Eventi
«Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti»
Il “Curci” di Barletta ospita “Ferite a morte”
Barletta - venerdì 20 dicembre 2013
1.06
Serena Dandini e Orsetta de' Rossi, Girgia Cardaci e Rita Pelusio i pilastri del muliebre quadrilatero, che ha dato voce a chi non può più parlare perché ha parlato troppo. L'atmosfera è fantasmagorica: sì, perché le protagoniste della pièce teatrale di ieri al teatro "Curci" di Barletta erano tutte morte, "Ferite a morte". Non ferite nel momento della morte, e neanche ferite a morte come iperbole simbolica di quantità; chi ha parlato ieri è stata la sensibilità, ferita fino al punto di essere annichilita. Non sentono più nulla ormai, sono morte, e meglio morte che vive accanto a certi mostri. «Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti» recita l'incipit dell'opera teatrale; eppure, c'è un errore nel verbo. Quella di ieri non è stata una recita, ma la dilatazione di un tempo troncato troppo in fretta, giusto il tempo di raccontare appunto. Raccontare storie vere con un'analisi descrittiva e una sintesi narrativa d'eccellenza: il talento di Dandini è l'elemento visibile dello spettacolo: una scrittura che, sebbene innestata su una realtà pre-esistente, ha scansato la trascrizione e si è avvicinata all'idillio emotivo, caricato e patetico (nell'ellenica accezione). Piccoli quadri macchiati di rosso sangue, di rosso scarpa, di rosso bocca. La passione, il calvario, le cadute e poi la fine.
Grazie al collage documentaristico svolto da Dandini in collaborazione con Maura Misiti, ricercatrice del CNR, dopo la morte c'è stata la resurrezione degli spiriti sparati, strangolati, lapidati, avvelenati delle donne morte per mano dei loro uomini. O meglio, uomini che hanno avvicinato un po' troppo la mano a donne che erano il loro patrimonio. Il diritto di proprietà e quello d'onore sono le pretese avanzate da questi spiriti inferiori: spiriti che non possono sopportare che una donna guadagni di più, esca di più, guardi di più perché quelli sono privilegi che spettano agli uomini. La donna come spiga al vento: questo il suo unico dovere, un dovere neanche tanto impegnativo; in fondo, basta lasciarsi guidare senza vedere neanche la strada. Una destinazione finale come il pozzo, il giardino sotto casa, il proprio letto in seguito a una mutilazione genitale o il bagagliaio dell'auto dopo un incontro di riappacificazione.
Il ritratto dell'uomo violento viene standardizzato: generoso, buono, premuroso, protettivo, rassicurante, "sì un po' geloso ma perché ci tiene". «Non va contraddetto, non vale la pena polemizzare, gli si da ragione e tutto passa». La ricetta è semplice e anche il risultato sembra abbastanza banale: chi finisce in forno è sempre l'anima femminile, martoriata precedentemente con la frusta da cucina.
"Ferite a morte" ha fatto rinascere le coscienze, senza sfiorare minimamente il pietismo sociale. Il sostrato reale che lo supporta ha permesso una varietà linguistica ineccepibile: dal napoletano al fiorentino, dal romano al romagnolo, dal tunisino al bulgaro, sono tutte forme dialettali diverse con identico contenuto; le dinamiche sono le più impensabili ma anche l'animale sa essere creativo, dopotutto è istinto. Non mancano riferimenti al femminile servilismo in politica come nel lavoro nero. Le cause dei femminicidi smuovono il peso della tragedia: la cipolla nel sugo, il telecomando, le partite di calcio: questa è la vera frattura portata in scena rispetto ai moventi standard ascoltati ai notiziari. Scene di vita quotidiana che rimandano il pensiero al dramma subito ogni giorno entro le mura domestiche, fuori dagli occhi denunciatori di una società che si sforza di diventare civile.
La base della cronaca e il linguaggio della drammaturgia hanno arricchito il palco del Teatro "Curci" di Barletta di storia sommersa, istigazione alla riflessione e rigetto della violenza, sin dalle sue primordiali e minime manifestazioni. Tina Arbues, presidente dell'Osservatorio "Giulia e Rossella" di Barletta, è stata l'ultima portavoce ad aver letto l'ennesima uccisione. 124 solo nel 2013: il numero è stato egregiamente trasformato in verbo, una sensibilizzazione che si trasforma in catarsi e, a giudicare dal suono del battito di mani, queste donne hanno avuto il loro riscatto nelle coscienze di tutti quelli che sono rimasti su questa terra.
Grazie al collage documentaristico svolto da Dandini in collaborazione con Maura Misiti, ricercatrice del CNR, dopo la morte c'è stata la resurrezione degli spiriti sparati, strangolati, lapidati, avvelenati delle donne morte per mano dei loro uomini. O meglio, uomini che hanno avvicinato un po' troppo la mano a donne che erano il loro patrimonio. Il diritto di proprietà e quello d'onore sono le pretese avanzate da questi spiriti inferiori: spiriti che non possono sopportare che una donna guadagni di più, esca di più, guardi di più perché quelli sono privilegi che spettano agli uomini. La donna come spiga al vento: questo il suo unico dovere, un dovere neanche tanto impegnativo; in fondo, basta lasciarsi guidare senza vedere neanche la strada. Una destinazione finale come il pozzo, il giardino sotto casa, il proprio letto in seguito a una mutilazione genitale o il bagagliaio dell'auto dopo un incontro di riappacificazione.
Il ritratto dell'uomo violento viene standardizzato: generoso, buono, premuroso, protettivo, rassicurante, "sì un po' geloso ma perché ci tiene". «Non va contraddetto, non vale la pena polemizzare, gli si da ragione e tutto passa». La ricetta è semplice e anche il risultato sembra abbastanza banale: chi finisce in forno è sempre l'anima femminile, martoriata precedentemente con la frusta da cucina.
"Ferite a morte" ha fatto rinascere le coscienze, senza sfiorare minimamente il pietismo sociale. Il sostrato reale che lo supporta ha permesso una varietà linguistica ineccepibile: dal napoletano al fiorentino, dal romano al romagnolo, dal tunisino al bulgaro, sono tutte forme dialettali diverse con identico contenuto; le dinamiche sono le più impensabili ma anche l'animale sa essere creativo, dopotutto è istinto. Non mancano riferimenti al femminile servilismo in politica come nel lavoro nero. Le cause dei femminicidi smuovono il peso della tragedia: la cipolla nel sugo, il telecomando, le partite di calcio: questa è la vera frattura portata in scena rispetto ai moventi standard ascoltati ai notiziari. Scene di vita quotidiana che rimandano il pensiero al dramma subito ogni giorno entro le mura domestiche, fuori dagli occhi denunciatori di una società che si sforza di diventare civile.
La base della cronaca e il linguaggio della drammaturgia hanno arricchito il palco del Teatro "Curci" di Barletta di storia sommersa, istigazione alla riflessione e rigetto della violenza, sin dalle sue primordiali e minime manifestazioni. Tina Arbues, presidente dell'Osservatorio "Giulia e Rossella" di Barletta, è stata l'ultima portavoce ad aver letto l'ennesima uccisione. 124 solo nel 2013: il numero è stato egregiamente trasformato in verbo, una sensibilizzazione che si trasforma in catarsi e, a giudicare dal suono del battito di mani, queste donne hanno avuto il loro riscatto nelle coscienze di tutti quelli che sono rimasti su questa terra.