Volley, Stefania Sansonna, il libero che urla in faccia alla paura

Intervista esclusiva ad una delle protagoniste dello scudetto di Piacenza

venerdì 31 maggio 2013 8.18
A cura di Enrico Gorgoglione
Da Canosa a Piacenza per conquistare il sogno più grande di un atleta: essere Campione d'Italia. Stefania Sansonna è riuscita a coronare questo sogno a 31 anni, a centinaia di chilometri da casa, con la maglia della Rebecchi Piacenza. Al culmine di una stagione importante e lunghissima, per Stefania è arrivata la gioia più grande, uno scudetto che vale doppio per chi come lei ha vissuto una vita di sacrifici per la pallavolo. Nata e cresciuta sportivamente presso la Polisportiva Popolare Canosa, da lì Stefania ha letteralmente "spiccato il volo", scalando posizioni al vertice e riscuotendo diversi consensi. La tenacia e la voglia di vincere di Stefania sono emerse giorno dopo giorno, partita dopo partita, e in finale di playoff a Conegliano, è esplosa tutta la voglia di una donna del sud. Barlettalife ha intervistato in esclusiva il libero della Rebecchi Piacenza al termine della premiazione avvenuta qualche giorno fa in Provincia.

Partiamo dalle emozioni di questo campionato di A1 vinto di recente. Cosa si prova ad essere una donna del sud che vince al nord in un ruolo tra i più complicati della pallavolo?
«In realtà, non è tanto il fatto di aver vinto quella partita, tutto il percorso che ho fatto è stato come scalare la montagna. Quel momento è stato un attimo, magari è dura più per la mia famiglia, più per la gente che sta intorno. So cosa ho superato per arrivare lì. Contiene tutto, l'emozione e tutta la fatica che mi è servita per scalare la montagna».

Quando hai vinto quella partita, che è stata poi il giusto coronamento di una carriera sportiva comunque difficile e piena di difficoltà, a chi hai pensato di dedicare lo scudetto, l'esultanza più bella per un atleta?
«Subito ho pensato ai miei genitori, mi sono stati davvero vicini. Mi hanno visto soffrire, star male, gioire. In una carriera sono più i momenti no, i sacrifici sono così tanti che ho pensato subito a loro. Poi quando ho vinto gara 4 dei playoff ho avuto un pianto di liberazione per tutto».

Quali sono state le emozioni più importanti di questa lunga e massacrante stagione?
«Senza dubbio è stata una stagione difficile, ma il fatto di essere consapevole di essere approdata in una delle squadre più forti d'Italia, il fatto di dover mantenere le aspettative, ti da un peso in più da sopportare. Ed è lì che a parlare sono tutti bravi. Invece mi sono sempre mantenuta molto serena, molto tranquilla, perché sono sempre stata del parere che è il campo che parla».

Il campo ha parlato, è arrivato uno scudetto, ma quali sono i tuoi prossimi obiettivi sotto rete?
«Ho appena firmato con Piacenza per la prossima stagione, posso dirlo perché questa è la mia prima dichiarazione ufficiale (ride ndr). Ho firmato per continuare con questo allenatore, con questo staff, con tutti questo sogno, che adesso diventa Europa, che adesso diventa Champions League».

È più importante il sogno Europa oppure quel sogno di indossare la maglietta tutta azzurra della Nazionale?
«Penso che la vita dell'atleta è fatta di gradini e tappe. È chiaro che vorrei andare sempre avanti, sempre oltre. Ho vinto da poco lo scudetto e certamente non mi posso guardare indietro, ma devo guardare a quel che mi prospetta il futuro».

Qual è il tuo modello di riferimento?
«Non è tanto questione di modelli in campo, quanto di persone meravigliose fuori. Perché quel che ho potuto constatare è che gli atleti più forti in campo sono i più umili, non c'è niente da fare. Così come mi è capitato di constatare di aver lavorato e di lavorare con ragazzi e ragazze molto giovani che hanno poca disciplina, poca umiltà, poca voglia di lavorare, che vogliono tutto e subito. In questo modo non si va da nessuna parte. È polvere, finisce tutto in poco tempo».

Tu sei uno dei tanti esempi di sportivi che per vincere sono stati costretti ad "emigrare" al nord. Che scotto paghiamo ancora qui al sud per provare a costruire progetti seri e duraturi?
«Intanto c'è tutto un mondo, nel senso che c'è un modo di lavorare completamente diverso, c'è un'attenzione, un rigore, non è solo questione economico/organizzativa. Lì le cose se si fanno, si fanno bene e si portano fino in fondo nella maggior parte dei casi, avendo rispetto sia degli atleti che del pubblico che segue le squadre. In Puglia manca un progetto in grado di durare più anni. Magari c'è una squadra emergente che si affaccia al panorama nazionale, poi dopo due anni scompare, poi ritorna. Non c'è una società solida e costante negli anni. Io credo che l'ultima società seria da questo punto di vista sia stata Castellana Grotte, e non lo dico certo perché ci ho giocato. Castellana aveva una storia ventennale, ed è raro trovare qui al sud esempi del genere».

Facendo pallavolo al nord, sei spesso lontana da casa. Quanto ti manca la tua città?
«Da morire, perché penso che per ogni atleta il massimo sarebbe giocare vicino casa. Sarebbe fantastico poter giocare in una squadra di Bari. In Puglia se vinci, resti a casa tua. Sono stata sicuramente festeggiata ed osannata altrove per quello che ho fatto insieme al resto della squadra ed è un peccato, perché non riesci ad entrare nella storia».

Quali sono le emozioni che hai provato durante la premiazione in Provincia?
«È stato fighissimo, si può dire (ride ndr)? È stato molto bello, pensavo fosse una cosa un po' più tranquilla. C'è una grande amicizia con il presidente Ventola. È stato bellissimo sentire che nessuno è profeta in patria, e anche nel mio caso è così, visto che qui in Puglia ho fatto molto, molto poco, e quasi nessuno si accorge di quanto abbiamo fatto a Piacenza».

Adesso Stefania Sansonna diventerà un modello per tantissime ragazze che praticano pallavolo. Alcune sono state premiate in Provincia. Che consiglio ti senti di dare a queste piccole amanti del volley?
«Mi sento di dire due cose, una riguarda la base su cui poggio i piedi tutti i giorni. Quando si è umili, non si perde mai la voglia di vincere. Scudetto o non scudetto, campetto di Canosa o palazzetto a Piacenza. L'altra riguarda la paura di non farcela o di non essere all'altezza. Non so quante volte mi sono sentita dire che non ero all'altezza in tutti i sensi, anche fisicamente. Me ne sono sempre fregata altamente perché, a parte il discorso che ci ho creduto, è sempre il lavoro sul campo che conta. E poi anche la paura di giocare e di avere scontri molto importanti: ho imparato ad urlare in faccia alla paura».

Chiudiamo salutando i lettori di Barlettalife
«Vi ringrazio tutti, tantissimo, spero che continuerete a seguirmi, a seguirci, in Italia e in Europa, perché portiamo un pezzo di Puglia anche all'estero. Ciao!»
Fonte foto: ​http://www.unoscattoperlosport.tamtown.it/photos