Barlettani indignati, il crollo non è questione di lavoro nero
Ieri sera allo Speciale TG1, la tragedia del crollo di Via Roma
lunedì 6 marzo 2017
17.02
iReport
Indignati i Barlettani, e non solo, dopo aver assistito alla proiezione del film documentario sulla tragedia del crollo di via Roma. Tragedia associata, forse con leggerezza, ad un grave episodio avvenuto 100 prima a New York.
Sicuramente quello del lavoro nero è una piaga sociale che investe tutto il territorio nazionale e non solo quello pugliese, ma associare e confrontare i lavoratori a nero di Barletta del 2011 a quelli che hanno operato in condizioni irrispettose dell'umanità e degli elementari diritti delle persone, come l'evidente caso di New York del 1911, avvenimento che poco centra con la tragedia del crollo della palazzina di Via Roma.
Il docufilm raffronta la costrizione al lavoro nero che vivono la maggioranza delle donne, quello è il principio di denuncia del docufilm Triangle riportato dallo Speciale Tg1 di ieri sera. Ma le tragedie si accomunano solo per le lavoratrici.
Quella del 25 marzo 1911 nella fabbrica tessile newyorkese Triangle, dove morirono 146 persone (123 donne e 23 uomini), quasi tutte donne, una maggioranza di emigrate italiane ed ebree, alcune avevano solo 12 o 13 anni e facevano turni massacranti di 14 ore, uccise da un incendio, all'interno del 9° piano di una palazzina, ove la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani. I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris che si misero in salvo e lasciarono morire le donne e gli uomini rimasti intrappolati, al momento dell'incendio si trovavano al decimo piano e tenevano "chiusi a chiave gli operai per paura che rubassero o facessero troppe pause", infatti ben 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile non essendoci altra via d'uscita.
Differente invece la tragedia del 3 ottobre 2011 a Barletta, un secolo dopo, nel quale hanno perso la vita cinque donne, quattro operaie ed una giovanissima, la figlia del proprietario di una piccola azienda tessile a conduzione familiare che era ubicata nello stabile crollato. Il crollo del palazzo di via Roma era stato già preannunciato dalle lamentele fatte dai proprietari ed occupanti dell'immobile che pare avessero interpellato già gli organi preposti al controllo, quali ufficio tecnico e operatori delle forze dell'ordine preposti al controllo e sopralluoghi. La ricostruzione dei due avvenimenti attraverso un unico modo di interpretare la strage, ovvero quello che attiene al lavoro nero, è immeritata ed indigna tutti i barlettani.
Sarebbe da ricercare la responsabilità in altre ambiti, non al piccolo imprenditore, quale datore di lavoro che sbarca il lunario e per tirare avanti la famiglia si inventa magliaio e apre un piccolo opificio in centro che è obbligato, a causa della concorrenza spietata ed infinite volte illegale, alla decisione di tenere a nero il dipendente operaio, e sopravvivere come fanno in questo infinito periodo di crisi moltissimi piccoli imprenditori. In questo caso lo stato che deve garantire il lavoro, previsto dalla costituzione italiana, ha mancato tre volte, la prima mancanza: i "piccoli imprenditori costretti ad assumere a nero il dipendente operaio, perché l'indice di tassazione sulle piccole aziende risulta essere troppo alto per poter assumere i dipendenti qualificati e poter fare un prezzo di mercato di produzione del manufatto ai prezzi stiacciatissimi che ci trovano sul mercato"; la seconda mancanza non aver tutelato le lavoratrici, "essendo costrette a lavorare in nero per poter sopravvivere e portare il pane quotidiano a casa, a causa delle la concorrenza spietata della manovalanza a basso prezzo, e conseguenza dell'immissione sul mercato di forza lavoro proveniente da ogni parte del mondo, in molti casi anche senza nemmeno il permesso di soggiorno obbligatorio per legge", la terza mancanza: "non aver garantito alle donne, uomini, studenti, lavoratori o casalinghe che siano, la sicurezza nei luoghi pubblici, privati o abitativi, imposta dalla normativa vigente ma in questo caso specifico, probabilmente, non applicata dai soggetti preposti ad applicare le basilari norme di sicurezza, casa, ufficio, bottega o parco giochi che siano"!!!
Ebbene che non passi la visione del docufilm, che appare ovvia di individuare la responsabilità addebitandola ai colpevoli di fare - i piccoli imprenditori - e non inquadrare bene l'obiettivo delle responsabilità, che, probabilmente, saranno da ricercare ed addebitare ad altri personaggi, ad ogni livello, politici, funzionari, operatori di ogni ordine e grado colpevoli del non fare. Strazianti le testimonianze dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, preziose dal punto di vista documentario ed emotivo, sono le storie di donne, di lavoro nero, di morte, di attimi drammatici; ma fanno molta rabbia, le immagini delle macerie del crollo di Via Roma, la concitazione, la disperazione, la corsa contro un tempo implacabile, il fatto di sapere che quella tragedia era stata annunciata dai reclami degli occupanti ad ogni titolo dello stabile, che quindi si poteva, si doveva evitare!
Agghiacciante la testimonianza di Mariella Fasanella, operaia scampata alla morte perché protetta non dallo stato, ma da un'architrave di un bagno dove si era recata per un attimo, e per chi ha fede, da una grazia ricevuta. Una voce tremante ed ancora oggi dopo anni impaurita e terrorizzata, che da voce e alle sue amiche e compagne inghiottite dai calcinacci, che parla del proprietario come uno di loro che lavorava con loro, affianco a loro e si sporcava le mani come loro, ed ha rischiato come loro di finire sotto le macerie! Queste parole non possono scagionare il proprietario della piccola fabbrica, dalle attanaglianti maglie della Giustizia Italiana, imprenditore colpito fortemente al cuore dalla morte della sua bambina di soli quattordici anni, che in quel momento poteva stare a casa, a scuola o per strada fuori dal luogo del disastro.
Tuona forte la frase di Mariella Fasanella che chiede a se stessa ma soprattutto indirettamente allo Stato Italiano: "Perché, se fossimo state ingaggiate, il palazzo non sarebbe crollato e quelle vite cancellate?".
La consulenza di Daniele Cascella e la collaborazione di Pietro Damico come operatore, nonché le testimonianze tutte, impegnate nelle riprese, quali testimoni attori e operatori, immagini e riprese che sono state selezionate e tante eliminate anche se in archivio, a cui va piena riconoscenza per l'impegno avuto avendo contribuito alla realizzazione del Docufilm, poiché è stato fatto con il cuore di tutti i barlettani e non, è stata probabilmente delusa, in quanto "non si aspettavano questa visione parziale ed alquanto differente sulla natura della tragedia avvenuta".
Il coro dei barlettani è unisono: "Questa tragedia del 2011 accomuna quella di 100 anni prima solo le donne e lavoranti, ma non evidenziano le altre peculiarità, sottaciute dal film, ma che andrebbero ancora oggi sviscerate, immagini depennate dal docufilm, quelle forti, quelle crude quelle delle famiglie distrutte, di chi non ha più una mamma, una sorella, una figlia, un'amica, persone che non si sostituiscono con un monumento, con una fiaccolata, con dieci denari o un'abitazione". In questa tragedia c'è solo una sete ancora viva, la sete di Giustizia.
Stefano Inchingolo
Sicuramente quello del lavoro nero è una piaga sociale che investe tutto il territorio nazionale e non solo quello pugliese, ma associare e confrontare i lavoratori a nero di Barletta del 2011 a quelli che hanno operato in condizioni irrispettose dell'umanità e degli elementari diritti delle persone, come l'evidente caso di New York del 1911, avvenimento che poco centra con la tragedia del crollo della palazzina di Via Roma.
Il docufilm raffronta la costrizione al lavoro nero che vivono la maggioranza delle donne, quello è il principio di denuncia del docufilm Triangle riportato dallo Speciale Tg1 di ieri sera. Ma le tragedie si accomunano solo per le lavoratrici.
Quella del 25 marzo 1911 nella fabbrica tessile newyorkese Triangle, dove morirono 146 persone (123 donne e 23 uomini), quasi tutte donne, una maggioranza di emigrate italiane ed ebree, alcune avevano solo 12 o 13 anni e facevano turni massacranti di 14 ore, uccise da un incendio, all'interno del 9° piano di una palazzina, ove la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani. I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris che si misero in salvo e lasciarono morire le donne e gli uomini rimasti intrappolati, al momento dell'incendio si trovavano al decimo piano e tenevano "chiusi a chiave gli operai per paura che rubassero o facessero troppe pause", infatti ben 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile non essendoci altra via d'uscita.
Differente invece la tragedia del 3 ottobre 2011 a Barletta, un secolo dopo, nel quale hanno perso la vita cinque donne, quattro operaie ed una giovanissima, la figlia del proprietario di una piccola azienda tessile a conduzione familiare che era ubicata nello stabile crollato. Il crollo del palazzo di via Roma era stato già preannunciato dalle lamentele fatte dai proprietari ed occupanti dell'immobile che pare avessero interpellato già gli organi preposti al controllo, quali ufficio tecnico e operatori delle forze dell'ordine preposti al controllo e sopralluoghi. La ricostruzione dei due avvenimenti attraverso un unico modo di interpretare la strage, ovvero quello che attiene al lavoro nero, è immeritata ed indigna tutti i barlettani.
Sarebbe da ricercare la responsabilità in altre ambiti, non al piccolo imprenditore, quale datore di lavoro che sbarca il lunario e per tirare avanti la famiglia si inventa magliaio e apre un piccolo opificio in centro che è obbligato, a causa della concorrenza spietata ed infinite volte illegale, alla decisione di tenere a nero il dipendente operaio, e sopravvivere come fanno in questo infinito periodo di crisi moltissimi piccoli imprenditori. In questo caso lo stato che deve garantire il lavoro, previsto dalla costituzione italiana, ha mancato tre volte, la prima mancanza: i "piccoli imprenditori costretti ad assumere a nero il dipendente operaio, perché l'indice di tassazione sulle piccole aziende risulta essere troppo alto per poter assumere i dipendenti qualificati e poter fare un prezzo di mercato di produzione del manufatto ai prezzi stiacciatissimi che ci trovano sul mercato"; la seconda mancanza non aver tutelato le lavoratrici, "essendo costrette a lavorare in nero per poter sopravvivere e portare il pane quotidiano a casa, a causa delle la concorrenza spietata della manovalanza a basso prezzo, e conseguenza dell'immissione sul mercato di forza lavoro proveniente da ogni parte del mondo, in molti casi anche senza nemmeno il permesso di soggiorno obbligatorio per legge", la terza mancanza: "non aver garantito alle donne, uomini, studenti, lavoratori o casalinghe che siano, la sicurezza nei luoghi pubblici, privati o abitativi, imposta dalla normativa vigente ma in questo caso specifico, probabilmente, non applicata dai soggetti preposti ad applicare le basilari norme di sicurezza, casa, ufficio, bottega o parco giochi che siano"!!!
Ebbene che non passi la visione del docufilm, che appare ovvia di individuare la responsabilità addebitandola ai colpevoli di fare - i piccoli imprenditori - e non inquadrare bene l'obiettivo delle responsabilità, che, probabilmente, saranno da ricercare ed addebitare ad altri personaggi, ad ogni livello, politici, funzionari, operatori di ogni ordine e grado colpevoli del non fare. Strazianti le testimonianze dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime, preziose dal punto di vista documentario ed emotivo, sono le storie di donne, di lavoro nero, di morte, di attimi drammatici; ma fanno molta rabbia, le immagini delle macerie del crollo di Via Roma, la concitazione, la disperazione, la corsa contro un tempo implacabile, il fatto di sapere che quella tragedia era stata annunciata dai reclami degli occupanti ad ogni titolo dello stabile, che quindi si poteva, si doveva evitare!
Agghiacciante la testimonianza di Mariella Fasanella, operaia scampata alla morte perché protetta non dallo stato, ma da un'architrave di un bagno dove si era recata per un attimo, e per chi ha fede, da una grazia ricevuta. Una voce tremante ed ancora oggi dopo anni impaurita e terrorizzata, che da voce e alle sue amiche e compagne inghiottite dai calcinacci, che parla del proprietario come uno di loro che lavorava con loro, affianco a loro e si sporcava le mani come loro, ed ha rischiato come loro di finire sotto le macerie! Queste parole non possono scagionare il proprietario della piccola fabbrica, dalle attanaglianti maglie della Giustizia Italiana, imprenditore colpito fortemente al cuore dalla morte della sua bambina di soli quattordici anni, che in quel momento poteva stare a casa, a scuola o per strada fuori dal luogo del disastro.
Tuona forte la frase di Mariella Fasanella che chiede a se stessa ma soprattutto indirettamente allo Stato Italiano: "Perché, se fossimo state ingaggiate, il palazzo non sarebbe crollato e quelle vite cancellate?".
La consulenza di Daniele Cascella e la collaborazione di Pietro Damico come operatore, nonché le testimonianze tutte, impegnate nelle riprese, quali testimoni attori e operatori, immagini e riprese che sono state selezionate e tante eliminate anche se in archivio, a cui va piena riconoscenza per l'impegno avuto avendo contribuito alla realizzazione del Docufilm, poiché è stato fatto con il cuore di tutti i barlettani e non, è stata probabilmente delusa, in quanto "non si aspettavano questa visione parziale ed alquanto differente sulla natura della tragedia avvenuta".
Il coro dei barlettani è unisono: "Questa tragedia del 2011 accomuna quella di 100 anni prima solo le donne e lavoranti, ma non evidenziano le altre peculiarità, sottaciute dal film, ma che andrebbero ancora oggi sviscerate, immagini depennate dal docufilm, quelle forti, quelle crude quelle delle famiglie distrutte, di chi non ha più una mamma, una sorella, una figlia, un'amica, persone che non si sostituiscono con un monumento, con una fiaccolata, con dieci denari o un'abitazione". In questa tragedia c'è solo una sete ancora viva, la sete di Giustizia.
Stefano Inchingolo