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Al "Curci" è tempo di "Cabaret", la scintillante virtù del grottesco

In scena a Barletta lo spettacolo della Compagnia della Rancia

«Vi emozionerete, piangerete, sicuramente, e vi farete molte domande». Una tag-line sicuramente azzeccata per la rappresentazione di "Cabaret" della Compagnia della Rancia con la regia di Saverio Marconi dal testo di Joe Masteroff, le musiche di John Kander e le liriche di Fred Ebb (tradotto da Michele Renzullo) che ha trovato spazio sia sui palchi teatrali di tutto il mondo che al cinema (Cabaret, 1972 con Liza Minelli e Joel Grey diretto da Bob Fosse).

Il nuovo allestimento della Compagnia originaria di Tolentino non lascia indifferenti dal primo minuto con Giampiero Ingrassia che introduce il suo pubblico come "Maestro di Cerimonie" a quello che sarà il leitmotiv di tutto lo spettacolo: il Kit Kat Club, un club Berlinese di Cabaret dove si svolgeranno le vicende narrate, durante gli anni '30 della tristemente nota Repubblica di Weimar, poco prima dell'ascesa del Nazifascismo.

Un musical che nasconde sotto l'allegria e la frivolezza del Cabaret tedesco una sensazione di grottesco e di fallimento che invade tutto la messa in scena: le aspirazioni infrante dei due protagonisti Sally Bowles interpretata da Giulia Ottonello (la stella del Kit Kat Club) e l'uomo con cui intreccerà la relazione, Cliff Bradshaw interpretato da Mauro Simone (uno scrittore americano trapiantato a Berlino) sono il filo conduttore dell'intera vicenda su cui incombe, tremenda l'ombra di ciò che accadrà negli anni avvenire colpendo anche la cornice di personaggi dei due protagonisti da Fräulein Schneider la proprietaria delle stanze dove convivono Sally e Cliff(Altea Russo) e il timido e riservato ebreo Herr Schultz (Michele Renzullo), insieme prima in un romantico e delicato duetto e poi costretti loro malgrado a separarsi; la libertina Fräulein Kost (Valentina Gullace) e il nazista Ernst Ludwig (Alessandro Di Giulio).

Una sorta di spazio onirico quello del Kit Kat Club, dove, per poco, è possibile davvero dimenticare tutto ciò che ci affligge, dove davvero "la vita è meravigliosa" ma che vive di un equilibrio fragile, precario che sarà annunciato proprio dal protagonista nell'ultimo tentativo di iniziare un libro che forse non finirà mai : «C'era un cabaret ed un presentatore e una città chiamata Berlino in un paese chiamato Germania, ed era la fine del mondo» fino alla chiosa finale dove uno sconsolato Maestro di Cerimonie è costretto a chiudere la sua storia e quella di tutti i personaggi con un disperato "Auf Wiedersehen" pronto ad andare incontro alla più grande tragedia dell'Europa novecentesca.
  • Teatro Curci
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