Paolo Villaggio e la Barletta-Spinazzola, "Io speriamo che me la cavo"
Le riprese del film della Wertmüller nei ricordi del casellante di Canne della Battaglia
martedì 4 luglio 2017
11.10
"Io speriamo che me la cavo", titolo profetico per il destino della Barletta-Spinazzola, la linea ferroviaria divenuta per qualche settimana, nell'inverno 1991, il set cinematografico dell'omonimo film diretto da Lina Wertmüller, protagonista Paolo Villaggio in questo suo ultimo viaggio.
Quando poi uscì nella stagione 1992, la pellicola (definita subito ed ancora oggi da molti critici un capolavoro di autentica "poesia sociale" nella storia cinematografica italiana più recente, alla pari dell'omonimo libro di Marcello D'Orta) suscitò immediatamente un coro di consensi. Apprezzamenti per lei, Lina Wertmüller, la regista dagli occhiali bianchi già molto amata dal pubblico. Ma soprattutto per lui, l'attore protagonista che vestiva i panni del maestro settentrionale sbalzato nel Sud di un'Italia di provincia dal sapore molto, tutto pugliese: Paolo Villaggio.
Villaggio, reduce dagli esordi televisivi ed inventore del ragionier Fantozzi, seppe dare quel tocco - fra drammatico ed ironico - al personaggio. Interpretazione superba. Ma fu la Wertmüller a saper scegliere i luoghi, le suggestioni, il fascino di ambienti naturali dove raccontare la storia difficile di bambini difficili, alla fine vincitori di se stessi proprio grazie all'umanità di quel maestro che si allontana da Corzano in treno, salutato e commosso dallo slancio dei ragazzini…
Quella "Corzano" di fantasia - dove si parlava con accento napoletano - era in realtà proprio Spinazzola, la stazione capolinea (dal suo look inconfondibile) della linea ferroviaria che, risalendo da Barletta, stava purtroppo imboccando proprio in quegli anni un'altra galleria: il tunnel di un progressivo abbandono oggi purtroppo sempre all'ordine del giorno. Ma nel film la Barletta-Spinazzola ritrova (proprio grazie alla regia) il riscatto: esce da protagonista, valorizzata dalla Wertmuller in tagli di ripresa e sequenze degne di ben altro rilievo.
Se Corato è la città che fa da sfondo alle scene più urbanizzate di contesti all'epoca degradati ma oggi (dopo anni) risanati, è la campagna lungo l'Ofanto, le campagne attraversate dalla Barletta-Spinazzola che sanno accompagnare il maestro Paolo Villaggio nel suo ritorno a casa. E nelle riprese conclusive del film, epilogo di una storia emozionante ed attualissima, la Wertmüller inquadra i viottoli di campagna, la processione con la confraternita e la banda fra Canosa e Minervino, la cava abbandonata, la strada che imbocca la curva e si sfila all'ultima inquadratura dal viaggio parallelo ai binari…
«Vennero alla stazioncina di Canne della Battaglia – ricorda l'ex casellante di allora, l'andriese Mimì Lomuscio – tutti quelli della produzione e la invasero: bambini, attori e comparse si cambiarono d'abito nelle camere da letto della mia famiglia al piano superiore. Io offrì un caffè. E poi tutti salirono sul treno che venne da Barletta. Paolo Villaggio scambiò con me qualche battuta e proprio in extremis successe l'imprevisto: alla signora Wertmüller non piacque come aveva recitato una certa battuta di saluto quell'attore scelto, e proprio lei volle che fossi io a dirla davanti alla macchina da presa. Un ricordo incancellabile…»
Quando poi uscì nella stagione 1992, la pellicola (definita subito ed ancora oggi da molti critici un capolavoro di autentica "poesia sociale" nella storia cinematografica italiana più recente, alla pari dell'omonimo libro di Marcello D'Orta) suscitò immediatamente un coro di consensi. Apprezzamenti per lei, Lina Wertmüller, la regista dagli occhiali bianchi già molto amata dal pubblico. Ma soprattutto per lui, l'attore protagonista che vestiva i panni del maestro settentrionale sbalzato nel Sud di un'Italia di provincia dal sapore molto, tutto pugliese: Paolo Villaggio.
Villaggio, reduce dagli esordi televisivi ed inventore del ragionier Fantozzi, seppe dare quel tocco - fra drammatico ed ironico - al personaggio. Interpretazione superba. Ma fu la Wertmüller a saper scegliere i luoghi, le suggestioni, il fascino di ambienti naturali dove raccontare la storia difficile di bambini difficili, alla fine vincitori di se stessi proprio grazie all'umanità di quel maestro che si allontana da Corzano in treno, salutato e commosso dallo slancio dei ragazzini…
Quella "Corzano" di fantasia - dove si parlava con accento napoletano - era in realtà proprio Spinazzola, la stazione capolinea (dal suo look inconfondibile) della linea ferroviaria che, risalendo da Barletta, stava purtroppo imboccando proprio in quegli anni un'altra galleria: il tunnel di un progressivo abbandono oggi purtroppo sempre all'ordine del giorno. Ma nel film la Barletta-Spinazzola ritrova (proprio grazie alla regia) il riscatto: esce da protagonista, valorizzata dalla Wertmuller in tagli di ripresa e sequenze degne di ben altro rilievo.
Se Corato è la città che fa da sfondo alle scene più urbanizzate di contesti all'epoca degradati ma oggi (dopo anni) risanati, è la campagna lungo l'Ofanto, le campagne attraversate dalla Barletta-Spinazzola che sanno accompagnare il maestro Paolo Villaggio nel suo ritorno a casa. E nelle riprese conclusive del film, epilogo di una storia emozionante ed attualissima, la Wertmüller inquadra i viottoli di campagna, la processione con la confraternita e la banda fra Canosa e Minervino, la cava abbandonata, la strada che imbocca la curva e si sfila all'ultima inquadratura dal viaggio parallelo ai binari…
«Vennero alla stazioncina di Canne della Battaglia – ricorda l'ex casellante di allora, l'andriese Mimì Lomuscio – tutti quelli della produzione e la invasero: bambini, attori e comparse si cambiarono d'abito nelle camere da letto della mia famiglia al piano superiore. Io offrì un caffè. E poi tutti salirono sul treno che venne da Barletta. Paolo Villaggio scambiò con me qualche battuta e proprio in extremis successe l'imprevisto: alla signora Wertmüller non piacque come aveva recitato una certa battuta di saluto quell'attore scelto, e proprio lei volle che fossi io a dirla davanti alla macchina da presa. Un ricordo incancellabile…»