Verso Frosinone-Barletta: la “sfida nella sfida” di Marco Cari
Intervista all’ex allenatore biancorosso, residente nella città ciociara
giovedì 25 ottobre 2012
10.04
Domani sera per il Barletta Calcio è tempo di tornare in campo dopo la sosta del campionato di Prima Divisione Lega Pro, girone B: i biancorossi saranno di scena nell'anticipo dell'8^ giornata al "Comunale" di Frosinone con fischio d'inizio alle 20.30 e diretta tv su Sportitalia. Una partita che evoca a tanti tifosi biancorossi le "ferite" dell'1-2 subito lo scorso anno, con un rigore quantomeno dubbio e l'espulsione del barlettano Pisani che condizionarono fortemente l'andamento della partita in favore dei padroni di casa. In panchina quel giorno- correva il 9 gennaio 2012, posticipo della 18^ giornata del campionato di Prima Divisione Lega Pro, girone B, 2011/2012- c'era Marco Cari, tecnico nato a Ciampino, residente oggi a Frosinone, dove ha anche giocato in carriera, e a Barletta da febbraio 2011 a febbraio 2012. Noi di Barlettalife.it l'abbiamo contattato nel pre-partita, per farci raccontare in una lunga intervista come sta vivendo il "suo" Frosinone-Barletta, tra ricordi e considerazioni a tinte biancorosse più che gialloblù:
Mister Cari, quella di domani sera per lei non potrà essere una sfida da vivere come un qualunque spettatore…
«No, ma per un motivo semplice: dapprima a Frosinone ci ho solo giocato in tempi che oggi sono lontani, per quanto riguarda il Barletta, invece, è un ambiente al quale sono ancora legato e affezionato, e il modo in cui è finita ancora mi brucia».
Lei l'anno scorso fu esonerato con il Barletta terzo, e a fine stagione i biancorossi si sono ritrovati sesti a fine stagione, sebbene quinti sul campo se non fosse stato per il "famoso" punto di penalità. Ci ha mai pensato?
«E' un dato al quale pochi hanno fatto caso: quello che posso dire è che in effetti è così, ma lo dico senza nessuna polemica. Credo che il campionato del Barletta sarebbe terminato parecchio tempo prima se non fosse stato per la famosa rimonta sul Siracusa. Non so perché sia finita così con il Barletta: giustamente c'è però un presidente che decide, evidentemente aveva intravisto dei problemi che però con me non c'erano».
A proposito del presidente, come è stato il suo rapporto con Roberto Tatò? E quello con Renzo Castagnini?
«Entrambi ottimi, al di là dell'aspetto lavorativo: sono stati ottimi rapporti personali, che ricordo ancora con piacere. Abbiamo condiviso tutto nel bene e nel male, con la consapevolezza che con 15-16 calciatori nuovi non era facile fare subito bene, in un campionato dove lo Spezia era fuori portata per tutti e il Barletta poteva essere una delle 4-5 squadre che potevano ambire alla seconda piazza, che poi è invece andata alla squadra che forse era la meno dotata nel lotto delle pretendenti».
Con Castagnini non ci sono mai stati dissidi? Nemmeno quando ci furono le mancate conferme di Lucioni e Rajcic?
«Noi abbiamo condiviso tutto rispettando i ruoli. C'è un direttore che fa la squadra, consultandosi con l'allenatore, e un allenatore che l'allena. Le operazioni di mercato sono state compiute tutte in sintonia: la mancata conferma di Lucioni, che volevamo tenere a Barletta come punto fermo, è dipesa solo dalla volontà del calciatore. Per quanto riguarda Rajcic, volevamo allestire un centrocampo maggiormente dinamico e muscolare che potesse supportare e sostenere quattro calciatori offensivi, come li schieravamo sempre. In soldoni, ci serviva una copertura diversa in mediana».
Domanda d'obbligo: cosa fa oggi Marco Cari?
«Faccio il lavoro invisibile dell'allenatore in attesa di sistemazione: mi aggiorno sui libri o vado in giro per seguire allenamenti in ogni categoria, per "rubare" qualche segreto. Vado in giro il sabato e la domenica a seguire partite di B o Lega Pro, per non farmi trovare impreparato in caso di chiamate».
Non ci sono trattative in corso ora?
«Di concreto nulla, ma ci sono state delle chiacchierate, ovviamente non posso dire con chi. Diciamo che qualcuno mi ha pre-allertato, il che mi spiace anche, perché vuol dire che c'è qualche collega in bilico, fa parte del nostro lavoro».
Un suo rimpianto dell'esperienza barlettana…
«Forse non rifarei la critica ai tifosi dopo il 2-1 alla Triestina: anche lì c'è però una spiegazione. Il compito di un allenatore, a volte, consiste anche nel levare timori alla sua squadra. Venivamo da partite non belle, e calciatori con grandi qualità entravano in campo senza la spregiudicatezza che ti porta a tentare la giocata. Era necessario togliere l'attenzione dalla squadra e portarla su di me: avevo così deciso, alla prima vittoria, di fare quell'appunto ai tifosi. Il caso ha voluto che accadesse a Trieste, in una ribalta nazionale (posticipo andato in onda su RaiSport 1, ndr), ma l'avrei fatto anche davanti ai microfoni delle tv locali».
Il ricordo più bello…
«E' quello di una cavalcata lunga un anno, dal derby di Foggia a quando sono andato via. Ripeterei tutto: al di là del Barletta Calcio, adoro la Puglia, perché il pugliese ha la bontà del sudista e l'educazione del nordista. Sono certo che verrò a vivere in Puglia nella mia vecchiaia: ho tanti bei ricordi, tanti amici lasciati a Barletta. Calcisticamente, ho vissuto una prima parte, quella della salvezza, con una cavalcata trionfale e se il campionato fosse durato altre 3-4 giornate avremmo addirittura avuto la spinta per aspirare a qualcosa di diverso. Nel secondo anno c'erano tutte le caratteristiche per entrare nei playoff e giocarcela fino alla fine, peccato non aver potuto completare l'opera».
Si aspettava un passo indietro così netto del presidente Tatò in termini di investimenti? Si era tanto parlato di progetto biennale nell'estate 2011…
«Era nell'aria. Il presidente è una persona seria, intelligente, colta, con la quale si può parlare sempre di tutto: è anche molto preparato calcisticamente, lo è diventato con il tempo, ma ha un difetto. Non si fida neanche di sé stesso. Quindi questo progetto che inizialmente gli era stato proposto ha mostrato delle crepe e l'ha portato a recedere nei piani, strutturando una squadra giovane. D'altro canto bisogna riconoscere che il calcio a Barletta porta allo stadio al massimo 4-5000 persone. Tatò ha fatto una scelta che era nell'aria, già da quando ero ancora io a Barletta. Credo però che quest'anno abbiano lavorato bene: hanno preso i giovani più forti per la categoria, sebbene inesperti. La squadra è giovane, bisogna avere pazienza. Venerdì sera troveranno di fronte una formazione esperta, e sull'episodio l'esperienza ti avvantaggia. Nel lungo tempo, però, i valori del Barletta emergeranno alla grande, ne sono certo».
Della squadra che partì con lei sono rimasti a Barletta i soli Pane, Mazzarani, Angeletti e Simoncelli. Sono pronti a diventare leaders nel gruppo?
«La leadership è soggettiva: può esserlo l'allenatore, il presidente, un dirigente, non necessariamente un calciatore. Sono ragazzi giovani, è presto per considerarli leaders, e probabilmente a questo Barletta manca proprio questo. Ciononostante, le qualità per salvarsi ci sono tutte».
Che tipo di partita vedremo domani sera?
«Secondo me vedremo una partita divertente: le due squadre hanno gioco e schemi simili, un 4-3-3 che bada molto a costruire e poco a distruggere. Mi attendo una partita molto equilibrata, nella quale l'esperienza e la tranquillità mentale del momento potrebbero giocare a favore del Frosinone, sebbene il Barletta abbia tutte le qualità per uscire imbattuto dal "Comunale"».
Non vorrà fare pronostici in vista di venerdì, ma guardiamo più al futuro: dove finiranno il campionato Frosinone e Barletta?
« Se non ci saranno interventi a gennaio, allora dico che il Barletta con un paio di risultati utili potrebbe acquisire tranquillità e dare il via a un campionato senza affanni. Per quanto riguarda il Frosinone, lo vedo dietro la Nocerina ma alla pari con altre come il Latina, l'Avellino, il Benevento e qualche sorpresa come il Viareggio a lottare per i playoff».
Lei sarà allo stadio domani sera?
«Assolutamente no (ride, ndr). Vedrò la partita in tv ma sentirò comunque i boati delle reti, perché abito a 30 metri dallo stadio di Frosinone».
Un saluto per i lettori di Barlettalife.it e i tifosi del Barletta Calcio!
«Un abbraccio enorme a tutti i barlettani, tifosi e non. Io torno una volta al mese in media a Barletta per una passeggiatina o un weekend: sono stato davvero bene da voi. Un saluto ai cittadini e l'augurio al tifoso di non soffrire tanto per la squadra e di festeggiare la salvezza del Barletta a fine stagione».
(Twitter: @GuerraLuca88)
Mister Cari, quella di domani sera per lei non potrà essere una sfida da vivere come un qualunque spettatore…
«No, ma per un motivo semplice: dapprima a Frosinone ci ho solo giocato in tempi che oggi sono lontani, per quanto riguarda il Barletta, invece, è un ambiente al quale sono ancora legato e affezionato, e il modo in cui è finita ancora mi brucia».
Lei l'anno scorso fu esonerato con il Barletta terzo, e a fine stagione i biancorossi si sono ritrovati sesti a fine stagione, sebbene quinti sul campo se non fosse stato per il "famoso" punto di penalità. Ci ha mai pensato?
«E' un dato al quale pochi hanno fatto caso: quello che posso dire è che in effetti è così, ma lo dico senza nessuna polemica. Credo che il campionato del Barletta sarebbe terminato parecchio tempo prima se non fosse stato per la famosa rimonta sul Siracusa. Non so perché sia finita così con il Barletta: giustamente c'è però un presidente che decide, evidentemente aveva intravisto dei problemi che però con me non c'erano».
A proposito del presidente, come è stato il suo rapporto con Roberto Tatò? E quello con Renzo Castagnini?
«Entrambi ottimi, al di là dell'aspetto lavorativo: sono stati ottimi rapporti personali, che ricordo ancora con piacere. Abbiamo condiviso tutto nel bene e nel male, con la consapevolezza che con 15-16 calciatori nuovi non era facile fare subito bene, in un campionato dove lo Spezia era fuori portata per tutti e il Barletta poteva essere una delle 4-5 squadre che potevano ambire alla seconda piazza, che poi è invece andata alla squadra che forse era la meno dotata nel lotto delle pretendenti».
Con Castagnini non ci sono mai stati dissidi? Nemmeno quando ci furono le mancate conferme di Lucioni e Rajcic?
«Noi abbiamo condiviso tutto rispettando i ruoli. C'è un direttore che fa la squadra, consultandosi con l'allenatore, e un allenatore che l'allena. Le operazioni di mercato sono state compiute tutte in sintonia: la mancata conferma di Lucioni, che volevamo tenere a Barletta come punto fermo, è dipesa solo dalla volontà del calciatore. Per quanto riguarda Rajcic, volevamo allestire un centrocampo maggiormente dinamico e muscolare che potesse supportare e sostenere quattro calciatori offensivi, come li schieravamo sempre. In soldoni, ci serviva una copertura diversa in mediana».
Domanda d'obbligo: cosa fa oggi Marco Cari?
«Faccio il lavoro invisibile dell'allenatore in attesa di sistemazione: mi aggiorno sui libri o vado in giro per seguire allenamenti in ogni categoria, per "rubare" qualche segreto. Vado in giro il sabato e la domenica a seguire partite di B o Lega Pro, per non farmi trovare impreparato in caso di chiamate».
Non ci sono trattative in corso ora?
«Di concreto nulla, ma ci sono state delle chiacchierate, ovviamente non posso dire con chi. Diciamo che qualcuno mi ha pre-allertato, il che mi spiace anche, perché vuol dire che c'è qualche collega in bilico, fa parte del nostro lavoro».
Un suo rimpianto dell'esperienza barlettana…
«Forse non rifarei la critica ai tifosi dopo il 2-1 alla Triestina: anche lì c'è però una spiegazione. Il compito di un allenatore, a volte, consiste anche nel levare timori alla sua squadra. Venivamo da partite non belle, e calciatori con grandi qualità entravano in campo senza la spregiudicatezza che ti porta a tentare la giocata. Era necessario togliere l'attenzione dalla squadra e portarla su di me: avevo così deciso, alla prima vittoria, di fare quell'appunto ai tifosi. Il caso ha voluto che accadesse a Trieste, in una ribalta nazionale (posticipo andato in onda su RaiSport 1, ndr), ma l'avrei fatto anche davanti ai microfoni delle tv locali».
Il ricordo più bello…
«E' quello di una cavalcata lunga un anno, dal derby di Foggia a quando sono andato via. Ripeterei tutto: al di là del Barletta Calcio, adoro la Puglia, perché il pugliese ha la bontà del sudista e l'educazione del nordista. Sono certo che verrò a vivere in Puglia nella mia vecchiaia: ho tanti bei ricordi, tanti amici lasciati a Barletta. Calcisticamente, ho vissuto una prima parte, quella della salvezza, con una cavalcata trionfale e se il campionato fosse durato altre 3-4 giornate avremmo addirittura avuto la spinta per aspirare a qualcosa di diverso. Nel secondo anno c'erano tutte le caratteristiche per entrare nei playoff e giocarcela fino alla fine, peccato non aver potuto completare l'opera».
Si aspettava un passo indietro così netto del presidente Tatò in termini di investimenti? Si era tanto parlato di progetto biennale nell'estate 2011…
«Era nell'aria. Il presidente è una persona seria, intelligente, colta, con la quale si può parlare sempre di tutto: è anche molto preparato calcisticamente, lo è diventato con il tempo, ma ha un difetto. Non si fida neanche di sé stesso. Quindi questo progetto che inizialmente gli era stato proposto ha mostrato delle crepe e l'ha portato a recedere nei piani, strutturando una squadra giovane. D'altro canto bisogna riconoscere che il calcio a Barletta porta allo stadio al massimo 4-5000 persone. Tatò ha fatto una scelta che era nell'aria, già da quando ero ancora io a Barletta. Credo però che quest'anno abbiano lavorato bene: hanno preso i giovani più forti per la categoria, sebbene inesperti. La squadra è giovane, bisogna avere pazienza. Venerdì sera troveranno di fronte una formazione esperta, e sull'episodio l'esperienza ti avvantaggia. Nel lungo tempo, però, i valori del Barletta emergeranno alla grande, ne sono certo».
Della squadra che partì con lei sono rimasti a Barletta i soli Pane, Mazzarani, Angeletti e Simoncelli. Sono pronti a diventare leaders nel gruppo?
«La leadership è soggettiva: può esserlo l'allenatore, il presidente, un dirigente, non necessariamente un calciatore. Sono ragazzi giovani, è presto per considerarli leaders, e probabilmente a questo Barletta manca proprio questo. Ciononostante, le qualità per salvarsi ci sono tutte».
Che tipo di partita vedremo domani sera?
«Secondo me vedremo una partita divertente: le due squadre hanno gioco e schemi simili, un 4-3-3 che bada molto a costruire e poco a distruggere. Mi attendo una partita molto equilibrata, nella quale l'esperienza e la tranquillità mentale del momento potrebbero giocare a favore del Frosinone, sebbene il Barletta abbia tutte le qualità per uscire imbattuto dal "Comunale"».
Non vorrà fare pronostici in vista di venerdì, ma guardiamo più al futuro: dove finiranno il campionato Frosinone e Barletta?
« Se non ci saranno interventi a gennaio, allora dico che il Barletta con un paio di risultati utili potrebbe acquisire tranquillità e dare il via a un campionato senza affanni. Per quanto riguarda il Frosinone, lo vedo dietro la Nocerina ma alla pari con altre come il Latina, l'Avellino, il Benevento e qualche sorpresa come il Viareggio a lottare per i playoff».
Lei sarà allo stadio domani sera?
«Assolutamente no (ride, ndr). Vedrò la partita in tv ma sentirò comunque i boati delle reti, perché abito a 30 metri dallo stadio di Frosinone».
Un saluto per i lettori di Barlettalife.it e i tifosi del Barletta Calcio!
«Un abbraccio enorme a tutti i barlettani, tifosi e non. Io torno una volta al mese in media a Barletta per una passeggiatina o un weekend: sono stato davvero bene da voi. Un saluto ai cittadini e l'augurio al tifoso di non soffrire tanto per la squadra e di festeggiare la salvezza del Barletta a fine stagione».
(Twitter: @GuerraLuca88)