemica degli attori e il suono de "Gli Accorati" nelle ritmiche di un Mediterraneo da scongelare.
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