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Politica

Aristocratismo e plebeismo

La crisi della giunta Maffei è lo specchio di una disgregazione sociale e culturale. La città deve ripudiare questa classe dirigente perché essa ha in sé "qualcosa di vergognoso"

La politica è materia viva, misteriosa e incandescente. L'uomo è naturalmente politico perché dotato di linguaggio. E dunque nella politica entrano tutti gli elementi dell'espressione umana. Questo vale per i momenti più alti della politica, ma vale anche per i suoi momenti peggiori. La politica barlettana è giunta al suo abisso più profondo. Dalle pagine di questa testata abbiamo più volte ricostruito il percorso di disfacimento, di putrefazione della maggioranza Maffei. E tuttavia gli ultimi anni della politica cittadina meritano una ulteriore prospettiva. La politica ha riprodotto, in maniera estrema e paradossale, un processo di disgregazione sociale e culturale. Questa città ha vissuto nel dopoguerra, ma soprattutto dagli anni Settanta in poi, una vera e propria mutazione genetica.

Barletta era una città contadina e marinara. Perfino alcune sfumature del dialetto rivelano ancora le due matrici della popolazione. E di queste due figure, il contadino e il pescatore, la città aveva nel proprio carattere elementi essenziali: il risparmio, il lavoro duro, la pazienza, il valore sacro dell'ospitalità, la fierezza e la dignità. Senza nasconderne i limiti: la rigida divisione del lavoro e dei ruoli tra i sessi, una nota di conservatorismo, la religiosità ai limiti della superstizione. Gli anni Settanta hanno spazzato via questa tradizione millenaria. Al posto del contadino è emersa, come figura sociale di riferimento, l'imprenditore di successo del tessile e del calzaturiero. Un mare di soldi ha inondato la città e affogato le virtù dei padri. L'intera classe dirigente si è piegata alle logiche che da quel mondo provenivano. La produzione tramite lavoro nero o sommerso, la liquidità a disposizione per continui progetti di impresa, i simboli esteriori della dolce vita. Nulla si è salvato. I nazisti, quando invadevano una città nemica, per prima cosa distruggevano la pavimentazione delle strade dei quartieri ebraici e le pareti divisorie nei palazzi abitati da Ebrei. Allo stesso modo questo capitalismo d'accatto ha delineato una città, anche a livello urbanistico, a sua immagine e somiglianza. L'acronimo TAC, tessile-abbigliamento- calzaturiero, è diventato TACC, tessile-abbigliamento-calzaturiero-cemento.

Nessuno ne ha intravisto il lato perverso. Il mondo delle professioni si è prostituito ai nuovi padroni. La cultura si è rifugiata (ancor di più) in una nicchia barocca e dorata. Le famiglie politiche sono state imbastardite da questi tycoon. Gli ultimi quindici anni, proprio gli anni in cui questo modello di capitalismo straccione è stato marginalizzato dalla concorrenza internazionale, hanno visto in politica lo scontro tra diverse anime, diverse sfaccettature di questo modello di comportamento. C'è stato chi, pensando di poter addomesticare la belva ha sognato una città in eterna espansione con i capitali dei privati. C'è stato chi, con piglio altezzoso, ha foraggiato una cultura inutile e provinciale fatta di belletti, di stucchi, di ciprie: una cultura di parrucconi. Chiamandola promozione del territorio. Infine c'è stato chi ha nutrito gli orfani di quell'economia decrepita con le clientele nella gestione rifiuti, nei servizi sociali, nella attività (im)produttive. Sviluppismo, aristocratismo, plebeismo: questa triade sintetizza al meglio lo stato dell'arte della politica barlettana.

Da questa mortifera condizione si esce riscoprendo la saggezza dei padri. Riscoprendo due termini antichi, biblici. Ripudiare e custodire. "Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei come marito, se poi avviene che essa non sia più amata da lui, perché ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via di casa". (Deuteronomio, 24, 1)

La città deve ripudiare questa classe dirigente perché essa ha in sé "qualcosa di vergognoso", divorziare con atto unilaterale dal modello culturale che questa politica incarna. Se ha fallito in economia, non può che portarci alla rovina nell'amministrazione della cosa pubblica. I cittadini devono riprendere in mano la città.
"Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse"( Genesi 2,15). Il contadino non soltanto lavora la terra e ne trae il raccolto, ma anche la custodisce e la protegge. Custodire il bene primario della città, come i nostri avi facevano con le vigne e gli uliveti. Opporre ai muti consiglieri comunali, ai bisbigli negli studi e nei bar dei politicanti, la voce piena di una politica che impegna tutti. Ritornare contadini. O pescatori. Molta fatica per pochi, ma veri, sani risultati.
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