Pop Corn
Devil’s Knot: la crudeltà di un triplice omicidio e l’erroneo giudizio del conformismo
Il film documentario che riaccende i riflettori sulla storia dei “Tre di Memphis”
domenica 18 maggio 2014
Tre bambini di otto anni scomparsi dopo una passeggiata in bici, tre cadaverini ritrovati barbaramente legati con lacci da scarpe in un bosco conosciuto con il nome di "tana del diavolo"(devil's knot), fanno della tranquilla cittadina di West Memphis in Arkansas il teatro di oscure vicende di omicidi e riti satanici. Tre giovani sedicenni dediti all'occulto, alla stregoneria e alla musica heavy metal diventano il più ovvio bersaglio e quindi scontati colpevoli per i poliziotti e per una comunità profondamente retrograda e conformista. Queste le vicende narrate dal film documentario "Devil's Knot, fino a prova contraria", importante produzione non tanto per la capacità di rielaborazione cinematografica, che in sé per sé rivela poco o niente in più delle vicende così come si svolsero all'epoca dei fatti, quanto per la fondamentale volontà di riportare alla luce procedimenti giudiziari al limite del grottesco.
La pellicola segue uno svolgimento documentaristico e poco cinematografico, molto efficace per richiamare i singoli processi che si succedettero dal 1993 al 1994 ma poco idoneo a rivelare i "come" e i "perché" dell'intera storia. Dopo il ritrovamento dei tre bambini Christopher Byers, Stevie Branch e Michael Moore, seviziati e poi abbandonati sul fondo del torrente di un luogo al limite della piccola città detto "Robin Hood Park", quelli che saranno noti poi come "I tre di Memphis", Damien Echols, Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin divennero l'assurdo punto d'approdo di indagini superficiali e poco ortodosse.
Al film il merito di aver tentato, dopo l'uscita di alcuni reportage sull'accaduto, un'ulteriore rielaborazione che offre un punto di vista focalizzato sulla famiglia di Stevie Branch, una delle tre vittime, la cui madre nonostante l'immenso dolore, abilmente interpretato nel film da Reese Whiiterspoon, si dimostrò fortemente decisa a comprendere quale fosse la verità e poco incline ad accettare l'accusa dei tre ragazzi. La pellicola ruota inoltre intorno ad un altro personaggio, Ron Lax un detective interpretato da Colin Firth, curioso e giusto, intento a dimostrare la fallacia di prove, metodi e percorsi d'indagine.
Al coraggioso regista Atom Egoyan va un particolare plauso, nonostante la semplicistica ricostruzione, per aver riportato alla ribalta una vicenda fatta di prove contaminate, confessioni estorte con la violenza, dettagli inventati e genitori compromessi, una vicenda non così assurda e surreale, dato che spesso e malvolentieri l'apparato giudiziario in America così come in Italia si ritrova ad essere fallimentare ed erroneo, aguzzino di giusti e salvatore dei malvagi.
La pellicola segue uno svolgimento documentaristico e poco cinematografico, molto efficace per richiamare i singoli processi che si succedettero dal 1993 al 1994 ma poco idoneo a rivelare i "come" e i "perché" dell'intera storia. Dopo il ritrovamento dei tre bambini Christopher Byers, Stevie Branch e Michael Moore, seviziati e poi abbandonati sul fondo del torrente di un luogo al limite della piccola città detto "Robin Hood Park", quelli che saranno noti poi come "I tre di Memphis", Damien Echols, Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin divennero l'assurdo punto d'approdo di indagini superficiali e poco ortodosse.
Al film il merito di aver tentato, dopo l'uscita di alcuni reportage sull'accaduto, un'ulteriore rielaborazione che offre un punto di vista focalizzato sulla famiglia di Stevie Branch, una delle tre vittime, la cui madre nonostante l'immenso dolore, abilmente interpretato nel film da Reese Whiiterspoon, si dimostrò fortemente decisa a comprendere quale fosse la verità e poco incline ad accettare l'accusa dei tre ragazzi. La pellicola ruota inoltre intorno ad un altro personaggio, Ron Lax un detective interpretato da Colin Firth, curioso e giusto, intento a dimostrare la fallacia di prove, metodi e percorsi d'indagine.
Al coraggioso regista Atom Egoyan va un particolare plauso, nonostante la semplicistica ricostruzione, per aver riportato alla ribalta una vicenda fatta di prove contaminate, confessioni estorte con la violenza, dettagli inventati e genitori compromessi, una vicenda non così assurda e surreale, dato che spesso e malvolentieri l'apparato giudiziario in America così come in Italia si ritrova ad essere fallimentare ed erroneo, aguzzino di giusti e salvatore dei malvagi.