Ma è stato il lavoro nero a far crollare la palazzina?
Lettera aperta di Dario Damiani. «Il sindaco ha il dovere di dare risposte»
lunedì 10 ottobre 2011
«C'è un tempo per il silenzio, quando il dolore urla dentro di noi - scrive l'assessore provinciale Dario Damiani - c'è un tempo per tornare a far sentire la propria voce, testimoniando la rabbia contro sciagure che non sarebbero mai dovute accadere. Una rabbia che tuttavia non deve essere semplice sfogo momentaneo, ma energia che si fa azione concreta.
I cittadini barlettani stretti a migliaia nell'ultimo abbraccio a Maria, Tina, Antonella, Matilde e Giovanna, hanno saputo tradurre in maniera esemplare il dolore e la collera per la loro assurda morte in gesti densi di significato: gli striscioni e i cartelli esibiti a conclusione della cerimonia funebre, nel rispettoso silenzio del mistero della fine della vita, chiedevano "verità e giustizia". Ci sono circostanze in cui le parole sono pietre, e devono pesare sulla coscienza di tutti noi proprio come le macerie di quel maledetto crollo. Soprattutto devono colpire e scuotere noi pubblici amministratori, responsabili delle sorti di un'intera collettività, della quale ci onoriamo di essere rappresentanti.
Tanti, in questi giorni, hanno detto che adesso tocca alla magistratura fare luce sul tragico evento e stabilire responsabilità e sanzioni. Certamente, ma non solo. L'indagine giudiziaria non esclude altre forme di intervento da parte di chi esercita pubbliche funzioni, e non esime dal perseguire per altre vie, quelle strettamente amministrative, gli stessi obiettivi di giustizia e verità reclamati dal silenzio assordante dei cittadini barlettani. La città è balzata in questi giorni agli onori delle cronache nazionali che ne hanno fatto il simbolo di un'economia malata, quasi dimenticando che il titolare del piccolo opificio ha perso una figlia. E' fuorviante puntare il dito contro il lavoro nero, piaga dell'economia mondiale. Le case non vengono giù per colpa del lavoro nero ma di sicuro non devono mai venire giù, mai. I responsabili di quel crollo non sono il caso, il destino o la fatalità: l'amministrazione cittadina ha il dovere di tutelare l'interesse pubblico in tutte le sue forme. Si è trattato di un disastro, anche, figlio del mortifero intreccio tra interessi privati e poteri pubblici che da troppo tempo appesta l'aria della nostra città e si arroga il diritto di ignorare persino le più elementari regole del buon senso, pur di raggiungere i propri scopi. Il fine che giustifica sempre i mezzi, fino al punto di non ritorno: il sacrificio di vite umane.
Il Sindaco Maffei, nella sua veste di rappresentante di una comunità offesa da questo scempio, ha il dovere di reagire e dare risposte e, in questo momento di immensa tristezza collettiva, dare il segnale di una svolta: faccia crollare i muri che soffocano l'apparato burocratico della macchina amministrativa della Città, smuova le acque, ridistribuisca gli incarichi dirigenziali e professionali, a tutti i livelli, dall'impiegato al funzionario, da troppo tempo divenuti feudo privilegiato di pochi. In troppi casi l'esercizio del potere che si esprime attraverso la funzione pubblica, si è trasformato in conquista di una posizione di rendita utile solo per fini personali che nulla hanno a che vedere con il perseguimento dell'interesse pubblico. Mentre negli uffici si pensava a consolidare le fortificazioni dei propri orticelli, per strada i palazzi crollavano, cinquant'anni fa come oggi.
La storia si ripete, ma non insegna nulla. Si dice che in ogni famiglia, in ogni società, ci siano persone destinate ad espiare con il loro sacrificio i mali della comunità intera. Si caricano il fardello sulle spalle e vanno via, affinché chi resta sia liberato dal peso dei propri errori passati. L'immensa tragedia che ha colpito ognuno di noi potrebbe essere l'occasione propizia per una rivoluzione che abbia il sapore della riconquista di una dignità perduta, per tutti i cittadini e per noi amministratori».
I cittadini barlettani stretti a migliaia nell'ultimo abbraccio a Maria, Tina, Antonella, Matilde e Giovanna, hanno saputo tradurre in maniera esemplare il dolore e la collera per la loro assurda morte in gesti densi di significato: gli striscioni e i cartelli esibiti a conclusione della cerimonia funebre, nel rispettoso silenzio del mistero della fine della vita, chiedevano "verità e giustizia". Ci sono circostanze in cui le parole sono pietre, e devono pesare sulla coscienza di tutti noi proprio come le macerie di quel maledetto crollo. Soprattutto devono colpire e scuotere noi pubblici amministratori, responsabili delle sorti di un'intera collettività, della quale ci onoriamo di essere rappresentanti.
Tanti, in questi giorni, hanno detto che adesso tocca alla magistratura fare luce sul tragico evento e stabilire responsabilità e sanzioni. Certamente, ma non solo. L'indagine giudiziaria non esclude altre forme di intervento da parte di chi esercita pubbliche funzioni, e non esime dal perseguire per altre vie, quelle strettamente amministrative, gli stessi obiettivi di giustizia e verità reclamati dal silenzio assordante dei cittadini barlettani. La città è balzata in questi giorni agli onori delle cronache nazionali che ne hanno fatto il simbolo di un'economia malata, quasi dimenticando che il titolare del piccolo opificio ha perso una figlia. E' fuorviante puntare il dito contro il lavoro nero, piaga dell'economia mondiale. Le case non vengono giù per colpa del lavoro nero ma di sicuro non devono mai venire giù, mai. I responsabili di quel crollo non sono il caso, il destino o la fatalità: l'amministrazione cittadina ha il dovere di tutelare l'interesse pubblico in tutte le sue forme. Si è trattato di un disastro, anche, figlio del mortifero intreccio tra interessi privati e poteri pubblici che da troppo tempo appesta l'aria della nostra città e si arroga il diritto di ignorare persino le più elementari regole del buon senso, pur di raggiungere i propri scopi. Il fine che giustifica sempre i mezzi, fino al punto di non ritorno: il sacrificio di vite umane.
Il Sindaco Maffei, nella sua veste di rappresentante di una comunità offesa da questo scempio, ha il dovere di reagire e dare risposte e, in questo momento di immensa tristezza collettiva, dare il segnale di una svolta: faccia crollare i muri che soffocano l'apparato burocratico della macchina amministrativa della Città, smuova le acque, ridistribuisca gli incarichi dirigenziali e professionali, a tutti i livelli, dall'impiegato al funzionario, da troppo tempo divenuti feudo privilegiato di pochi. In troppi casi l'esercizio del potere che si esprime attraverso la funzione pubblica, si è trasformato in conquista di una posizione di rendita utile solo per fini personali che nulla hanno a che vedere con il perseguimento dell'interesse pubblico. Mentre negli uffici si pensava a consolidare le fortificazioni dei propri orticelli, per strada i palazzi crollavano, cinquant'anni fa come oggi.
La storia si ripete, ma non insegna nulla. Si dice che in ogni famiglia, in ogni società, ci siano persone destinate ad espiare con il loro sacrificio i mali della comunità intera. Si caricano il fardello sulle spalle e vanno via, affinché chi resta sia liberato dal peso dei propri errori passati. L'immensa tragedia che ha colpito ognuno di noi potrebbe essere l'occasione propizia per una rivoluzione che abbia il sapore della riconquista di una dignità perduta, per tutti i cittadini e per noi amministratori».