La città
Chi almeno una volta nella vita non è stato barlettano?
Strane scoperte in via Dimiccoli
Barletta - giovedì 1 aprile 2010
Barletta ultima frontiera. Ancora una volta bisogna indignarsi e non solo. Far qualcosa bisogna, con forza, senza cedere all'indifferenza civile e sociale.
Per non far passare il messaggio che noi barlettani siamo accidiosi di fronte ad una situazione, oppure coltivatori ed estimatori del detto «l'hanno fatto gli altri, io sono forse il più beota?».
Questo detto di getto, e già basterebbe. Ma abbiamo detto che bisogna far qualcosa, iniziamo con un po' di informazione: anche questa non deve essere dimenticata in luogo di facili strali spesso inascoltati e ancor più spesso "rituali" quasi come fossero una posa.
E informazione sia. E non siamo vaghi.
Via Dimiccoli, angolo riconoscibile. Numero civico 67, dunque ancora più riconoscibile. Due cassonetti, già una volta incendiati (a Barletta è una sorta di "tagliando"), di un verdone che ispira fiducia. Accanto uno di quelli più simpatici e probi, quelli gialli per la plastica. Un ambiente che già a descriverlo sembra bucolico, che ci mancano solo un paio di randagi che giocano felici per essere stucchevole (tranquilli, ci sono anche quelli, ma questa è un'altra favola) . E in questa cinguettante calma, l'ampio marciapiede mostra la sua sorpresa finale. Cumuli.
Cumuli? Magari nembi? O forse cirrostrati (tipici del cielo cosiddetto "a pecorelle") per concludere una visione quasi impressionistica dell'ambiente? Cumuli di pensieri che dopo questa descrizione invadono l'ignaro passante, perso in una sua elucubrazione sulla barlettanità?
Cumuli di MONNEZZA.
E mi si perdoni il grassetto e il maiuscolo, tanto poco giornalistici se usati per far sensazione. Qui l'unica cosa sensazionale è questa grande, smisurata, gargantuesca quantità di MONNEZZA, tanta da bloccare il passaggio. Tentate solo di immaginare, poi smettete e guardate le fotografie in basso. Neppure con la fantasia di un attivista di Greenpeace potreste arrivare a tanto e sappiate anche che la monnezza, in questo scenario che da bucolico diventa veroscientifico, ha ormai vinto. Non si può passare! Se si vuol proseguire bisogna fare il giro largo. E' barlettanità anche questo, non solo il dialetto nobile, il recupero storico, le cento chiese o la disfida.
Vergogna, per chi è stato. Non nascondiamoci dietro un dito. Qualcuno sarà stato. E se chi legge non lo è, si domandasse «io cosa avrei fatto?».
Possiamo fare due cose. La prima è leggere quanto qui scritto, voltare pagina e aspettare che il tempo, gran medico, tramite la plasticità del nostro cervello ci faccia dimenticare (è facile basta non pensarci, in fondo ci sono così tante cose da fare). La seconda è migliore della prima.
Vergogna per chi è stato, anzi. Vergogna, anche per noi. Siamo stati tutti barlettani almeno una volta nella vita.
Per non far passare il messaggio che noi barlettani siamo accidiosi di fronte ad una situazione, oppure coltivatori ed estimatori del detto «l'hanno fatto gli altri, io sono forse il più beota?».
Questo detto di getto, e già basterebbe. Ma abbiamo detto che bisogna far qualcosa, iniziamo con un po' di informazione: anche questa non deve essere dimenticata in luogo di facili strali spesso inascoltati e ancor più spesso "rituali" quasi come fossero una posa.
E informazione sia. E non siamo vaghi.
Via Dimiccoli, angolo riconoscibile. Numero civico 67, dunque ancora più riconoscibile. Due cassonetti, già una volta incendiati (a Barletta è una sorta di "tagliando"), di un verdone che ispira fiducia. Accanto uno di quelli più simpatici e probi, quelli gialli per la plastica. Un ambiente che già a descriverlo sembra bucolico, che ci mancano solo un paio di randagi che giocano felici per essere stucchevole (tranquilli, ci sono anche quelli, ma questa è un'altra favola) . E in questa cinguettante calma, l'ampio marciapiede mostra la sua sorpresa finale. Cumuli.
Cumuli? Magari nembi? O forse cirrostrati (tipici del cielo cosiddetto "a pecorelle") per concludere una visione quasi impressionistica dell'ambiente? Cumuli di pensieri che dopo questa descrizione invadono l'ignaro passante, perso in una sua elucubrazione sulla barlettanità?
Cumuli di MONNEZZA.
E mi si perdoni il grassetto e il maiuscolo, tanto poco giornalistici se usati per far sensazione. Qui l'unica cosa sensazionale è questa grande, smisurata, gargantuesca quantità di MONNEZZA, tanta da bloccare il passaggio. Tentate solo di immaginare, poi smettete e guardate le fotografie in basso. Neppure con la fantasia di un attivista di Greenpeace potreste arrivare a tanto e sappiate anche che la monnezza, in questo scenario che da bucolico diventa veroscientifico, ha ormai vinto. Non si può passare! Se si vuol proseguire bisogna fare il giro largo. E' barlettanità anche questo, non solo il dialetto nobile, il recupero storico, le cento chiese o la disfida.
Vergogna, per chi è stato. Non nascondiamoci dietro un dito. Qualcuno sarà stato. E se chi legge non lo è, si domandasse «io cosa avrei fatto?».
Possiamo fare due cose. La prima è leggere quanto qui scritto, voltare pagina e aspettare che il tempo, gran medico, tramite la plasticità del nostro cervello ci faccia dimenticare (è facile basta non pensarci, in fondo ci sono così tante cose da fare). La seconda è migliore della prima.
Vergogna per chi è stato, anzi. Vergogna, anche per noi. Siamo stati tutti barlettani almeno una volta nella vita.