Il porto di Barletta, un deserto commerciale
Il prof. Nicola Palmitessa affronta i problemi della città marinara
lunedì 28 luglio 2014
Nel mese di aprile, ho presentato al sindaco e assessori, una proposta per uno sviluppo strategico e innovativo, per il rilancio identitario di Barletta come "Città Marinara"; vorrei pregare il Sindaco di estendere al Consiglio Comunale, la bozza di protocollo di intesa su tale progetto. Tuttavia, per i nostri amministratori locali, tale proposta è difficile da digerire, per il loro scarso bagaglio culturale. L'opinione pubblica, l'imprenditoria locale e i nuovi soggetti istituzionali, ne dovrebbero saperne di più. Mi sembra dovuto offrire un augurio di buon lavoro alle nuove rappresentanze istituzionali e politiche: primo fra tutti, al nuovo Comandante del porto Pier Paolo Pallotta, comandante di fregata; a Ruggiero Cristallo nuovo Presidente dell'Associazione Industriali della Provincia; a Filippo Caracciolo con il suo prestigioso incarico regionale del Pd come presidente della V Commissione Ecologia, Tutela del Territorio, Urbanistica, Lavori Pubblici, Trasporti; e al commissario Francesco Ventola della Provincia Bat. Vorrei porre qualche domanda al Sindaco Cascella, a cui solleciterei una tarda presa d'atto per un necessaria formalizzazione del protocollo d'intesa sulla identità marinara. La città si ritrova con un porto insabbiato, nonostante abbia salvato i porti di altre città, restando spogliata dalle ricche virtù e libertà potestative portuali.
Nel 2007, la Legge n. 84 del 1994, prevedeva per la costituzione di un'autority almeno 3 milioni di tonnellate del traffico merci annui, mentre la neonata autority barese calava a picco, giacché Manfredonia se ne tira fuori, per il venir meno dei traffici richiesti, in Puglia solo Barletta con il suo milione di tonnellate poteva salvarla. E così fu. Ma a quale prezzo? Intanto, il porto di Bari si ingrassava sempre più, oggi pare obeso: dal suo vecchio milioncino di tonnellate, oggi è passato a circa sei milioni, senza contare i parecchi altri milioni di passeggeri annui da Costa Crociera. A Barletta invece, l'acqua marina darebbe spazio ad una coltre di sabbia desertica che, pare sia arrivata anche a coprire le dune della gloriosa ed eroica Lega Navale di centinaia imbarcazioni da diporto, che non prendono il largo. Intanto, Trani già prendeva il largo, con la "Coppa Pennetti", ideata da un insigne barlettano, per noi barlettani, comprarsi un gommone è divenuta un'avventura logistica. Mentre il traffico globale è tutto orientano verso l'Oriente e le merci dell'Europa centrale passano per i porti italiani, quello di Barletta rimane ingessato. La città, è tagliata fuori da tutto, quasi scomunicata materialmente e spiritualmente, nonostante le leggi nazionali (la n. 24 del 2012) ammoniscano i comuni e sindaci inoperosi a liberalizzare e favorire permessi e licenze per l'occupazione e lo sviluppo produttivo. Se il Presidente Assoporti, Pasqualino Monti, ci avverte che il mercato globale non aspetta i ritardi della logistica e della riforma dei porti, come potremmo accontentarci di ripulire il solo canale d'ingresso del nostro prosciugato porticciolo? Quando sarà realizzato il porto turistico, magari spostando altrove quello mercantile? Non sarebbe utile nominare un vero esperto e dirigente del porto alle sue dirette responsabilità?
Veniamo al secondo punto. Un tempo, la storia delle città, piccole e grandi, viaggiava sulle vie del mare. Si inerpicava sugli angusti sentieri dei muli, dei cavalli e dei traini di legno, per discendere verso le coste portuali e prendere il largo. Poi, vennero le linee ferrate per i treni. La rivoluzione dei trasporti si completava con i mezzi aerei, su gomma e l'automobile, col suo prezzo di sangue sulle strade. Poi la storia tornava a viaggiare sulle vie del mare. E le città portuali morivano nel caos più assurdo. Ma parenti degli amici dei morti e feriti sopravvissuti tutti gridavano: Sicurezza, sicurezza, sicurezza. E nessuno li ascoltava.
In questo contesto, la città marinara di Barletta, la sua area portuale e le sue coste marittime, hanno il vessillo più alto per l'insicurezza stradale. Anche lo studio della cartografia storica, ci dice che reti stradali di accesso al mare e all'area portuale, si sarebbero fermate al 1700 - 1800. Dal '900 ad oggi, perché non fare almeno dovuti censimenti sugli incidenti automobilistici, avvenuti sulle due litoranee? Perché da alcuni anni, tra Regione Puglia e Area vasta di Barletta, si sarebbero inutilmente avvicendati decine di progetti territoriali urbanistici? Insomma perché non si dà vita ai piani triennali dei Comuni regionali, provinciali e della stessa città di Barletta?
Ha fatto bene il sindaco Cascella, nel riesumare con urgenza il Piano Comunale delle coste dopo due anni, e farlo approvare con urgenza. Ancor più meritevole è stata la demolizione dei silos dell'Eni nell'area portuale, la più abbandonata e fatiscente della città. Siamo a conoscenza del porto preromano insabbiato proprio adiacente ai silos, risalente al IV secolo a.C.? Caro sindaco e cari signori amministratori, vista anche la atavica preclusione delle vie di accesso all'area portuale di Barletta e quella in Bisceglie e vista la fallimentare progettualità territoriale e urbanistica degli ultimi due lustri, a causa di inderogabili ragioni di sicurezza e di urgenza, perché non adeguare piccoli collegamenti stradali tra i centri urbani e le aree portuali? Se Barletta, si rilanciasse come città marinara, perché non ripristinare la dividente necessaria per delimitare la nuova area demaniale da quella non demaniale? Ripartiamo dunque da una rilettura generale della formazione urbanistica della città, per scongiurare la tragica passività e frammentazione di senso di ogni lettura e normativa sul territorio e città fisica della città. Non lasci la cultura di una città marinara in mano a giuristi e agenti dello spettacolo. Le radici vere della cultura durevole, non sono atee e laiciste, ma cristiane e di buona volontà. Tutto il resto viene e passa. Come le sabbie arse del deserto.
[Nicola Palmitessa, La cittadella innova]
Nel 2007, la Legge n. 84 del 1994, prevedeva per la costituzione di un'autority almeno 3 milioni di tonnellate del traffico merci annui, mentre la neonata autority barese calava a picco, giacché Manfredonia se ne tira fuori, per il venir meno dei traffici richiesti, in Puglia solo Barletta con il suo milione di tonnellate poteva salvarla. E così fu. Ma a quale prezzo? Intanto, il porto di Bari si ingrassava sempre più, oggi pare obeso: dal suo vecchio milioncino di tonnellate, oggi è passato a circa sei milioni, senza contare i parecchi altri milioni di passeggeri annui da Costa Crociera. A Barletta invece, l'acqua marina darebbe spazio ad una coltre di sabbia desertica che, pare sia arrivata anche a coprire le dune della gloriosa ed eroica Lega Navale di centinaia imbarcazioni da diporto, che non prendono il largo. Intanto, Trani già prendeva il largo, con la "Coppa Pennetti", ideata da un insigne barlettano, per noi barlettani, comprarsi un gommone è divenuta un'avventura logistica. Mentre il traffico globale è tutto orientano verso l'Oriente e le merci dell'Europa centrale passano per i porti italiani, quello di Barletta rimane ingessato. La città, è tagliata fuori da tutto, quasi scomunicata materialmente e spiritualmente, nonostante le leggi nazionali (la n. 24 del 2012) ammoniscano i comuni e sindaci inoperosi a liberalizzare e favorire permessi e licenze per l'occupazione e lo sviluppo produttivo. Se il Presidente Assoporti, Pasqualino Monti, ci avverte che il mercato globale non aspetta i ritardi della logistica e della riforma dei porti, come potremmo accontentarci di ripulire il solo canale d'ingresso del nostro prosciugato porticciolo? Quando sarà realizzato il porto turistico, magari spostando altrove quello mercantile? Non sarebbe utile nominare un vero esperto e dirigente del porto alle sue dirette responsabilità?
Veniamo al secondo punto. Un tempo, la storia delle città, piccole e grandi, viaggiava sulle vie del mare. Si inerpicava sugli angusti sentieri dei muli, dei cavalli e dei traini di legno, per discendere verso le coste portuali e prendere il largo. Poi, vennero le linee ferrate per i treni. La rivoluzione dei trasporti si completava con i mezzi aerei, su gomma e l'automobile, col suo prezzo di sangue sulle strade. Poi la storia tornava a viaggiare sulle vie del mare. E le città portuali morivano nel caos più assurdo. Ma parenti degli amici dei morti e feriti sopravvissuti tutti gridavano: Sicurezza, sicurezza, sicurezza. E nessuno li ascoltava.
In questo contesto, la città marinara di Barletta, la sua area portuale e le sue coste marittime, hanno il vessillo più alto per l'insicurezza stradale. Anche lo studio della cartografia storica, ci dice che reti stradali di accesso al mare e all'area portuale, si sarebbero fermate al 1700 - 1800. Dal '900 ad oggi, perché non fare almeno dovuti censimenti sugli incidenti automobilistici, avvenuti sulle due litoranee? Perché da alcuni anni, tra Regione Puglia e Area vasta di Barletta, si sarebbero inutilmente avvicendati decine di progetti territoriali urbanistici? Insomma perché non si dà vita ai piani triennali dei Comuni regionali, provinciali e della stessa città di Barletta?
Ha fatto bene il sindaco Cascella, nel riesumare con urgenza il Piano Comunale delle coste dopo due anni, e farlo approvare con urgenza. Ancor più meritevole è stata la demolizione dei silos dell'Eni nell'area portuale, la più abbandonata e fatiscente della città. Siamo a conoscenza del porto preromano insabbiato proprio adiacente ai silos, risalente al IV secolo a.C.? Caro sindaco e cari signori amministratori, vista anche la atavica preclusione delle vie di accesso all'area portuale di Barletta e quella in Bisceglie e vista la fallimentare progettualità territoriale e urbanistica degli ultimi due lustri, a causa di inderogabili ragioni di sicurezza e di urgenza, perché non adeguare piccoli collegamenti stradali tra i centri urbani e le aree portuali? Se Barletta, si rilanciasse come città marinara, perché non ripristinare la dividente necessaria per delimitare la nuova area demaniale da quella non demaniale? Ripartiamo dunque da una rilettura generale della formazione urbanistica della città, per scongiurare la tragica passività e frammentazione di senso di ogni lettura e normativa sul territorio e città fisica della città. Non lasci la cultura di una città marinara in mano a giuristi e agenti dello spettacolo. Le radici vere della cultura durevole, non sono atee e laiciste, ma cristiane e di buona volontà. Tutto il resto viene e passa. Come le sabbie arse del deserto.
[Nicola Palmitessa, La cittadella innova]