Da Atene a Barletta, quanta strada ha da fare la politica

La lettera di Domenico Doronzo, segretario cittadino dell'API. «Non possiamo perdere la capacità di indignarci per la furbizia personale di alcuni»

martedì 1 maggio 2012

"Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi e per questo viene chiamato democrazia. Le leggi qui assicurano una giustizia uguale per tutti. Quando un cittadino si distingue allora esso sarà, a preferenza degli altri, chiamato a servire lo Stato ma non come atto di privilegio, ma come una ricompensa al merito. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così".
Pericle

Da Atene, 461 A.C., a Barletta 2012 D.C. il passo è molto, molto lungo. Questo sembrerebbe suggerire la lettera dell'avvocato Domenico Doronzo, segretario cittadino dell'Alleanza per l'Italia. «Un partito non è un tesserificio, né una agenzia di collocamento. Non serve a niente la corsa alle tessere e alle poltrone». Con queste dure e realistiche parole esordisce nella sua lettera il segretario cittadino dell'API. «La matematica e i manuali della politica lasciamoli ai ragionieri e pensiamo a stare più vicino ai bisogni della gente e a confrontarci su temi e proposte concrete per assolvere all'unico dovere che abbiamo verso chi ci ha votato: fare gli interessi generali dei cittadini e delle istituzioni. Nel campo di Bergen-Belsen, su un muro, c'è un graffito e ci sono delle parole lasciate impresse da un deportato: "io sono qui e nessuno racconterà la mia storia. La disperazione che questa frase porta con sé può sintetizzare, in altro modo, la disperazione dei cittadini barlettani».

«Oggi, in questo scenario politico cittadino- accusa Doronzo- si evidenzia la palese conflittualità degli attori, nonché la perdita di responsabilità, iniziativa, consapevolezza e partecipazione. Ma non possiamo perdere la capacità di indignarci, in questo squallore, per la furbizia personale di alcuni che, bypassando la cura dell'interesse generale, conducono la città lungo una china pericolosa.
A questi diciamo che le guerre cominciano dove si decide ma non finiscono come e dove si vorrebbe».