Barletta negli anni '50, tra malaedilizia e lotte operaie
Oggi ricorre il 60° anniversario della tragedia di via Manfredi
lunedì 14 marzo 2016
iReport
«Oggi sessant'anni fa. Barletta, via Manfredi, 14 marzo 1956: morire per pane e lavoro in quell'inverno maledetto. Tre disoccupati, due braccianti ed un operaio, uccisi nella carica di polizia in tenuta antisommossa. La città sconvolta dai disordini raccontati sulle prime pagine della stampa nazionale. Le aspre tensioni fra governo democristiano e opposizioni di sinistra in Parlamento.
Ecco un altro momento forte per interrogarsi sugli Anni Cinquanta a Barletta, spesso dati per letti e conosciuti ma altrettanto spesso rimossi (come scomodi od inquietanti) in una città allora stretta tra fame e povertà ma attraversata da fermenti e disagi profondi molto prima del boom economico all'italiana. E dove anche la malaedilizia nel miraggio di "una casa per tutti" travolgeva vittime innocenti. Ed ecco nel calendario di quegli anni molte, troppe date di allora in un clima di lutto cittadino, pesantissimo bilancio pagato alla storia contemporanea di quegli anni: 8 dicembre 1952, 14 marzo 1956, 16 settembre 1959. Il crollo di via Magenta, 17 morti. I disordini per pane e lavoro, i tre disoccupati uccisi dalla polizia. L'altro crollo, quello assai più sanguinoso, di via Canosa, 58 morti e 12 feriti gravi. Ed ancora, ad un giorno dai fatti di via Manfredi, come pubblicava l'Unità il 16 marzo 1956 in prima pagina, l'ennesimo "pauroso crollo" (singolarmente dimenticato) di Via Taddei, con trentadue scampati alla morte per miracolo o solo per puro caso pochi attimi prima che il fabbricato rovinasse al suolo. Ne diede conto a tutta Italia la RAI in un servizio ritrovato nella videoteca nazionale.
Ci abbiamo impiegato molto a ricercare nel ricordo degli altri. A capire quel nostro passato così tanto prossimo ma anche così tanto taciuto, per vivere il nostro comune presente. Ed infine a far testimoniare quanto più possibile la verità come ci tocca oggi. Ma proprio oggi un'immersione ancora più nel profondo di quel decennio terribile è ormai necessaria per tutta Barletta. Per chi c'era ed ha vissuto. Ma soprattutto per chi è venuto dopo, e si ritrova figlio o figliastro, e comunque erede, di quel tempo. Nel bene come nel male. Nella verità e nell'ipocrisia. Nella giustizia e nelle tante ingiustizie.
Anni Cinquanta del Novecento. Gli avvenimenti, il racconto di una storia abbastanza fresca nella memoria di chi ancora vive e può ricordare quei fatti, il senso della prospettiva da indagare e da trasferire ai più giovani: ecco il bisogno, diffuso ed avvertito, nel dovere e nel volere affrontare il nostro Novecento parte seconda come "luogo" temporale di una memoria sempre più condivisa, e dunque sempre più da comunicare nell'opinione pubblica, nella scuola, perfino nel ritorno alla politica come rispettoso servizio al bene comune. Esempi ci sono. Sui fatti del marzo 1956, ci ha provato a rompere il silenzio nel 2007 lo Spi-Cgil, il sindacato pensionati fra documenti e testimonianze, tuttora d'esempio a chi voglia proseguire nel doveroso cammino della riscoperta e della nuova conoscenza. A quasi mezzo secolo: in via Manfredi scoppiarono disordini che le forze dell'ordine riuscirono a sedare nel sangue, tanto da spezzare la vita di due braccianti, Giuseppe Dicorato e Giuseppe Spadaro, e dell'operaio Giuseppe Lojodice, che morirono protestando in piazza. Gente del popolo che divenne protagonista di storie spesso difficili e scomode per la classe dirigente del tempo. Uomini e donne che, nelle cronache nazionali di quell'epoca fra stampa d'informazione e stampa di partito, travolti e dispersi dalle cariche della polizia contro le folle di gente affamata dall'inverno, erano il segno, il simbolo dei tempi bui attraversati dall'Italia al confine della cortina di ferro.
Il bianco ed il gelo di quella nevicata del '56 (magnifica Mia Martini) corrispondono come negativi fotografici ad una data "nera" per Barletta sul suo calendario della storia più recente: storia che sconfina ancora oggi nell'attualità della cronaca, e che dunque si colloca, non tanto fatalmente, come una sorta di spartiacque sociale fra le date di due crolli frutto della speculazione e della malaedilizia. Interrogarsi e riflettere tutti sugli Anni Cinquanta a Barletta: si può. E si deve fare».
[Nino Vinella, giornalista]
Ecco un altro momento forte per interrogarsi sugli Anni Cinquanta a Barletta, spesso dati per letti e conosciuti ma altrettanto spesso rimossi (come scomodi od inquietanti) in una città allora stretta tra fame e povertà ma attraversata da fermenti e disagi profondi molto prima del boom economico all'italiana. E dove anche la malaedilizia nel miraggio di "una casa per tutti" travolgeva vittime innocenti. Ed ecco nel calendario di quegli anni molte, troppe date di allora in un clima di lutto cittadino, pesantissimo bilancio pagato alla storia contemporanea di quegli anni: 8 dicembre 1952, 14 marzo 1956, 16 settembre 1959. Il crollo di via Magenta, 17 morti. I disordini per pane e lavoro, i tre disoccupati uccisi dalla polizia. L'altro crollo, quello assai più sanguinoso, di via Canosa, 58 morti e 12 feriti gravi. Ed ancora, ad un giorno dai fatti di via Manfredi, come pubblicava l'Unità il 16 marzo 1956 in prima pagina, l'ennesimo "pauroso crollo" (singolarmente dimenticato) di Via Taddei, con trentadue scampati alla morte per miracolo o solo per puro caso pochi attimi prima che il fabbricato rovinasse al suolo. Ne diede conto a tutta Italia la RAI in un servizio ritrovato nella videoteca nazionale.
Ci abbiamo impiegato molto a ricercare nel ricordo degli altri. A capire quel nostro passato così tanto prossimo ma anche così tanto taciuto, per vivere il nostro comune presente. Ed infine a far testimoniare quanto più possibile la verità come ci tocca oggi. Ma proprio oggi un'immersione ancora più nel profondo di quel decennio terribile è ormai necessaria per tutta Barletta. Per chi c'era ed ha vissuto. Ma soprattutto per chi è venuto dopo, e si ritrova figlio o figliastro, e comunque erede, di quel tempo. Nel bene come nel male. Nella verità e nell'ipocrisia. Nella giustizia e nelle tante ingiustizie.
Anni Cinquanta del Novecento. Gli avvenimenti, il racconto di una storia abbastanza fresca nella memoria di chi ancora vive e può ricordare quei fatti, il senso della prospettiva da indagare e da trasferire ai più giovani: ecco il bisogno, diffuso ed avvertito, nel dovere e nel volere affrontare il nostro Novecento parte seconda come "luogo" temporale di una memoria sempre più condivisa, e dunque sempre più da comunicare nell'opinione pubblica, nella scuola, perfino nel ritorno alla politica come rispettoso servizio al bene comune. Esempi ci sono. Sui fatti del marzo 1956, ci ha provato a rompere il silenzio nel 2007 lo Spi-Cgil, il sindacato pensionati fra documenti e testimonianze, tuttora d'esempio a chi voglia proseguire nel doveroso cammino della riscoperta e della nuova conoscenza. A quasi mezzo secolo: in via Manfredi scoppiarono disordini che le forze dell'ordine riuscirono a sedare nel sangue, tanto da spezzare la vita di due braccianti, Giuseppe Dicorato e Giuseppe Spadaro, e dell'operaio Giuseppe Lojodice, che morirono protestando in piazza. Gente del popolo che divenne protagonista di storie spesso difficili e scomode per la classe dirigente del tempo. Uomini e donne che, nelle cronache nazionali di quell'epoca fra stampa d'informazione e stampa di partito, travolti e dispersi dalle cariche della polizia contro le folle di gente affamata dall'inverno, erano il segno, il simbolo dei tempi bui attraversati dall'Italia al confine della cortina di ferro.
Il bianco ed il gelo di quella nevicata del '56 (magnifica Mia Martini) corrispondono come negativi fotografici ad una data "nera" per Barletta sul suo calendario della storia più recente: storia che sconfina ancora oggi nell'attualità della cronaca, e che dunque si colloca, non tanto fatalmente, come una sorta di spartiacque sociale fra le date di due crolli frutto della speculazione e della malaedilizia. Interrogarsi e riflettere tutti sugli Anni Cinquanta a Barletta: si può. E si deve fare».
[Nino Vinella, giornalista]