Molestie sessuali, reintegrata giovane donna che denunciò
La Cgil festeggia la vittoria a San Ferdinando. «L'invito è quello di denunciare»
giovedì 17 gennaio 2013
«Potrà tornare al suo posto di lavoro, se lo vorrà, la giovane che denunciò di essere vittima di molestie sessuali». Così fanno sapere dalla sede della CGIL-BAT.
Il giudice del Tribunale di Foggia ha dichiarato "la nullità del licenziamento intimato" alla donna residente a San Ferdinando di Puglia ed ordinato all'azienda di «Reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro con le mansioni precedentemente affidatele o con altre di contenuto equivalente». Si conclude la storia, perlomeno giuridica, di circa un anno fa della donna del piccolo centro della nuova provincia pugliese che trovò «la forza ed il coraggio di denunciare l'inferno nel quale era costretta a vivere».
Nella sentenza il giudice scrive che gli elementi di valutazione offerti dalla donna "Rendono del tutto verosimile che il datore di lavoro le abbia intimato il licenziamento per un intento di rappresaglia a fronte delle iniziative giudiziarie intraprese dalla lavoratrice per denunciare le molestie sessuali subite". Secondo il giudice la "violazione delle regole di buona fede nell'individuazione del lavoratore da licenziare induce alla conclusione per cui il datore di lavoro, pur nell'ambito di una vera crisi economica, abbia individuato la ricorrente quale lavoratrice da licenziare esclusivamente per un intento di ritorsione". Il Tribunale ha reintegrato la lavoratrice e ha condannato l'azienda a risarcire il danno subito dalla donna con "il pagamento di un'indennità corrispondente alla retribuzione globale di fatto maturata dalla lavoratrice dalla data del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione" e a "versare i contributi assistenziali e previdenziali".
«Abbiamo vinto il ricorso – commenta Luigi Antonucci, segretario generale Cgil Bat – presentato dall'avvocato Pietro Sciusco e il licenziamento della dipendente è stato annullato. Siamo contenti di come sia andata a finire questa storia, si tratta certamente di un successo ma la nostra volontà è quella di far capire, tramite questa triste vicenda, a tante altre lavoratrici e lavoratori vittime di maltrattamenti che è importante parlare di ciò che subiscono. Sappiamo che molto spesso la paura prende il sopravvento ma l'invito che facciamo è quello di denunciare. Il messaggio è che nella battaglia per il riconoscimento dei propri diritti e della propria dignità nessuno è solo. Ricordiamo, inoltre, che, in presenza di ristrutturazioni aziendali, la scelta dell'organico da 'sacrificare' non può essere fatta secondo le scelte personali del datore di lavoro ma seguendo una logica ben precisa. Non solo, in questi casi l'art. 18, anche se tanto osteggiato, ha un profondo valore per porre rimedio ai torti che i lavoratori subiscono».
Il giudice del Tribunale di Foggia ha dichiarato "la nullità del licenziamento intimato" alla donna residente a San Ferdinando di Puglia ed ordinato all'azienda di «Reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro con le mansioni precedentemente affidatele o con altre di contenuto equivalente». Si conclude la storia, perlomeno giuridica, di circa un anno fa della donna del piccolo centro della nuova provincia pugliese che trovò «la forza ed il coraggio di denunciare l'inferno nel quale era costretta a vivere».
Nella sentenza il giudice scrive che gli elementi di valutazione offerti dalla donna "Rendono del tutto verosimile che il datore di lavoro le abbia intimato il licenziamento per un intento di rappresaglia a fronte delle iniziative giudiziarie intraprese dalla lavoratrice per denunciare le molestie sessuali subite". Secondo il giudice la "violazione delle regole di buona fede nell'individuazione del lavoratore da licenziare induce alla conclusione per cui il datore di lavoro, pur nell'ambito di una vera crisi economica, abbia individuato la ricorrente quale lavoratrice da licenziare esclusivamente per un intento di ritorsione". Il Tribunale ha reintegrato la lavoratrice e ha condannato l'azienda a risarcire il danno subito dalla donna con "il pagamento di un'indennità corrispondente alla retribuzione globale di fatto maturata dalla lavoratrice dalla data del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione" e a "versare i contributi assistenziali e previdenziali".
«Abbiamo vinto il ricorso – commenta Luigi Antonucci, segretario generale Cgil Bat – presentato dall'avvocato Pietro Sciusco e il licenziamento della dipendente è stato annullato. Siamo contenti di come sia andata a finire questa storia, si tratta certamente di un successo ma la nostra volontà è quella di far capire, tramite questa triste vicenda, a tante altre lavoratrici e lavoratori vittime di maltrattamenti che è importante parlare di ciò che subiscono. Sappiamo che molto spesso la paura prende il sopravvento ma l'invito che facciamo è quello di denunciare. Il messaggio è che nella battaglia per il riconoscimento dei propri diritti e della propria dignità nessuno è solo. Ricordiamo, inoltre, che, in presenza di ristrutturazioni aziendali, la scelta dell'organico da 'sacrificare' non può essere fatta secondo le scelte personali del datore di lavoro ma seguendo una logica ben precisa. Non solo, in questi casi l'art. 18, anche se tanto osteggiato, ha un profondo valore per porre rimedio ai torti che i lavoratori subiscono».