Tutti come il Bacchettone, protagonista di “Scimmie”
Presentato a Barletta il romanzo di Alessandro Gallo
giovedì 10 maggio 2012
15.15
Scimmie, non come gli animali che affollano gli zoo, non come i primati da cui discende l'essere umano. Scimmie come il titolo del romanzo, per metà autobiografico e per metà inventato, scritto dal giovane Alessandro Gallo, scrittore, attore e regista nato e cresciuto a Napoli, nel Rione Traiano, uno dei tanti "covi" della camorra. È proprio la camorra lo sfondo, silente ma fin troppo presente, del romanzo di Gallo, presentato venerdì sera presso la sede del Circolo Arci "C. Cafiero", nonché presidio di Libera Barletta. Proprio di libertà si parla nel testo, libertà intellettuale da un contesto sociale che spinge i giovani ad una scelta tante volte drammatica. "Scimmie" è un romanzo di formazione che racconta la crescita di 3 piccoli "scugnizzi", Pummarò, Panzarotto e Bacchettone, che negli anni '80 desiderano entrare in un clan camorristico. Sarà l'incontro con il cronista de "Il Mattino" Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985, a cambiare la vita dei 3 ragazzi. È una platea giovane ed interessata ad accogliere Alessandro Gallo, che ha aperto un dibattito sul tema della legalità, quanto mai attuale in un'Italia che di legale ha ben poco. Proprio come Pummarò, Panzarotto e Bacchettone, proprio come lo stesso autore, quotidianamente sono in tanti a dover scegliere tra legalità e "mafie" per sopravvivere al tragico flusso della vita. L'esperienza di questo breve ma intenso romanzo porta a riflettere sulla globale condizione dei giovani che in determinati contesti di disagio sociale sono quasi "costretti" a scegliere la via della mafia, della camorra, la via del sangue. Giovani proprio come Alessandro Gallo, che ha conosciuto da vicino la realtà camorristica: la cugina Nikita è la prima donna-killer nella storia della camorra, e il padre dell'autore è stato arrestato per associazione mafiosa.
Nella scrittura e nel teatro di impegno civile Alessandro Gallo ha trovato la possibilità di un riscatto sociale, uno strumento per mettere la sua storia al servizio dei più giovani. Il teatro e la scrittura sono diventati il suo "pane quotidiano", caso strano per lui che da piccolo si divertiva a distruggere le scenografie dei piccoli teatrini scolastici. «Sono state le mie insegnanti a farmi cambiare strada. Prima ero il classico bulletto, ma con il dialogo sono cresciuto», confessa sorridendo Alessandro. Sono proprio il dialogo e la comunicazione le armi con cui sconfiggere il fenomeno mafioso: «Il libro – sostiene il giovane Gallo -, è un romanzo scritto con la pancia, per contrastare la mafia che sfrutta il silenzio, l'ignoranza, l'omertà: scopo delle mafie è non far parlare di sé. La mafia è un tumore, ma per sconfiggerla serve la cultura della legalità. Ma non si tratta di quell'educazione civica che alle scuole medie veniva sistemata spesso dopo l'ora di religione, che nessuno voleva seguire. Se non partiamo da questa cultura, non riusciamo a creare una rivolta contro la mafia». Interessante anche l'intervento del professore ordinario di Sociologia del Diritto presso l'Università degli studi di Bari Luigi Pannarale: «Scimmie è un romanzo che spiazza, è difficile inquadrarlo, perché da risposte naturali, non accademiche a due domande essenziali: "come e perché si diventa mafiosi?" e "come se ne esce?". Il romanzo propone anche un finale spiazzante: ci si aspetterebbe un finale senza speranza. In realtà si propone una lettura ottimistica: dalla mafia si può uscire. L'ottimismo proposto appare però evanescente: il "si può" è un accidente, e la condizione è che ci siano eroi che aiutino i ragazzi». La risposta di Alessandro Gallo è chiara: «Secondo la mia opinione, non si parla di eroi. Giancarlo (Siani ndr) non è un eroe, Peppino Impastato non è un eroe. La loro è soltanto l'esperienza di semplici cittadini che hanno fatto il proprio dovere, ossia quello di rincorrere la pubblica verità».
Al termine dell'intenso ed interessante dibattito sulla legalità che ha coinvolto i presenti, Alessandro Gallo risponde alle domande di Barlettalife:
Alessandro Gallo, stai facendo conoscere l'esperienza di questo libro che parla di giovani. Un testo che da un ragazzo parte per arrivare alle orecchie dei giovani in questa Italia che diventa sempre più impossibile per il mondo giovanile…
«"Scimmie" nasce proprio da una serie di incontri che ho fatto nelle scuole superiori del Nord, dove i ragazzi di chiedevano di parlare di mafie. Era un progetto di cultura alla legalità che faccio a Bologna. Durante questi incontri, mi ero accorto che i ragazzi volevano conoscere la storia della "camorra", di "cosa nostra", della "n'drangheta". Ho quindi deciso di raccontare la storia della camorra nel primo capitolo di "Scimmie", perché ho anche intenzione di continuare questo progetto. Ho raccontato gli anni peggiori, gli anni '70-'80, proprio per far capire ai ragazzi che quegli anni sono simili ad oggi. Nulla è cambiato dal punto di vista dell'illegale».
Considerando che gran parte dei ragazzi non conosce queste storie di legalità e di illegalità, in un periodo in cui molto spesso i giovani devono scegliere ancor oggi tra una via legale ed una via illegale, esempi come Siani e come Impastato possono dare una spinta emotiva ulteriore ai ragazzi per reagire?
«Molto spesso dico ai ragazzi: mi descrivete qualcosa di legale che avete visto nella vostra città? È un problema, spesso i ragazzi non sanno che raccontare. I ragazzi si trovano in difficoltà a raccontare qualcosa di bello. I progetti di cultura alla legalità servono appunto a questo, a far raccontare un altro paese, un'altra città, a far raccontare le bellezze. È la bellezza che ti da la possibilità di abbattere questo inferno».
Quanto è difficile secondo te, in un paese in cui l'illegalità parte già dalla politica, parlare di legalità dando degli esempi ai giovani che siano coerenti?
«È una bella domanda: molti ragazzi mi dicono che lo Stato è la mafia, che la politica è mafia. Io spesso rispondo che non è così, che lo stato siamo noi, la politica la facciamo noi. Al di fuori di demagogie e violenze verbali, ai ragazzi preferisco dire: "ok, l'illegalità è lo Stato, ma quello stadio chi lo cambia? L'illegale o colui che sta dalla giusta parte?". Aristotele diceva sempre che noi siamo degli animali politici a priori? E quando ci diamo una mossa? È per questo che poi i ragazzi si avvicinano ai progetti che faccio nelle scuole. Raccontate, siete voi che raccontando potete cambiare qualcosa. Sono uno di quelli che crede nello Stato anche se, purtroppo, ha delle pecche. Ce lo troviamo, non "putimm fa niente", dobbiamo far capire che noi siamo più forti. Non è possibile che 2 mafiosi distruggano 10 persone pulite, è inconcepibile…»
Soltanto 10, 100, 1000 cittadini puliti potranno riuscire nell'impresa di sconfiggere le mafie…
Nella scrittura e nel teatro di impegno civile Alessandro Gallo ha trovato la possibilità di un riscatto sociale, uno strumento per mettere la sua storia al servizio dei più giovani. Il teatro e la scrittura sono diventati il suo "pane quotidiano", caso strano per lui che da piccolo si divertiva a distruggere le scenografie dei piccoli teatrini scolastici. «Sono state le mie insegnanti a farmi cambiare strada. Prima ero il classico bulletto, ma con il dialogo sono cresciuto», confessa sorridendo Alessandro. Sono proprio il dialogo e la comunicazione le armi con cui sconfiggere il fenomeno mafioso: «Il libro – sostiene il giovane Gallo -, è un romanzo scritto con la pancia, per contrastare la mafia che sfrutta il silenzio, l'ignoranza, l'omertà: scopo delle mafie è non far parlare di sé. La mafia è un tumore, ma per sconfiggerla serve la cultura della legalità. Ma non si tratta di quell'educazione civica che alle scuole medie veniva sistemata spesso dopo l'ora di religione, che nessuno voleva seguire. Se non partiamo da questa cultura, non riusciamo a creare una rivolta contro la mafia». Interessante anche l'intervento del professore ordinario di Sociologia del Diritto presso l'Università degli studi di Bari Luigi Pannarale: «Scimmie è un romanzo che spiazza, è difficile inquadrarlo, perché da risposte naturali, non accademiche a due domande essenziali: "come e perché si diventa mafiosi?" e "come se ne esce?". Il romanzo propone anche un finale spiazzante: ci si aspetterebbe un finale senza speranza. In realtà si propone una lettura ottimistica: dalla mafia si può uscire. L'ottimismo proposto appare però evanescente: il "si può" è un accidente, e la condizione è che ci siano eroi che aiutino i ragazzi». La risposta di Alessandro Gallo è chiara: «Secondo la mia opinione, non si parla di eroi. Giancarlo (Siani ndr) non è un eroe, Peppino Impastato non è un eroe. La loro è soltanto l'esperienza di semplici cittadini che hanno fatto il proprio dovere, ossia quello di rincorrere la pubblica verità».
Al termine dell'intenso ed interessante dibattito sulla legalità che ha coinvolto i presenti, Alessandro Gallo risponde alle domande di Barlettalife:
Alessandro Gallo, stai facendo conoscere l'esperienza di questo libro che parla di giovani. Un testo che da un ragazzo parte per arrivare alle orecchie dei giovani in questa Italia che diventa sempre più impossibile per il mondo giovanile…
«"Scimmie" nasce proprio da una serie di incontri che ho fatto nelle scuole superiori del Nord, dove i ragazzi di chiedevano di parlare di mafie. Era un progetto di cultura alla legalità che faccio a Bologna. Durante questi incontri, mi ero accorto che i ragazzi volevano conoscere la storia della "camorra", di "cosa nostra", della "n'drangheta". Ho quindi deciso di raccontare la storia della camorra nel primo capitolo di "Scimmie", perché ho anche intenzione di continuare questo progetto. Ho raccontato gli anni peggiori, gli anni '70-'80, proprio per far capire ai ragazzi che quegli anni sono simili ad oggi. Nulla è cambiato dal punto di vista dell'illegale».
Considerando che gran parte dei ragazzi non conosce queste storie di legalità e di illegalità, in un periodo in cui molto spesso i giovani devono scegliere ancor oggi tra una via legale ed una via illegale, esempi come Siani e come Impastato possono dare una spinta emotiva ulteriore ai ragazzi per reagire?
«Molto spesso dico ai ragazzi: mi descrivete qualcosa di legale che avete visto nella vostra città? È un problema, spesso i ragazzi non sanno che raccontare. I ragazzi si trovano in difficoltà a raccontare qualcosa di bello. I progetti di cultura alla legalità servono appunto a questo, a far raccontare un altro paese, un'altra città, a far raccontare le bellezze. È la bellezza che ti da la possibilità di abbattere questo inferno».
Quanto è difficile secondo te, in un paese in cui l'illegalità parte già dalla politica, parlare di legalità dando degli esempi ai giovani che siano coerenti?
«È una bella domanda: molti ragazzi mi dicono che lo Stato è la mafia, che la politica è mafia. Io spesso rispondo che non è così, che lo stato siamo noi, la politica la facciamo noi. Al di fuori di demagogie e violenze verbali, ai ragazzi preferisco dire: "ok, l'illegalità è lo Stato, ma quello stadio chi lo cambia? L'illegale o colui che sta dalla giusta parte?". Aristotele diceva sempre che noi siamo degli animali politici a priori? E quando ci diamo una mossa? È per questo che poi i ragazzi si avvicinano ai progetti che faccio nelle scuole. Raccontate, siete voi che raccontando potete cambiare qualcosa. Sono uno di quelli che crede nello Stato anche se, purtroppo, ha delle pecche. Ce lo troviamo, non "putimm fa niente", dobbiamo far capire che noi siamo più forti. Non è possibile che 2 mafiosi distruggano 10 persone pulite, è inconcepibile…»
Soltanto 10, 100, 1000 cittadini puliti potranno riuscire nell'impresa di sconfiggere le mafie…