Cronaca
Crollo di via Roma, le motivazioni della sentenza
"Non immobile a sé stante ma porzione di un fabbricato"
Barletta - lunedì 3 ottobre 2016
23.57
Due gli snodi motivazionali per cui il Tribunale di Trani, il 15 dicembre 2015, ha condannato i 15 imputati per il crollo della palazzina di Via Roma costato 5 morti ed 11 feriti: 13 dei 15 imputati furono riconosciuti responsabili di omicidio e lesioni colpose. Da un lato il non aver considerato che le tre originarie palazzine tra le vie Roma, Cognetta, Mura Spirito Santo e De Leon costituivano un unico corpo di fabbrica e come tale andavano programmati gli interventi. Dall'altro la scellerata demolizione con un escavatore piuttosto che a mani dell'area dove si stavano eseguendo i lavori ritenuto causa del crollo.
Una sentenza corposa di ben 959 pagine in cui il collegio presieduto dal presidente estensore Giulia Pavese ripercorre l'iter amministrativo, i sopralluoghi, e le condotte materiali che determinarono la tragedia in cui persero la vita Matilde Doronzo, Giovanna Sardaro, Antonella Zaza, Tina Cenci. Tutte erano dipendenti di Savio Cinquepalmi (estraneo al processo), titolare del laboratorio tessile ubicato nella palazzina di Via Roma dove perse la vita anche la figlia 14enne Maria, quel giorno uscita prima da scuola.
Questi alcuni passi salienti delle motivazioni della sentenza, che segnano l'apripista, anche da un punto di vista temporale, per il processo di secondo grado dinanzi alla Corte d'Appello di Bari: "Si è rischiata la vita dei lavoratori mandati ad operare sotto non una ma due porzioni di edifici sostanzialmente pericolanti - scrivono i giudici Pavese, Lorenzo Gadaleta, Roberta Savelli. I 3 fratelli Chiarulli (esecutori delle opere di demolizione) senza esser ostacolati né da Giannini (amministratore della omonima Srl proprietaria del suolo dove si stavano eseguendo i lavori) né da Sica (custode del cantiere ndr), hanno eseguito i lavori di demolizione del fabbricato con modalità scellerate e con l'impiego di un escavatore con benna". L'architetto Giovanni Paparella, ritenuto direttore dei lavori "ha partecipato quantomeno in qualità di tecnico incaricato al sopralluogo eseguito dall'ing. Palmitessa e dal geometra Marino dell'Ufficio Tecnico Comunale la mattina del 30 Settembre 2011 e, pertanto, ha preso contezza, almeno alla data indicata, del grave quadro lesionativo esistente, in particolare nell'appartamento al primo piano con affaccio su Via Roma e della circostanza che i lavori eseguiti dai fratelli Chiarulli nel cantiere di proprietà della Giannini Srl non si erano affatto limitati alla rimozione delle macerie, a confine con l'immobile con accesso da via De Leon, come egli aveva comunicato all'Ufficio Tecnico Comunale il 21 Settembre 2011, ma erano consistiti in vera e propria attività di demolizione. La presenza di Paparella sull'ex cantiere Palmitessa risulta documentalmente provata anche nei giorni 30 Settembre, 1 e 3 Ottobre 2011 sino all'atto del crollo del fabbricato". Ed ancora: "I lavori di demolizione eseguiti dalla Ditta Chiarulli nel cantiere ex Palmitessa, avevano già creato lesioni nel fabbricato attiguo con accesso da Via De Leon, tanto da rendere necessaria l'immediata sospensione dei lavori e l'esecuzione di opere provvisionali di puntellamento. L'insorgenza delle lesioni per effetto dei lavori di demolizione in corso ed il conseguente ordine di demolizione sono stati comunicati tempestivamente comunicati al dirigente dell'Ufficio Tecnico, arch. Francesco Gianferrini". Poi il riferimento al sopraluogo del 30 Settembre 2011 in cui l'ingegnere dell'Utc Rosario Palmitessa, pur censurando la demolizione con la ruspa "aveva tranquillizzato i presenti, escludendo pericolo incombenti, preannunziando un'ordinanza sindacale per imporre ai proprietari dell'edificio la nomina di un tecnico di parte per le verifiche statiche. Giannini in quanto committente, aveva una precisa posizione di garanzia che gli imponeva di esercitare la dovuta vigilanza per impedire qualsiasi valutazione. L'operazione di demolizione, in se stessa e per sua natura, riguardante solamente una porzione dell'edificio in muratura, e non la sua interezza, configurava già l'alterazione del comportamento strutturale della porzione non demolita, e quindi l'obbligo di presentare un progetto di adeguamento presso il Genio Civile prima di procedere con la demolizione delle strutture. Il mancato accertamento e l'omessa rappresentazione di siffatte caratteristiche, strutturali ed urbanistiche, dell'intervento da parte dei progettisti (arch. Paparella e ingegner Ceci) e dei rappresentanti dell'UTC (arch. Gianferrini e Valendino) ha comportato che il procedimento amministrativo di approvazione del piano di recupero si fondasse sul falso ed erroneo presupposto che la porzione immobiliare da recuperare fosse un immobile a sé stante, e non, quale era in realtà, una porzione di immobile di un fabbricato parte di un aggregato edilizio. Il che ha indotto in errore non soltanto il consiglio comunale, che ha adottato la delibera n. 4 del 10 Gennaio 2008, ma anche il Consiglio di Stato".
Una sentenza corposa di ben 959 pagine in cui il collegio presieduto dal presidente estensore Giulia Pavese ripercorre l'iter amministrativo, i sopralluoghi, e le condotte materiali che determinarono la tragedia in cui persero la vita Matilde Doronzo, Giovanna Sardaro, Antonella Zaza, Tina Cenci. Tutte erano dipendenti di Savio Cinquepalmi (estraneo al processo), titolare del laboratorio tessile ubicato nella palazzina di Via Roma dove perse la vita anche la figlia 14enne Maria, quel giorno uscita prima da scuola.
Questi alcuni passi salienti delle motivazioni della sentenza, che segnano l'apripista, anche da un punto di vista temporale, per il processo di secondo grado dinanzi alla Corte d'Appello di Bari: "Si è rischiata la vita dei lavoratori mandati ad operare sotto non una ma due porzioni di edifici sostanzialmente pericolanti - scrivono i giudici Pavese, Lorenzo Gadaleta, Roberta Savelli. I 3 fratelli Chiarulli (esecutori delle opere di demolizione) senza esser ostacolati né da Giannini (amministratore della omonima Srl proprietaria del suolo dove si stavano eseguendo i lavori) né da Sica (custode del cantiere ndr), hanno eseguito i lavori di demolizione del fabbricato con modalità scellerate e con l'impiego di un escavatore con benna". L'architetto Giovanni Paparella, ritenuto direttore dei lavori "ha partecipato quantomeno in qualità di tecnico incaricato al sopralluogo eseguito dall'ing. Palmitessa e dal geometra Marino dell'Ufficio Tecnico Comunale la mattina del 30 Settembre 2011 e, pertanto, ha preso contezza, almeno alla data indicata, del grave quadro lesionativo esistente, in particolare nell'appartamento al primo piano con affaccio su Via Roma e della circostanza che i lavori eseguiti dai fratelli Chiarulli nel cantiere di proprietà della Giannini Srl non si erano affatto limitati alla rimozione delle macerie, a confine con l'immobile con accesso da via De Leon, come egli aveva comunicato all'Ufficio Tecnico Comunale il 21 Settembre 2011, ma erano consistiti in vera e propria attività di demolizione. La presenza di Paparella sull'ex cantiere Palmitessa risulta documentalmente provata anche nei giorni 30 Settembre, 1 e 3 Ottobre 2011 sino all'atto del crollo del fabbricato". Ed ancora: "I lavori di demolizione eseguiti dalla Ditta Chiarulli nel cantiere ex Palmitessa, avevano già creato lesioni nel fabbricato attiguo con accesso da Via De Leon, tanto da rendere necessaria l'immediata sospensione dei lavori e l'esecuzione di opere provvisionali di puntellamento. L'insorgenza delle lesioni per effetto dei lavori di demolizione in corso ed il conseguente ordine di demolizione sono stati comunicati tempestivamente comunicati al dirigente dell'Ufficio Tecnico, arch. Francesco Gianferrini". Poi il riferimento al sopraluogo del 30 Settembre 2011 in cui l'ingegnere dell'Utc Rosario Palmitessa, pur censurando la demolizione con la ruspa "aveva tranquillizzato i presenti, escludendo pericolo incombenti, preannunziando un'ordinanza sindacale per imporre ai proprietari dell'edificio la nomina di un tecnico di parte per le verifiche statiche. Giannini in quanto committente, aveva una precisa posizione di garanzia che gli imponeva di esercitare la dovuta vigilanza per impedire qualsiasi valutazione. L'operazione di demolizione, in se stessa e per sua natura, riguardante solamente una porzione dell'edificio in muratura, e non la sua interezza, configurava già l'alterazione del comportamento strutturale della porzione non demolita, e quindi l'obbligo di presentare un progetto di adeguamento presso il Genio Civile prima di procedere con la demolizione delle strutture. Il mancato accertamento e l'omessa rappresentazione di siffatte caratteristiche, strutturali ed urbanistiche, dell'intervento da parte dei progettisti (arch. Paparella e ingegner Ceci) e dei rappresentanti dell'UTC (arch. Gianferrini e Valendino) ha comportato che il procedimento amministrativo di approvazione del piano di recupero si fondasse sul falso ed erroneo presupposto che la porzione immobiliare da recuperare fosse un immobile a sé stante, e non, quale era in realtà, una porzione di immobile di un fabbricato parte di un aggregato edilizio. Il che ha indotto in errore non soltanto il consiglio comunale, che ha adottato la delibera n. 4 del 10 Gennaio 2008, ma anche il Consiglio di Stato".