Riflessione personale sul Natale don Emanuele Tupputi
Riflessione personale sul Natale don Emanuele Tupputi

"Natale: testimoni e custodi della Luce vera"

Riflessione aperta a tutti gli uomini di buona volontà

1. San Leone Magno, in una delle sue numerose omelie natalizie, così esclama: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, ed apriamo il nostro cuore alla gioia più pura. Perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l'antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l'alto mistero della nostra salvezza, che, promesso, all'inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Homilia XXII). Su questa verità fondamentale ritorna più volte san Paolo nelle sue lettere. Ai Galati, ad esempio, scrive: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge…perché ricevessimo l'adozione a figli» (4,4).

2. Carissimi lettori, partendo da queste due citazioni voglio chiedervi un po' del vostro prezioso tempo per riflettere insieme su questo grande "giorno che per noi significa la nuova redenzione e rinnova l'alto mistero della nostra salvezza" e augurare a tutti un santo Natale di luce, di gioia, di fraternità e di speranza, con le porte aperte al Signore. Per vivere un Natale veramente cristiano, liberi da ogni mondanità, pronti ad accogliere il Salvatore, il Dio-con-noi. Un Natale in cui possiamo prendere sempre più coscienza del nostro essere amati da un Dio incommensurabile e misericordioso, specialmente in questo difficilissimo momento storico oppresso da crisi di valori e d'identità religiosa, politica, etica, sociale, economica ecc. Un Dio che sceglie di incarnarsi in un umile bambino manifestando l'inermità del suo amore. Questo Dio viene senza armi, perché non intende conquistare dall'esterno, bensì guadagnare e trasformare dall'interno. Questo Dio viene a liberarci dalle tenebre e a donarci la luce.

3. Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Vuole che ognuno di noi: ricco, povero, lavoratore, disoccupato, carcerato, extracomunitario, barbone, perseguitato a motivo della fede, ammalato, bambino, giovane, anziano, ecc, diveniamo custodi della Sua luce e la irradiamo con fiducia, gioia e speranza. Una speranza che non è semplicemente un desiderio, un auspicio, non è ottimismo, ma attesa del compimento del mistero dell'amore di Dio che ci porta a rendere l'impossibile possibile, a trasformare il buio in luce, la disperazione in speranza, la sfiducia in fiducia in un mondo migliore, più fraterno e più vero.
4. Non abbattiamoci, non buttiamo la spugna, non reagiamo con pessimismo ai vari fallimenti della vita e della società e non riduciamo il Natale in una festa di consumismo, di cenoni o altro ma in un giorno di grande luce, speranza e fraternità vera che sa rispettare la diversità vedendola non come una minaccia, ma una ricchezza da custodire e far crescere nella quotidiana esistenza. Questo Natale sia un giorno di fraternità attraente e luminosa "che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano" (EG, 92); che sa «suscitare la fede, trasformare il mondo secondo il disegno di Dio; che non si lascia bloccare da pregiudizi, abitudini, rigidità pastorali e che sa spogliarsi di ogni mondanità spirituale, dalla paura di aprire le porte e di uscire incontro a tutti, per portare la luce di Cristo» (Papa Francesco, discorso ad Assisi, 4 ottobre 2013).

5. Ed ora come i pastori nella notte della grande Luce vegliavano vi invito a guardare in silenzio l'immagine della natività, del pittore francese Arcabas, che vi ho proposto in questa lettera, e cogliere mediante questa opera artistica la grandezza del mistero dell'incarnazione e della redenzione.

La "Natività a Betlemme" di Arcabas è tutt'altro che un idilliaco quadretto sul Natale. Il dipinto ci parla di una casa provvisoria, con un letto fatto solamente di paglia per dormire. Una paglia che nel suo intreccio richiama la corona di spine che Gesù - Re dei giudei - porterà sul capo sino al Golgota; già in questo segno si mette in stretto legame l'incarnazione e la redenzione, come spesso la riflessione teologica e le opere sulla natività hanno evidenziato nei secoli. I Vangeli infatti narrano come già nella nascita si celano i segni della passione.
Due sono le fonti di luce: il volto del bambino, che illumina la madre, e la luce della candela, che illumina l'uomo che la tiene tra le mani; due sono anche i piani della scena su cui si stagliano i personaggi. Notte e giorno si incontrano. La notte della Natività è illuminata a giorno dalla luce dell'Emmanuele, mentre l'oscurità della strada su cui si incammina il personaggio in primo piano, che rappresenta Giuseppe, è rischiarata dalla semplice ma forte luce della candela accesa che porta tra le mani; il suo gesto esprime la necessità di custodirla e ripararla dal vento e della intemperie perché non si spenga.

Quella del dipinto è una luce capace di illuminare in profondità, di rischiarare la strada che si apre davanti a noi. Il buio alle spalle di Giuseppe non fa paura perché la sua stessa vita è rischiarata da quella luce. Cammina in punta di piedi e nella notte si fa anche lui personaggio/testimone di luce, tenero e responsabile. E' segno di un cristianesimo che non si ferma lì (alla nascita del Figlio di Dio), ma che, a partire da lì, sa assumersi la responsabilità dell'evento e incamminarsi nella storia sapendo che essa è già rischiarata e salvata da Dio.

È segno di un cristianesimo che si fa compagno di viaggio dell'uomo di ogni tempo per annunciare con gioia che la nostra credibilità di uomini e donne di fede parte dalla mangiatoia che ospita un bambino inerme avvolto in fasce. In questa scena incontriamo la tenerezza e l'amore di un Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. Un Dio che si fa prossimo, mangia il pane degli uomini e ci invita a intraprendere una nuova via che ci sprona a non guardare i nostri ombelichi, ma aprirci ai Suoi orizzonti che sono infinitamente carichi di misericordia e di verità e cosi giungere alla grotta di Betlemme con uno spirito ed un animo mite e sincero.

6. Come amava ricordare un profeta del nostro tempo don Tonino Bello, fissiamo nella nostra mente i tre simboli del Natale: il Bambino inerme, le fasce e la mangiatoia.
Perché il Bambino inerme, che dorme sulla puglia, è "simbolo di chi non può vantare alcuna prestazione. Di chi può solo mostrare, piangendo la propria indigenza" e ci stimola a comprende che "Dio ha deciso di spiazzare tutti, manifestando la sua gloria nei segni della non-forza, del non-potere, della non-violenza". Questo Bambino inerme, pertanto, provochi cortocircuiti alla spreco che facciamo nella vita, scuota la nostra sonnolenta tranquillità e ci aiuti a capire che se vogliamo vedere "la Sua grande luce" ed essere custodi e testimoni della "Luce vera" dobbiamo farci piccoli e partire dagli ultimi.

Le fasce, invece, sono "simbolo del nascondimento di Dio. Velano la sua presenza, perché la sua luce non accechi i nostri occhi. Le stesse saranno ritrovate nel sepolcro, per terra, quando lui, il Signore avrà sconfitto la morte e dichiarato abolite tutte le croci".

La mangiatoia, infine, è "il simbolo della povertà di tutti i tempi. Vertice, insieme alla croce, della carriera rovesciata di Dio, che non trova posto quaggiù. È inutile cercarlo nei prestigiosi palazzi del potere dove si decidono le sorti dell'umanità: non è lì. È vicino di tenda dei senza-casa, dei senza-patria, di tutti coloro che la nostra durezza di cuore classifica come intrusi, estranei abusivi.
La mangiatoia, però, è anche i simbolo del nostro rifiuto. Nella Messa del giorno di Natale ascolteremo quella frase terribile che è l'epigrafe della nostra non accoglienza: "È venuto nella sua casa, ma i suoi non lo hanno accolto" (cfr. Gv 1,11). La greppia di Betlemme interpella, in ultima analisi la nostra libertà. Gesù non compie mai violazione di domicilio. Bussa e chiede ospitalità in punta di piedi. Possiamo chiudergli la porta in faccia. Possiamo, cioè, condannarlo alla mangiatoia: che è un atteggiamento gravissimo nei confronti di Dio.
Sì, è molto meno grave condannare alla croce che condannare alla mangiatoia. Se, però, gli apriremo con cordialità la nostra casa e non rifiuteremo la sua inquietante presenza, ha da offrirci qualcosa di straordinario: il senso della vita, il gusto dell'essenziale, il sapore delle cose semplici, la gioia del servizio, lo stupore della vera libertà, la voglia dell'impegno. Lui solo può restituire, al nostro cuore indurito dalle amarezze e dalle delusioni, rigogli di speranza" (don Tonino Bello, Non c'è fedeltà senza rischio, pp. 110-113, San Paolo 2013).

7. Dopo aver letto queste righe, per un attimo ancora fermiamoci e osserviamo nel profondo del nostro cuore, guardiamo nell'intimo di noi stessi, e domandiamoci: abbiamo un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il nostro cuore ha conservato l'inquietudine della ricerca o l'ha lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ci attende nella mangiatoia della vita avvolto in fasce, ci cerca: che cosa vogliamo fare: rispondiamo? Oppure preferiamo continuare a dormire? Crediamo che Dio ci attende o per noi queste verità sono soltanto "parole"?

8. Concludo rivolgendomi a tutti voi augurandovi: un Buon Natale e un radioso Anno Nuovo! E poi chiedendovi di credere ed annunciare con gioia che "Il Signore è sceso in questo mondo disperato. E all'anagrafe umana si è fatto dichiarare con un nome incredibile: Emmanuele! Che vuol dire: Dio-con-noi. Coraggio! Ai tempi di Adamo "egli scendeva ogni meriggio nel giardino a passeggiare con lui" (cfr. Gen 3,8). Ma ora ha deciso di starsene per sempre quaggiù, perché non si è ancora stancato di nessuno e continua a scommettere su di noi" (don Tonino Bello, Alla finestra la speranza, pp. 108-112, San Paolo 2013).

9. Ed infine, rivolgo a Dio, per tutti noi, questa accorata preghiera:
Dio, che in principio dicesti: "Sia la luce"
fa che i nostri occhi esultino per tutte le cose belle.
Fa' che ogni persona accolga e veda la tua luce
fa' che siamo in comunione gli uni con gli altri
fa' che tutti i popoli camminino nella verità e nella giustizia.

Barletta, 24 dicembre 2014
Don Emanuele Tupputi
  • Santo Natale
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