Speciale Disfida di Barletta: la storia di Ginevra, seconda parte

La rocambolesca fuga dal “Valentino” e l’approdo a Barletta, anzi a sant’Orsola

venerdì 8 settembre 2023
A cura di Cosimo Campanella
Proseguiamo nel racconto della storia di Ginevra di Monreale. La triste sorte toccata alla fanciulla getta a tal punto nello sconforto Ettore Fieramosca, che questi decide di recarsi presso la Chiesa di Santa Cecilia, sita nei pressi di Trastevere, ove nel frattempo è stata condotta la salma della sua amata, con il chiaro intento di piantarsi in petto il proprio pugnale per poi spirare accanto alla salma di Ginevra.


Una volta rimasto solo in chiesa, Ettore pose un netto rifiuto all'invito del sacrestano ad uscire, al che quest'ultimo, non sapendo chi aveva di fronte, chiese al Fieramosca se fosse "un uomo del duca". Pervaso, non si sa per qual motivo, di tale certezza, alla mancata risposta di Ettore, il sacrestano avvertì il nostro del fatto che avrebbe lasciato (in piena notte) la porta della chiesa socchiusa per "andarsene per i fatti suoi".

Uscito dalla chiesa il sacrestano, Ettore comincia a chiedersi chi fosse questo duca per poi avvicinarsi alla bara di legno che custodisce il corpo di Ginevra allo scopo di dar lei un ultimo straziante saluto.

Ma una volta schiodata la bara, e posate sue le labbra su quelle di Ginevra, Ettore si accorge che quest'ultima ha ancora polso e che pare dar segni di risveglio. A quel punto Ettore, con l'aiuto di Franciotto – giunto li di nascosto per scongiurare i propositi suicidi del suo amico – porta via Ginevra dalla chiesa verso un imbarcadero in riva al Tevere. A quel punto Franciotto, che nel frattempo era corso a chiamare un suo amico in soccorso a Ginevra, nota dinanzi alla Chiesa di Santa Cecilia un manipolo di uomini armati ed un uomo con un mantello letteralmente infuriato dopo aver udito un inequivocabile "Eccellenza, la cassa è scardinata. E' vuota". Tra l'altro Franciotto, in quel gruppo di uomini poco raccomandabili, riconosce il maestro Jacopo da Montebuono, proprio colui che era andato in soccorso di Ginevra ammalata (vedi prima parte) per poi dichiararne il decesso. Quest'ultimo poi, sotto le pesanti minacce del Fieramosca in persona avrebbe confessato il piano del Valentino di dare a Ginevra un morte apparente, per poi prelevarla col favore delle tenebre, e del sacrestano di Santa Cecilia.

Mentre Cesare Borgia (il Valentino) e Grajano d'Asti (ufficialmente marito di Ginevra) partivano per la Romagna allo scopo di restituire quei territori a Papa Alessandro VI (al secolo Rodrigo Borgia, padre del Valentino), Fieramosca e i suoi uomini portavano al sicuro Ginevra via mare in direzione Messina, lontano dalla natia Capua ormai caduta in mano dei francesi, amici del Valentino.

Ettore e Ginevra resteranno in riva allo stretto per circa due anni, con quest'ultima ritiratasi presso un monastero.

Ora il lettore probabilmente si chiederà il motivo per il quale Ettore e Ginevra, ormai al sicuro dalle insidie del Valentino non abbiano coronato il loro sogno d'amore. La risposta a questa plausibile domanda è da ricercare probabilmente nel contesto storico nel quale il romanzo "Ettore Fieramosca e la Disfida di Barletta" è stato scritto. Siamo nella prima metà dell'Ottocento, in pieno Romanticismo, vale a dire in un periodo nel quale l'amor di Patria prevaleva su tutto (sentimento non certo in voga nell'Italia del Cinquecento, contesa tra francesi e spagnoli), talvolta persino sull'amore per la propria donna. Ed è così che il racconto del D'Azeglio riprende con Ettore che, vista la sua Patria messa a dura prova dalla calata dei francesi, chiede di mettere la propria spada al servizio dei fratelli Prospero e Fabrizio Colonna, e di riflesso al Gran Capitano Gonzalo da Cordova. Una decisione che viene approvata in tutto e per tutto da Ginevra, la quale, secondo l'autore, antepone il destino d'Italia a quello del suo amore per Ettore.

Dopo aver breve sosta a Taranto nel suo lungo viaggio per mare verso Manfredonia, dove andrà ad incontrare i Colonna, Fieramosca e i suoi vengono intercettati da alcune navi veneziane che facevano ritorno da Cipro. I marinai della Serenissima - messi costantemente sul chi va là dal pericolo delle incursioni turche ( il massacro di Otranto è ancora freschissimo nella memoria collettiva) - intimano a Fieramosca e al suo equipaggio di fermarsi mettendoli a tiro d'archibugio.

Dopo aver effettuato il riconoscimento di Fieramosca e i suoi, le navi veneziane riprendono la loro rotta verso nord, non prima però di aver gettato senza tanti complimenti in mare un prigioniero. Quest'ultimo viene raccolto dall'equipaggio del Fieramosca, che con grande sorpresa scopre essere una donna dalle chiare fattezze orientali: la donna si chiama Zoraide, e d'ora in avanti avrà un ruolo di certo non secondario in questo racconto, soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra Ettore e Ginevra.

Una volta giunto a Barletta, Ettore raggiungerà quelli che di li a poco saranno i suoi compagni d'arme dapprima nella resistenza spagnola all'assedio francese, e poi nella Disfida di febbraio 1503 (D'Azeglio la colloca in aprile). Tutto questo però non prima di aver condotto Ginevra e Zoraide in un luogo sicuro, al riparo da pericolose insidie: l'isola di Sant'Orsola.

Fonti bibliografiche: