Offese e minacce a sfondo omofobo, la denuncia da Barletta: «Non ce la faccio più»
In sostegno del 20enne barlettano anche Alessandro Zan. Arcigay: «Sono fatti più diffusi di quanto si creda»
lunedì 20 settembre 2021
Le parole hanno un peso e per un 20enne possono diventare macigni insostenibili. Era una sera di giugno quando Sabino si è sentito dire: «Lo faccio fuori quel frocetto di merda». A minacciarlo è stato un suo coetaneo, probabilmente ingelosito dal rapporto di amicizia tra la sua ex ragazza e Sabino. «Ero con dei miei amici in una stradina del centro storico – ci racconta il ventenne barlettano – Lui è passato di lì perché c'era la sua ex ragazza. Io non lo conoscevo, se non per questo». Eppure, anche senza conoscerlo è scattato qualcosa: «Prima mi rivolge versi e gemiti. Poi si altera e se la prende con me, senza motivo. Dice "io lo uccido quel frocetto del tuo amico, gli tolgo la vita, gli stroppio la faccia"».
Sabino ripercorre a fatica quei momenti. «Stava per avventarsi nei miei confronti – ricorda – Fortunatamente un suo amico lo ha bloccato. La cosa finisce lì, ma non si può vivere così». Ne parla come se volesse sfogarsi, come se avesse bisogno di condividere quel macigno. «Non è possibile – dice – che a 20 anni debba aver paura di stare nella mia città, magari di girare l'angolo e trovare qualcuno che mi minaccia oppure di non tornare più a casa».
Tra i messaggi di solidarietà, anche quello di Alessandro Zan, il promotore del disegno di legge contro l'omotransfobia che attende di essere discusso dal Senato per la conversione in legge. «Alessandro Zan mi ha detto cose bellissime e di conforto – ci confida Sabino – Mi ha consigliato di circondarmi di persone che mi vogliono bene». Ed è così, perché: «I miei amici sono come la mia seconda casa, alla pari della mia famiglia. Oggi è capitato a me che ho il coraggio di parlarne, ma domani potrebbe capitare a persone più fragili. Quindi ne parlo anche per salvaguardare gli altri».
«Fatti come questi sono molto più diffusi di quanto si possa credere», ci dice Luciano Lopopolo, il presidente nazionale di Arcigay. «Molto – aggiunge – resta nel silenzio di una cultura che finge che il problema della omofobia e transfobia non esista o che sia sopravvalutato». La soluzione non è nascondersi, ma parlarne. La famiglia o gli amici non sono gli unici pronti a raccogliere le denunce di chi, come Sabino, subisce violenze simili. «Gli sportelli e i servizi gratuiti e volontari di Arcigay Bat sono raggiungibili anche attraverso i social – spiega Lopopolo – Sono a disposizione per offrire sostegno, ascolto e supporto. Allo stesso modo continua instancabile il lavoro di sensibilizzazione sociale, culturale e politica, dalle scuole alle istituzioni perché nessuna richiesta di aiuto resti più inascoltata e perché si possa fare fronte comune e massa critica contro ogni forma di discriminazione e violenza, contro i linguaggi di odio che insanguinano la quotidianità di troppe persone ancora».
Sabino ripercorre a fatica quei momenti. «Stava per avventarsi nei miei confronti – ricorda – Fortunatamente un suo amico lo ha bloccato. La cosa finisce lì, ma non si può vivere così». Ne parla come se volesse sfogarsi, come se avesse bisogno di condividere quel macigno. «Non è possibile – dice – che a 20 anni debba aver paura di stare nella mia città, magari di girare l'angolo e trovare qualcuno che mi minaccia oppure di non tornare più a casa».
La solidarietà di Alessandro Zan
«Ho deciso di parlarne perché non ce la faccio più», ci dice. Quella sera di giugno è stata solo l'ennesima, ma anche quella che pesa di più. E allora, prima di parlarne con noi, Sabino si è sfogato sul suo profilo Instagram raccontando tutto mentre stava rientrando a casa.Tra i messaggi di solidarietà, anche quello di Alessandro Zan, il promotore del disegno di legge contro l'omotransfobia che attende di essere discusso dal Senato per la conversione in legge. «Alessandro Zan mi ha detto cose bellissime e di conforto – ci confida Sabino – Mi ha consigliato di circondarmi di persone che mi vogliono bene». Ed è così, perché: «I miei amici sono come la mia seconda casa, alla pari della mia famiglia. Oggi è capitato a me che ho il coraggio di parlarne, ma domani potrebbe capitare a persone più fragili. Quindi ne parlo anche per salvaguardare gli altri».
Il presidente di Arcigay: «I nostri sportelli sono aperti»
Per Sabino non si è trattato di un caso isolato. «Una volta – racconta – un ragazzo in moto mi ha detto "ti sfregio la faccia"». Già da ragazzino è stato vittima di attacchi a sfondo omofobo e adesso sono sempre più frequenti le molestie verbali, il cosiddetto catcalling. E allora, forse, se là fuori c'è un ventenne che ha paura di girare per le strade della propria città, allo stesso modo dovrebbe esserci un'intera comunità a porsi qualche domanda. Perché se insulti e minacce sono all'ordine del giorno (e per di più arrivano da perfetti sconosciuti) vuol dire che c'è un problema culturale con il quale doversi confrontare.«Fatti come questi sono molto più diffusi di quanto si possa credere», ci dice Luciano Lopopolo, il presidente nazionale di Arcigay. «Molto – aggiunge – resta nel silenzio di una cultura che finge che il problema della omofobia e transfobia non esista o che sia sopravvalutato». La soluzione non è nascondersi, ma parlarne. La famiglia o gli amici non sono gli unici pronti a raccogliere le denunce di chi, come Sabino, subisce violenze simili. «Gli sportelli e i servizi gratuiti e volontari di Arcigay Bat sono raggiungibili anche attraverso i social – spiega Lopopolo – Sono a disposizione per offrire sostegno, ascolto e supporto. Allo stesso modo continua instancabile il lavoro di sensibilizzazione sociale, culturale e politica, dalle scuole alle istituzioni perché nessuna richiesta di aiuto resti più inascoltata e perché si possa fare fronte comune e massa critica contro ogni forma di discriminazione e violenza, contro i linguaggi di odio che insanguinano la quotidianità di troppe persone ancora».