Black-bloc e indignazione, la cronaca delle violenze e della paura
«I nuovi indignati sono proprio i cittadini comuni ». Una riflessione del consigliere comunale Carmine Doronzo
mercoledì 19 ottobre 2011
Da Roma, le immagini della manifestazione violenta dei black-bloc dello scorso sabato, durante il corteo degli indignados, attraversano l'etere raggiungendo l'intero Paese e scuotendo le coscienze di chi stava seguendo l'evento tramite i media, ma soprattutto di chi era lì presente. Per questo motivo abbiamo voluto ascoltare il parere di chi ha vissuto il momento in prima persona a Roma, il consigliere comunale di Barletta Carmine Doronzo. «Di ritorno dalla manifestazione degli "indignati" di Roma propongo alcune riflessioni. Sabato mattina siamo partiti da Barletta con una folta delegazione, carichi di speranze e di idee da condividere nella moltitudine del movimento e, giunti a Roma, abbiamo da subito incontrato una folla meravigliosa, colorata, indignata ma come sempre festosa, che raccontava in una sola istantanea anni di lotte, proposte, pratiche volte alla tutela dei beni comuni.
Il corteo si è mosso con mezz'ora di anticipo, così un enorme serpentone ha collegato ininterrottamente la stazione Termini a piazza S.Giovanni, con canti, slogan, azioni simboliche. In piazza c'erano forse mezzo milione di persone, venute spontaneamente da tutta Italia con la collaborazione dei collettivi universitari, dei centri sociali, delle tante associazioni e dei pochissimi partiti aderenti al comitato promotore.
Poi la cronaca che tutti conoscono ha preso il sopravvento sulle ragioni della protesta: auto in fiamme, vetrine in frantumi, utilizzo indiscriminato e provocatorio di idranti sui manifestanti, scontri con le forze dell'ordine. Tutto quanto avrebbe potuto desiderare il Governo, ai minimi storici per credibilità e consensi, per riguadagnare una parvenza di autorevolezza nel rivendicare ordine e condannare le violenze.
Eppure oggi c'è un gran bisogno di parlare di chi con manifesti e slogan dice di rappresentare il 99% contro l'1%. Lo dice ai governanti e ai banchieri, ma lo dice anche ai teppisti e a chi è responsabile di una gestione dell'ordine pubblico di cui un qualunque paese civile non può che provare vergogna. Il movimento del 99% è un popolo in crescita che sta mettendo il mondo dell'economia e della finanza di fronte ai propri limiti e mostruosità, e sta indicando alla politica la via d'uscita dalla crisi, all'insegna dell'ecologia, dei beni comuni e della democrazia partecipativa. E' lo stesso popolo che ha dapprima fortemente voluto e poi vinto il referendum sull'acqua pubblica e contro il nucleare.
Sono i cittadini che vogliono "gli esseri umani prima dei profitti", che rifiutano i dogmi indiscutibili del pagamento del debito, del pareggio del bilancio pubblico, delle privatizzazioni, dei tagli al welfare state, della precarizzazione del lavoro; chiedono più investimenti in formazione, ricerca e innovazione e meno soldi per gli armamenti, propongono l'adozione di un reddito di cittadinanza per gli studenti e per i precari, più giustizia sociale, un'impresa all'avanguardia che non speculi sul costo del lavoro, sulle vite umane e non evada il fisco, una cultura e un'informazione libera e accessibile a tutti.
E' un movimento che fa paura, perché è concreto e ha, in prospettiva, la forza per ribaltare i tavoli in cui in pochi "giocano a contendersi le redini della democrazia". "Democrazia reale ora!" non è solo uno slogan, è un racconto di tante pratiche locali che stanno cercando di ricondursi ad un agire globale. Il percorso verso l'unità delle lotte, però, non è così scontato e presenta, come per ogni processo storico e culturale, alcune criticità che vanno smussate nel tempo. Occorre mettere al bando ogni forma di violenza, e bisogna uscire una volta per tutte dall'ambiguità di certe "pratiche" che durante i cortei pacifici non fanno che screditarne pubblicamente i contenuti. E' vero, a Roma c'erano molti infiltrati e molti "cani sciolti", ma è vero anche che nel ventunesimo secolo dovremmo interrogarci sull'utilità di scendere in piazza con servizi d'ordine armati di bastoni e caschi che, se da un lato si propongono di difendere gli inermi, dall'altro richiamano sistematicamente l'attenzione e la violenza delle forze armate. Non va dimenticato inoltre che nell'era di facebook, twitter e dei nuovi smartphone, informare e denunciare in tempo reale è diventato un gioco da ragazzi, e che sia molto più utile dunque armarsi delle nuove tecnologie per testimoniare le violenze subite e rivendicare diritti, verità e giustizia.
I disordini di Roma sono dunque più lo specchio di un processo unitario (nelle pratiche prima che nei contenuti) ancora incompiuto, che quello, come molti si affannano a commentare in questi giorni, della rabbia crescente degli indignati, che pure è tanta ma lungimirante e non cieca. Per questo è opportuno che il movimento non lasci trascorrere altro tempo e riprenda da subito ad incontrarsi per interrogarsi e confrontarsi sulle migliori pratiche da adottare e promuovere assemblee pubbliche e manifestazioni di piazza. Bisogna respingere il partito unico del pugno di ferro che accomuna Di Pietro ad Alemanno e Maroni e non serve a nulla se non a far crescere la paura e a disperdere gli attivisti. Alla repressione delle libertà di pensiero vanno contrapposte altre manifestazioni di libertà di pensiero. Alla logica della provocazione violenta vanno opposte le provocazioni culturali e nonviolente, le uniche veramente in grado di irridere e mettere in crisi chi ci governa.
Su questi presupposti è opportuno che anche i nostri movimenti locali continuino ad incontrarsi e a discutere dei nuovi scenari in cui portare a compimento le battaglie ambientali e sociali, ponendo la politica istituzionale di fronte alla scelta inevitabile di dare accoglimento a queste istanze, consapevoli della fiducia crescente che la cittadinanza ripone nella democrazia dal basso. Alla sinistra, tutta (locale, italiana ed europea), va chiesto di prendere posizioni nette tra chi sguazza nei sotterfugi dei profitti e i cittadini comuni che soffrono la crisi. Occorre stare con i secondi, senza se e senza ma. I nuovi indignati sono proprio i cittadini comuni, quelli da cui la vecchia politica non si aspetterebbe una presa di coscienza. Accogliamoli, dunque, ascoltiamoli e facciamoli contare».
Il corteo si è mosso con mezz'ora di anticipo, così un enorme serpentone ha collegato ininterrottamente la stazione Termini a piazza S.Giovanni, con canti, slogan, azioni simboliche. In piazza c'erano forse mezzo milione di persone, venute spontaneamente da tutta Italia con la collaborazione dei collettivi universitari, dei centri sociali, delle tante associazioni e dei pochissimi partiti aderenti al comitato promotore.
Poi la cronaca che tutti conoscono ha preso il sopravvento sulle ragioni della protesta: auto in fiamme, vetrine in frantumi, utilizzo indiscriminato e provocatorio di idranti sui manifestanti, scontri con le forze dell'ordine. Tutto quanto avrebbe potuto desiderare il Governo, ai minimi storici per credibilità e consensi, per riguadagnare una parvenza di autorevolezza nel rivendicare ordine e condannare le violenze.
Eppure oggi c'è un gran bisogno di parlare di chi con manifesti e slogan dice di rappresentare il 99% contro l'1%. Lo dice ai governanti e ai banchieri, ma lo dice anche ai teppisti e a chi è responsabile di una gestione dell'ordine pubblico di cui un qualunque paese civile non può che provare vergogna. Il movimento del 99% è un popolo in crescita che sta mettendo il mondo dell'economia e della finanza di fronte ai propri limiti e mostruosità, e sta indicando alla politica la via d'uscita dalla crisi, all'insegna dell'ecologia, dei beni comuni e della democrazia partecipativa. E' lo stesso popolo che ha dapprima fortemente voluto e poi vinto il referendum sull'acqua pubblica e contro il nucleare.
Sono i cittadini che vogliono "gli esseri umani prima dei profitti", che rifiutano i dogmi indiscutibili del pagamento del debito, del pareggio del bilancio pubblico, delle privatizzazioni, dei tagli al welfare state, della precarizzazione del lavoro; chiedono più investimenti in formazione, ricerca e innovazione e meno soldi per gli armamenti, propongono l'adozione di un reddito di cittadinanza per gli studenti e per i precari, più giustizia sociale, un'impresa all'avanguardia che non speculi sul costo del lavoro, sulle vite umane e non evada il fisco, una cultura e un'informazione libera e accessibile a tutti.
E' un movimento che fa paura, perché è concreto e ha, in prospettiva, la forza per ribaltare i tavoli in cui in pochi "giocano a contendersi le redini della democrazia". "Democrazia reale ora!" non è solo uno slogan, è un racconto di tante pratiche locali che stanno cercando di ricondursi ad un agire globale. Il percorso verso l'unità delle lotte, però, non è così scontato e presenta, come per ogni processo storico e culturale, alcune criticità che vanno smussate nel tempo. Occorre mettere al bando ogni forma di violenza, e bisogna uscire una volta per tutte dall'ambiguità di certe "pratiche" che durante i cortei pacifici non fanno che screditarne pubblicamente i contenuti. E' vero, a Roma c'erano molti infiltrati e molti "cani sciolti", ma è vero anche che nel ventunesimo secolo dovremmo interrogarci sull'utilità di scendere in piazza con servizi d'ordine armati di bastoni e caschi che, se da un lato si propongono di difendere gli inermi, dall'altro richiamano sistematicamente l'attenzione e la violenza delle forze armate. Non va dimenticato inoltre che nell'era di facebook, twitter e dei nuovi smartphone, informare e denunciare in tempo reale è diventato un gioco da ragazzi, e che sia molto più utile dunque armarsi delle nuove tecnologie per testimoniare le violenze subite e rivendicare diritti, verità e giustizia.
I disordini di Roma sono dunque più lo specchio di un processo unitario (nelle pratiche prima che nei contenuti) ancora incompiuto, che quello, come molti si affannano a commentare in questi giorni, della rabbia crescente degli indignati, che pure è tanta ma lungimirante e non cieca. Per questo è opportuno che il movimento non lasci trascorrere altro tempo e riprenda da subito ad incontrarsi per interrogarsi e confrontarsi sulle migliori pratiche da adottare e promuovere assemblee pubbliche e manifestazioni di piazza. Bisogna respingere il partito unico del pugno di ferro che accomuna Di Pietro ad Alemanno e Maroni e non serve a nulla se non a far crescere la paura e a disperdere gli attivisti. Alla repressione delle libertà di pensiero vanno contrapposte altre manifestazioni di libertà di pensiero. Alla logica della provocazione violenta vanno opposte le provocazioni culturali e nonviolente, le uniche veramente in grado di irridere e mettere in crisi chi ci governa.
Su questi presupposti è opportuno che anche i nostri movimenti locali continuino ad incontrarsi e a discutere dei nuovi scenari in cui portare a compimento le battaglie ambientali e sociali, ponendo la politica istituzionale di fronte alla scelta inevitabile di dare accoglimento a queste istanze, consapevoli della fiducia crescente che la cittadinanza ripone nella democrazia dal basso. Alla sinistra, tutta (locale, italiana ed europea), va chiesto di prendere posizioni nette tra chi sguazza nei sotterfugi dei profitti e i cittadini comuni che soffrono la crisi. Occorre stare con i secondi, senza se e senza ma. I nuovi indignati sono proprio i cittadini comuni, quelli da cui la vecchia politica non si aspetterebbe una presa di coscienza. Accogliamoli, dunque, ascoltiamoli e facciamoli contare».