Cascella: «ETR 1000 non potrà tornare a Barletta, ma che sia una questione dello Stato»
«Comprensibile che questo evento alimenti il fuoco polemico»
giovedì 10 settembre 2015
0.22
Si trasmette l'intervento del sindaco di Barletta, Pasquale Cascella, sulla decisione di Trenitalia di escludere Barletta e il Salento dalle soste delle nuove tratte che saranno effettuate dall'Etr 500. In occasione del viaggio speciale dell'Etr 1000 da Bari a Barletta di venerdì 11 settembre per il "Mennea Day", il sindaco propone ai responsabili del governo nazionale, agli amministratori regionali e locali e ai rappresentanti delle forze politiche e sociali del territorio, di discutere del "divario dei binari" proprio sul treno dedicato a Pietro Mennea, ma che non potrà ancora svolgere per molto tempo alcuna corsa ordinaria del Sud, per rilanciare la "sfida" dell'alta velocità per l'intero paese.
«Il viaggio speciale di venerdì 11 settembre da Bari a Barletta dell'Etr 1000 che le Ferrovie Italiane hanno dedicato a Pietro Mennea sarà un atto simbolico d'omaggio all'atleta nella sua città d'origine, perché quel treno, per come è stato strutturato, non può correre sulla rete ferroviaria così come oggi è nel Mezzogiorno d'Italia, e purtroppo non potrà tornare a Barletta, né a Bari e men che meno a Lecce, per molti anni a venire. Ma conosciamo la forza evocativa dei simboli, ed è comprensibile che questo evento alimenti il fuoco polemico già acceso sulle scelte strategiche delle Ferrovie per il Sud. Dunque, i locomotori e i vagoni del nuovo Etr 1000 saranno utilizzati solo sulle linee da Salerno e da Ancona verso il Nord, sia pure liberando alcuni degli Etr 500 attualmente in esercizio che così potranno essere "arrangiati" come "frecce rosse" sulla tratta da Milano a Bari. Con tre nuove fermate in Emilia Romagna, ma saltando Barletta e senza spingersi sino a Lecce. Il paradosso raggiunge così il suo culmine: nemmeno la soluzione di risulta potrà soddisfare fino in fondo la vocazione per la velocità della "freccia del Sud" nella città che gli ha dato i natali. C'è chi ha definito questa situazione una "beffa", nei cui confronti è stata già organizzata una manifestazione, mentre altre proteste si annunciano. E' stata pure sollecitata una "sfuriata". Sarebbe facile, forse comodo e popolare. Ma dobbiamo pur chiederci se così si riconoscerebbe o piuttosto si mortificherebbe il valore del "messaggio" di Pietro Mennea. Quello, per intenderci, che ha indotto l'amministratore delegato delle Ferrovie, Michele Elia, a cogliere la coincidenza tra l'apertura della Fiera del Levante e il "Mennea day", nella ricorrenza del record del mondo sui 200 metri conquistato il 12 settembre 1979, per riconoscere a Barletta l'ansia di riscatto sociale del Mezzogiorno che l'atleta ha impersonato dall'inizio della sua corsa verso i record mondiali.
La dedica del treno a Mennea non poteva essere concepita e non deve diventare una operazione di marketing. Per questo si deve essere conseguenti. Del resto, lo stesso Elia da meridionale è consapevole delle cause e delle ragioni che legittimano la rivendicazione del superamento almeno del "divario dei binari", come è stata efficacemente definita la separazione strutturale delle rete ferroviaria tra il Sud e il Nord. Quale migliore occasione può allora esserci per discutere, su quel treno in quel viaggio, tutti insieme - responsabili del governo nazionale, amministratori regionali e locali e rappresentanti delle forze politiche e sociali - delle stesse problematiche economiche che l'amministratore delegato delle Ferrovie italiane ha fin qui opposto alle esigenze dei nostri territori? Le leggi sulla concorrenza sono ostiche, ma tocca dimostrare che lo spazio economico non può essere d'intralcio alla volontà politica di mettere finalmente in campo una coerente visione nazionale e una efficace programmazione della crescita uniforme del paese. Semmai, toccherà quel giorno dimostrare perché debbano esserci investimenti che consentano di superare quella concezione mercantile del servizio pubblico che induce le Ferrovie a considerare obiettiva la "domanda" di una fermata a Rimini lungo la corsa da Milano a Bari ma rischiosa l' "offerta" di una fermata a Barletta trascurando un potenziale bacino di utenza di 700 mila viaggiatori (se si comprendono i Comuni della Basilicata che qui hanno un naturale riferimento logistico) nonostante i brillanti risultati conseguiti sulle tratte in esercizio delle "frecce bianche" e di quelle "argento". Se si vuole crescere si deve ampliare il mercato, e non accontentarsi di quello che c'e', e sappiamo bene che le potenzialità sono legate non solo alle esigenze consolidate di collegamento tra le città del Nord e del Nord con il Sud, ma a quelle emergenti "a rovescio", ovvero di una tratta più rapida - visto che l'alta velocità non ci sarà ancora per molti anni - almeno tra le città del Mezzogiorno lungo la linea fino al Nord, con il naturale completamento della rete fino a Lecce.
Affrontandolo in questi termini, lo stesso discorso dei costi assume una diversa valenza, proprio sul piano della economicità e della competitività, rispetto a quello campanilistico o, peggio, assistenzialista che a ogni piè sospinto si addebita al Mezzogiorno. Certo, al costo si deve comunque far fronte, ma come un investimento del paese, altrimenti, il costo più pressante sarebbe quello della cattiva coscienza visto il combinato disposto che penalizza i bisogni di una area suscettibile di potenzialità di sviluppo rispetto alla conservazione di un mercato statico, con il risultato di mortificare l'oculato uso di risorse pubbliche preziose per la crescita uniforme del paese. Il Sud, sia chiaro, non pretende niente di più e di diverso da quel che al Mezzogiorno si chiede: ai costi standard per i servizi devono poter corrispondere i costi standard del fabbisogno di strutture e infrastrutture al Sud che servono anche al Nord, non fosse che per la conseguente spinta sui consumi che sostengono l'economia nazionale. Non è, allora, questione del Sud o del Nord, e non è nemmeno - come pure si dice per coprire la contrapposizione - questione nazionale. E' questione dello Stato. Di uno Stato capace – se si vuole, attraverso il master plan annunciato dal premier – di rivitalizzare relazioni istituzionali, collegamenti territoriali, rapporti sociali, produttivi ed economici con una visione riformatrice. Insomma, di uno Stato moderno proprio come la Costituzione ce l'ha affidato.
Del resto, l'11 settembre nella stazione di Barletta sarà anche rinnovata una targa che ricorda la devastazione del 12 settembre 1943 da parte delle truppe naziste per punire con una barbara rappresaglia contro i 12 vigili urbani e netturbini la volontà di riscatto della Patria che la città in quei giorni tenne viva consegnando alla resistenza, dal Sud al Nord, i valori democratici poi sanciti dalla Costituzione. Ecco, Pietro Mennea ha onorato anche quei valori, e il treno che gli è stato dedicato è il simbolo di come l'Italia può "correre" tutta insieme. Questa "sfida" di unità, di progresso e di modernità, si può proporre da Barletta all'intero paese».
«Il viaggio speciale di venerdì 11 settembre da Bari a Barletta dell'Etr 1000 che le Ferrovie Italiane hanno dedicato a Pietro Mennea sarà un atto simbolico d'omaggio all'atleta nella sua città d'origine, perché quel treno, per come è stato strutturato, non può correre sulla rete ferroviaria così come oggi è nel Mezzogiorno d'Italia, e purtroppo non potrà tornare a Barletta, né a Bari e men che meno a Lecce, per molti anni a venire. Ma conosciamo la forza evocativa dei simboli, ed è comprensibile che questo evento alimenti il fuoco polemico già acceso sulle scelte strategiche delle Ferrovie per il Sud. Dunque, i locomotori e i vagoni del nuovo Etr 1000 saranno utilizzati solo sulle linee da Salerno e da Ancona verso il Nord, sia pure liberando alcuni degli Etr 500 attualmente in esercizio che così potranno essere "arrangiati" come "frecce rosse" sulla tratta da Milano a Bari. Con tre nuove fermate in Emilia Romagna, ma saltando Barletta e senza spingersi sino a Lecce. Il paradosso raggiunge così il suo culmine: nemmeno la soluzione di risulta potrà soddisfare fino in fondo la vocazione per la velocità della "freccia del Sud" nella città che gli ha dato i natali. C'è chi ha definito questa situazione una "beffa", nei cui confronti è stata già organizzata una manifestazione, mentre altre proteste si annunciano. E' stata pure sollecitata una "sfuriata". Sarebbe facile, forse comodo e popolare. Ma dobbiamo pur chiederci se così si riconoscerebbe o piuttosto si mortificherebbe il valore del "messaggio" di Pietro Mennea. Quello, per intenderci, che ha indotto l'amministratore delegato delle Ferrovie, Michele Elia, a cogliere la coincidenza tra l'apertura della Fiera del Levante e il "Mennea day", nella ricorrenza del record del mondo sui 200 metri conquistato il 12 settembre 1979, per riconoscere a Barletta l'ansia di riscatto sociale del Mezzogiorno che l'atleta ha impersonato dall'inizio della sua corsa verso i record mondiali.
La dedica del treno a Mennea non poteva essere concepita e non deve diventare una operazione di marketing. Per questo si deve essere conseguenti. Del resto, lo stesso Elia da meridionale è consapevole delle cause e delle ragioni che legittimano la rivendicazione del superamento almeno del "divario dei binari", come è stata efficacemente definita la separazione strutturale delle rete ferroviaria tra il Sud e il Nord. Quale migliore occasione può allora esserci per discutere, su quel treno in quel viaggio, tutti insieme - responsabili del governo nazionale, amministratori regionali e locali e rappresentanti delle forze politiche e sociali - delle stesse problematiche economiche che l'amministratore delegato delle Ferrovie italiane ha fin qui opposto alle esigenze dei nostri territori? Le leggi sulla concorrenza sono ostiche, ma tocca dimostrare che lo spazio economico non può essere d'intralcio alla volontà politica di mettere finalmente in campo una coerente visione nazionale e una efficace programmazione della crescita uniforme del paese. Semmai, toccherà quel giorno dimostrare perché debbano esserci investimenti che consentano di superare quella concezione mercantile del servizio pubblico che induce le Ferrovie a considerare obiettiva la "domanda" di una fermata a Rimini lungo la corsa da Milano a Bari ma rischiosa l' "offerta" di una fermata a Barletta trascurando un potenziale bacino di utenza di 700 mila viaggiatori (se si comprendono i Comuni della Basilicata che qui hanno un naturale riferimento logistico) nonostante i brillanti risultati conseguiti sulle tratte in esercizio delle "frecce bianche" e di quelle "argento". Se si vuole crescere si deve ampliare il mercato, e non accontentarsi di quello che c'e', e sappiamo bene che le potenzialità sono legate non solo alle esigenze consolidate di collegamento tra le città del Nord e del Nord con il Sud, ma a quelle emergenti "a rovescio", ovvero di una tratta più rapida - visto che l'alta velocità non ci sarà ancora per molti anni - almeno tra le città del Mezzogiorno lungo la linea fino al Nord, con il naturale completamento della rete fino a Lecce.
Affrontandolo in questi termini, lo stesso discorso dei costi assume una diversa valenza, proprio sul piano della economicità e della competitività, rispetto a quello campanilistico o, peggio, assistenzialista che a ogni piè sospinto si addebita al Mezzogiorno. Certo, al costo si deve comunque far fronte, ma come un investimento del paese, altrimenti, il costo più pressante sarebbe quello della cattiva coscienza visto il combinato disposto che penalizza i bisogni di una area suscettibile di potenzialità di sviluppo rispetto alla conservazione di un mercato statico, con il risultato di mortificare l'oculato uso di risorse pubbliche preziose per la crescita uniforme del paese. Il Sud, sia chiaro, non pretende niente di più e di diverso da quel che al Mezzogiorno si chiede: ai costi standard per i servizi devono poter corrispondere i costi standard del fabbisogno di strutture e infrastrutture al Sud che servono anche al Nord, non fosse che per la conseguente spinta sui consumi che sostengono l'economia nazionale. Non è, allora, questione del Sud o del Nord, e non è nemmeno - come pure si dice per coprire la contrapposizione - questione nazionale. E' questione dello Stato. Di uno Stato capace – se si vuole, attraverso il master plan annunciato dal premier – di rivitalizzare relazioni istituzionali, collegamenti territoriali, rapporti sociali, produttivi ed economici con una visione riformatrice. Insomma, di uno Stato moderno proprio come la Costituzione ce l'ha affidato.
Del resto, l'11 settembre nella stazione di Barletta sarà anche rinnovata una targa che ricorda la devastazione del 12 settembre 1943 da parte delle truppe naziste per punire con una barbara rappresaglia contro i 12 vigili urbani e netturbini la volontà di riscatto della Patria che la città in quei giorni tenne viva consegnando alla resistenza, dal Sud al Nord, i valori democratici poi sanciti dalla Costituzione. Ecco, Pietro Mennea ha onorato anche quei valori, e il treno che gli è stato dedicato è il simbolo di come l'Italia può "correre" tutta insieme. Questa "sfida" di unità, di progresso e di modernità, si può proporre da Barletta all'intero paese».