«Le stragi hanno colore politico»
Intervista a Giuseppe Dicuonzo, scampato alle foibe
martedì 12 febbraio 2013
20.39
Il 10 febbraio, nel "Giorno del Ricordo" della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, è stata deposta una corona d'alloro presso l'ex caserma "Stennio", che all'epoca fu adibita "campo profughi". Intervistiamo il dott. Giuseppe Dicuonzo, che fu accolto in quella caserma con la sua famiglia, in fuga dal massacro delle foibe. Giuseppe Dicuonzo, per testimoniare la memoria storica di quella tragedia, è invitato dalle scuole della Puglia, tranne a Barletta. Ha scritto il libro "Nato in rifugio" ed è delegato provinciale della Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
Dott. Dicuonzo, in quale modo vi salvaste dalle foibe?
«Negli anni '30, mio padre, Michele Dicuonzo, barlettano, lavorava come ufficiale postale di Pola, in Istria, dopo aver prestato servizio militare a Trieste. Qui conobbe mia madre, nel 1943 nacqui io, in un rifugio anti-aereo. Durante la guerra, i bombardamenti rasero al suolo anche la nostra casa, costringendoci a vivere da sfollati. Nel 1946, mio padre seppe da un suo collega di lavoro di essere finito in una "lista di proscrizione", e che il giorno dopo sarebbe stato prelevato con la sua famiglia».
Cos'erano le liste di proscrizione?
«Liste in cui erano segnati i nomi di italiani che sarebbero scomparsi nelle foibe».
Dove scappaste?
«Nottetempo, presso il molo S. Tommaso di Pola, ci imbarcammo su un peschereccio e viaggiammo per 10 giorni fino ad attraccare al porto di Ortona a Mare. Da li, salimmo su un treno merci e arrivammo a Barletta, dove fummo accolti nel "campo profughi" della ex caserma "Stennio", in via Manfredi. In seguito, ci ricongiungemmo coi genitori di mio padre, che abitavano vicino il Paraticchio».
Come ha vissuto la sua vita a Barletta?
«Ho vissuto nella "penombra", nella paura di farmi identificare. Mio padre fece credere credere a tutti che io fossi nato a Barletta, poiché si riteneva che gli istriani fossero tutti fascisti. Inoltre, tanta gente ignorava perfino dove fosse l'Istria».
E' stato fatto un uso politico delle foibe?
«Si, poiché la destra si è appropriata di questo avvenimento storico. Purtroppo, in Italia le stragi hanno colore politico e ideologico. Ma la nostra associazione è apolitica».
Taluni avvenimenti storici vengono rimossi per convenienza?
«Si, poiché l'Italia ha sempre desiderato avere un ruolo importante col resto all'estero, ha preferito rimuovere per 50 anni la strage delle foibe, che rappresenta un macchia nella storia nazionale, una vera sconfitta. Anche per questo motivo, la Costituzione fu approvata senza il consenso dei 12 costituenti di Istria e Dalmazia».
La sua testimonianza ha trovato interlocutori, a livello istituzionale, a Barletta?
«Ho trovato indifferenza, basti pensare che la lapide in via Manfredi è frutto delle mie continue insistenze».
Dott. Dicuonzo, in quale modo vi salvaste dalle foibe?
«Negli anni '30, mio padre, Michele Dicuonzo, barlettano, lavorava come ufficiale postale di Pola, in Istria, dopo aver prestato servizio militare a Trieste. Qui conobbe mia madre, nel 1943 nacqui io, in un rifugio anti-aereo. Durante la guerra, i bombardamenti rasero al suolo anche la nostra casa, costringendoci a vivere da sfollati. Nel 1946, mio padre seppe da un suo collega di lavoro di essere finito in una "lista di proscrizione", e che il giorno dopo sarebbe stato prelevato con la sua famiglia».
Cos'erano le liste di proscrizione?
«Liste in cui erano segnati i nomi di italiani che sarebbero scomparsi nelle foibe».
Dove scappaste?
«Nottetempo, presso il molo S. Tommaso di Pola, ci imbarcammo su un peschereccio e viaggiammo per 10 giorni fino ad attraccare al porto di Ortona a Mare. Da li, salimmo su un treno merci e arrivammo a Barletta, dove fummo accolti nel "campo profughi" della ex caserma "Stennio", in via Manfredi. In seguito, ci ricongiungemmo coi genitori di mio padre, che abitavano vicino il Paraticchio».
Come ha vissuto la sua vita a Barletta?
«Ho vissuto nella "penombra", nella paura di farmi identificare. Mio padre fece credere credere a tutti che io fossi nato a Barletta, poiché si riteneva che gli istriani fossero tutti fascisti. Inoltre, tanta gente ignorava perfino dove fosse l'Istria».
E' stato fatto un uso politico delle foibe?
«Si, poiché la destra si è appropriata di questo avvenimento storico. Purtroppo, in Italia le stragi hanno colore politico e ideologico. Ma la nostra associazione è apolitica».
Taluni avvenimenti storici vengono rimossi per convenienza?
«Si, poiché l'Italia ha sempre desiderato avere un ruolo importante col resto all'estero, ha preferito rimuovere per 50 anni la strage delle foibe, che rappresenta un macchia nella storia nazionale, una vera sconfitta. Anche per questo motivo, la Costituzione fu approvata senza il consenso dei 12 costituenti di Istria e Dalmazia».
La sua testimonianza ha trovato interlocutori, a livello istituzionale, a Barletta?
«Ho trovato indifferenza, basti pensare che la lapide in via Manfredi è frutto delle mie continue insistenze».
Massacri delle foibe
Con l'espressione massacri delle foibe, o spesso solo foibe, si intendono gli eccidi, perpetrati per motivi etnici e/o politici, ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, occorsi durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente seguenti. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati i corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe".
Per estensione i termini "foibe" ed il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che in realtà furono, in massima parte, perpetrati in modo diverso: la maggioranza delle vittime fu uccisa nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi.
Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta, sufficientemente chiarito gli avvenimenti, la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta ed oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica.
Negli eccidi furono coinvolti prevalentemente cittadini di etnia italiana e, in misura minore e con diverse motivazioni, anche cittadini italiani di etnia slovena e croata.
Con l'espressione massacri delle foibe, o spesso solo foibe, si intendono gli eccidi, perpetrati per motivi etnici e/o politici, ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, occorsi durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente seguenti. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati i corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, "foibe".
Per estensione i termini "foibe" ed il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che in realtà furono, in massima parte, perpetrati in modo diverso: la maggioranza delle vittime fu uccisa nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi.
Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta, sufficientemente chiarito gli avvenimenti, la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta ed oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica.
Negli eccidi furono coinvolti prevalentemente cittadini di etnia italiana e, in misura minore e con diverse motivazioni, anche cittadini italiani di etnia slovena e croata.