Piermario Morosini, l'ennesima morte bianca nel Belpaese

Tante domande, immagini indelebili, aiutare la sorella è l'unica risposta ora

domenica 15 aprile 2012 19.52
A cura di Luca Guerra
Sabato 14 aprile, ore 15.31: è questo il tragico momento in cui il calcio, a Pescara e poi in tutta Italia, si è fermato, come il cuore di Piermario Morosini. E' un sabato pomeriggio grigio e piovoso, un giovane 25enne calciatore del Livorno, ex promessa del calcio italiano e dell'Under 21 azzurra, si accascia al suolo nel bel mezzo di una partita di serie B. Vana la corsa presso l'ospedale "Santo Spirito" di Pescara, inutili i tentativi di rianimazione susseguitisi per 90′, quasi per un amaramente ironico gioco della sorte, il tempo esatto di una partita. Il calcio italiano, a oltre 24 ore dal funesto accaduto, sta ancora cercando di metabolizzare quanto accaduto a questo ragazzo, al quale la vita aveva già tolto tanto (i genitori e un fratello disabile) e al quale il calcio, che sembrava potergli restituire professionalmente almeno parte di quello che il destino gli aveva amaramente riservato, ha strappato invece il soffio vitale.

Morosini è caduto lentamente, ha cercato di rialzarsi tre volte, ma le ginocchia non lo hanno sorretto e nell'ultimo tentativo il ragazzo si è accasciato del tutto. Guardando e riguardando ancora quelle immagini, non ci resta che piangere. Pregare non è bastato, un cuore giovane è volato via, invece di continuare a battere forte come avrebbe dovuto. Vedere quelle immagini, quei suoi tentativi di rialzarsi, ripartire, correre comunque dietro al pallone e all'avversario, nonostante il malore lo avesse già colpito, all'improvviso, fa male, malissimo. I pianti e la disperazione dei suoi compagni e dei suoi avversari, prima in campo, e poi nel reparto ospedaliero, i loro volti stravolti sfilati davanti a un centinaio di tifosi pescaresi, le loro urla, oggi hanno lasciato il posto alla disperazione, nella quale tutto il calcio italiano è stato portato perlomeno a fermarsi e riflettere.

Sorte beffarda, Piermario è caduto davanti alla sedia dove era seduto il figlio di Franco Mancini, ex portiere di A e collaboratore dell'allenatore abruzzese Zeman, ucciso da un infarto mentre era a casa sua due settimane fa, alla vigilia della partita contro il Bari. Allora il calcio non si era fermato, non si era deciso neppure di rinviare Pescara-Bari, forse perché "the show must go on". Ieri, però, andare avanti sarebbe stato inutile, irrispettoso, quasi un passo indietro verso il buon senso: troppo duro il colpo, lancinante il dolore per un giovane che a 25 anni muore sul lavoro, mentre rincorreva un pallone, facendo un mestiere agognato dal 50% dei ragazzini italiani, e spesso associato all'icona del giovinotto viziato. Piermario Morosini era quanto di più lontano da questo stereotipo, era un ragazzo al quale la vita aveva già tolto troppo, e l'unico tentativo attraverso il quale possiamo provare a spiegarci questa fine senza ragione è che qualcuno, in un disegno superiore, abbia voluto ricongiungerlo alla sua famiglia.

Questa mattina l'Italia del pallone, composta non solo da calciatori, dirigenti e arbitri, ma anche dai tifosi, da chi frequenta le ricevitorie per puntare un euro su una schedina, dagli appassionati che amano leggere di calcio la domenica, era silenziosa: nei bar pochi discutevano sull'opportunità o meno di giocare oggi, magari anche sulla base dell'esborso economico duplice per le società di Lega Pro o serie D che erano già in trasferta, ancora meno riuscivano a discutere dei miasmi del calcio scommesse o della classifica in serie A, tanti invece discutevano dell'accaduto. Le polemiche sui soccorsi, sui controlli medici hanno presto lasciato spazio alle riflessioni. Sì, perché se oggi molti calciatori da un lato hanno ripetuto che davanti a queste situazioni "abbiamo paura", tanti altri, i normali utenti dello spettacolo calcistico, hanno trovato modo di capire come le vane discussioni che intavoliamo ogni giorno su rigori, arbitraggi e affini, niente contano davanti a una vita che ti sfugge così, mentre fai quello che più ami. Forse solo così ci possiamo consolare, Piermario: sei andato via mentre facevi quello che amavi, quello che ti faceva sentire in un gruppo, "in famiglia", quella che ti era mancata troppo presto. E come in vita riuscivi con un sorriso a far capire agli altri che i veri problemi sono altri rispetto a una distorsione o una squalifica, sabato ci hai svegliato dal "sonno della mente" nel quale spesso piombiamo, per riaprirci gli occhi sulla vita. A Livorno, città di portuali, l'ingresso dello stadio '"Ardenza" oggi sembrava un affollato check-in doganale, tutti accorsi lì per omaggiarti, salutarti, stare vicino a te e ai tuoi compagni.

L'ennesima morte bianca si è così consumata in Italia. Alcuni, anche attraverso i social networks, hanno sottolineato negativamente il fatto che a questo decesso, pur umanamente spiacevole, sia stato dato maggior risalto di altri: sono gli effetti dell'"agenda setting", inutile girarvi intorno. Ripartiamo, anche se appare impossibile, dalla voglia di non assistere più alle morti bianche: è questo che vogliamo evitare, in ogni settore lavorativo. Quella di sabato è un'altra giornata triste e drammatica per lo sport italiano, il periodo è nerissimo: Bovolenta, Mancini, adesso Morosini. In Italia oggi si muore ancora di sport, però è più facile accorgersene quando ad andarsene sono i professionisti. Il fenomeno però è purtroppo maggiormente diffuso di quanto possiamo immaginare: Piermario è stato probabilmente solo l'ennesima vittima delle "sudden deaths", la morte improvvisa che può colpire chiunque. E per un'altra ignara fatalità, è volato via mentre si tiene sul territorio italiano la raccolta fondi dell'associazione "30 ore per la vita" che in questi giorni sta raccogliendo fondi per l'acquisto di defibrillatori, proprio quel macchinario che troppo spesso manca ai bordi dei campi di serie A e B, al quale ieri per 90 minuti i medici hanno cercato di aggrappare la sua vita. Domani l'autopsia chiarirà la cause del decesso di Morosini, tra qualche giorno, purtroppo e probabilmente, i tempi del cordoglio, delle dichiarazioni di affetto, dei ricordi, delle parole fini a se stesse saranno esauriti. Piermario ha lasciato una sorella disabile, la sua famiglia: la speranze è che il mondo del calcio si avvicini a questa donna e la aiuti fattivamente. E' il modo migliore, forse l'unico, per dare un senso alla inspiegabile morte di questo ragazzo. Ciao "Moro". RIP.
(Twitter @GuerraLuca88)