Axia volley, dalla convocazione in A al “Delfino”: intervista a Rossella Mastrototaro
Intervista al capitano del team di mister Porcelluzzi
martedì 4 ottobre 2011
Nel segno di Mirela Sesti («Andavo a vedere le partite e anche a fare la raccattapalle e osservavo sempre con profonda ammirazione Mirela e desideravo diventare brava come lei»), mentre sfogliando l'album dei ricordi che dalla prima convocazione in A(a soli 15 anni) e passando per gli anni della B2 a Trani capita di perdersi in qualche lecito rammarico contornato dai "se" e i "forse".
Questo il passato, mentre quello recente, il presente e il futuro si chiama Axia volley; l'arrivo nella città della disfida attorno al gennaio 2010, per poi salire in groppa al "Delfino" e attraversare mari calmi e burrascosi oceani, a volte capita di centrare una promozione, altre prenderla per i capelli mentre inesorabile sfuggiva di mano la stagione successiva. Ed ora?:«… Ora serve una nuova promozione», non ha paura nel pronunciarla questa parola Rossella Mastrototaro – capitano dell'Axia volley – in prossimità dell'avvio del campionato 2011/2012, certa della maturità raggiunta dalla squadra del presidente Michele Rizzi.
Un saluto a Rossella Mastrototaro, roccioso capitano dell'Axia volley – formazione barlettana di volley militante in Prima Divisione – Rossella il tuo arrivo qui a Barletta nel Gennaio del 2010 dall'Aquila azzurra Trani, nel segno del "Delfino" hai ottenuto una promozione ed una miracolosa salvezza, quali le prospettive in vista della stagione 2011/2012?
«Dopo aver provato l'emozione di una promozione in prima divisione e di una salvezza nella stessa categoria, ora serve una nuova promozione. La squadra sta crescendo anno dopo anno, quindi per quest'anno non si può perder tempo. L'anno scorso abbiamo conosciuto il livello della prima divisione, ora abbiamo tutti gli strumenti (conoscenza, esperienza e giocatrici più mature) per poter vincere nuovamente il campionato ed approdare in serie D. Sarebbe davvero una bella soddisfazione!».
Rossella, hai trascorso i due anni sotto il segno del "Delfino" tra una prestigiosa promozione ed una miracolosa salvezza; nel mezzo quanti e quali i momenti più difficili vissuti e superati?
«I momenti più difficili per quello che mi riguarda personalmente, sono stati i problemi fisici. Non avendo una buona preparazione alle spalle perché per problemi personali non vi potevo partecipare, durante entrambi i campionati ho avuto problemi sia alle ginocchia sia al piede destro. Comunque grazie ai buoni suggerimenti del mister sono riuscita lo stesso a giocare e a superarli».
Mettendo sotto la lente d'ingrandimento la stagione 2010/2011, caratterizzata da una partenza non di certo esaltante, qual è stato il momento chiave che vi ha portato sulla strada verso la salvezza?
«Disputare un campionato di una categoria superiore rispetto alla stagione precedente non è mai facile. Il campionato è iniziato in sordina perché la maggior parte delle giocatrici non aveva mai disputato un campionato di prima divisione. Quindi è stato quasi normale iniziare in quel modo.Dico "normale" ma "non giustificabile", ci tengo a sottolineare. Nel corso del campionato, superata la metà delle giornate, ci siamo rese conto però che stavamo gettando via una occasione d'oro, cioè rimanere in un campionato che avevamo conquistato l'anno prima con tanti sacrifici. Quindi ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo impegnate ancora di più. Non posso non menzionare il valido aiuto che ci è stato dato dalla compagna Simona Fiorella che si è unita a noi verso la fine del campionato e il cui contributo è risultato ampiamente decisivo».
Rossella, cosa vuol dire indossare la fascia di Capitano? Quanto il prestigio ma soprattutto quante le responsabilità?
«Premetto che sono orgogliosa di essere il capitano dell'Axia. Indossare la maglia del capitano comporta una forte responsabilità perché essere il capitano vuol dire essere il punto di riferimento per la squadra sia durante le partite sia durante gli allenamenti. Vuol dire mediare nelle relazioni tra i componenti della squadra e il mister se ci sono delle incomprensioni, dei problemi. Vuol dire prendere il mano la situazione quando sembra che questa stia sfuggendo di mano durante una partita. Insomma un buon capitano deve essere un punto di riferimento per tutte le sue compagne ma anche per il suo allenatore in ogni occasione, pallavolisticamente parlando».
I ragazzi di oggi sono assediati se cosi si può dire dal calcio e dal suo mondo, in che modo cercheresti di far presa su un ragazzo/a spiegandone la magia di questo sport?
«Sinceramente non saprei come convincere un ragazzo a scegliere lo sport della pallavolo rispetto al calcio. Magari gli consiglierei di venire a vedere qualche nostra partita, o meglio andare a vedere delle partite di categorie superiori che potrebbero risultare più interessanti. Gli direi di provare a giocare, ad allenarsi perché nella vita in generale se non si prova qualcosa non si può dire che non piace o che non si è portati. Io per esempio quando ho deciso di iniziare a giocare a pallavolo, l'ho fatto perché ho scelto di farlo. Nessuno me lo ha imposto. Ma ho scelto perché mi è stata data la possibilità di provare a praticare più sport e alla fine quello che più mi piaceva, che più mi faceva sentire me stessa, ho scelto di proseguire in maniera assoluta. Quindi sono dell'opinione che bisognerebbe dare ai ragazzi la possibilità di provare a praticare diversi sport e poi far scegliere loro quello che più piace».
Una rete ed una palla che da una parte all'altra regala gioie e dolori: quali sono durante una gara i momenti che creano maggior gioie e quali quelli che creano mortificazione e delusione?
«I momenti in cui si provano le gioie sono i momenti di una vittoria, quando si fa un punto, ma anche quando una giovane giocatrice entra in campo per la prima volta e riesce a giocare in modo disinvolto e a fare cioè che è dovuto fare. I momenti di delusione sono quelli in cui si perde, soprattutto quando si perde perché non si è dato il massimo. Quelli di mortificazione sono quelli in cui perdi perché non ti sei impegnato abbastanza, "non hai fatto il tuo dovere"».
Rossella concedimi la più classica delle domande, qual è l'atleta di riferimento a cui ti ispiri?
« Il mio idolo, la giocatrice a cui io ho fatto sempre riferimento da quando ho iniziato a giocare agonisticamente, è stata la centrale, ormai diventata libero, Mirela Sesti. Io ho sempre giocato come centrale, solo negli ultimi anni sto ricoprendo il ruolo di laterale. Per questo ho sempre guardato con ammirazione questa giocatrice. Mirela ha giocato per diversi anni a Trani quando c'era la serie A. Io ero piccola, andavo a vedere le partite e anche a fare la raccattapalle e osservavo sempre con profonda ammirazione Mirela e desideravo diventare brava come lei. Poi ho iniziato a ricoprire il ruolo di centrale e ancora di più la osservavo e la consideravo un punto di riferimento. Era molto brava anche in ricezione e in difesa, infatti all'epoca non essendoci il ruolo del libero lei non usciva mai quando era in seconda linea e giocava sempre benissimo anche nei fondamentali della seconda linea. L'ammiravo per questo. Era dunque una giocatrice completa, per questo mi ispiravo e lei e, devo dire, lo faccio ancora oggi».
Alle tue spalle un curriculum importante dove non mancano militanze sui parquet della serie B, cosa ti ha spinto nel gennaio 2010 ad intraprendere la strada verso Barletta ed indossare quindi la maglia dell'Axia volley allora militante in seconda categoria?
«Quando ho iniziato e giocare nell'Axia erano circa 4 anni che ero ferma. Avevo deciso quattro anni prima di non giocare più a pallavolo per diversi motivi. Poi tramite amicizie in comune, il mister mi ha contattata chiedendomi se potevo ricominciare a giocare per dare una mano alla squadra e ho pensato che poteva essere la giusta occasione per rimettermi in gioco. Quindi ho ricominciato dalla seconda divisione che era il campionato che l'Axia avrebbe disputato quell'anno».
Tracciando un bilancio, qual è stato il momento più esaltante della tua carriera e quale quello in cui hai pensato di mollare?
«Ce ne sono diversi di momenti esaltati: fra quelli che più ricordo c'è la convocazione in serie A quando avevo 15 anni (un'emozione unica). Anche se facevo solo la panchina, ero felice lo stesso, in quanto stare in panchina voleva dire allenarsi con la serie A e già quello mi bastava per migliorare. Gli altri momenti esaltanti che ricordo sono stati le varie promozioni a campionati superiori, ma quello che ricordo maggiormente è stata la prima volta che con il Trani fui promossa in serie B2. Invece ho pensato di mollare, come tra l'altro poi ho fatto, quando ho capito che nella società in cui militavo e in cui avevo giocato per anni, dove ero nata pallavolisticamente parlando e a cui avevo dato l'anima, preferì dare maggiori soddisfazioni (sia di gioco sia economiche) a delle giocatrici mercenarie che venivano da fuori e che giocavano solo per guadagnare e non per la maglia, per la società o per passione. E questo è stato uno dei motivi per cui ho deciso di mollare, dando maggiore importanza agli studi e al lavoro».
Rossella, chiudendo per un attimo gli occhi immaginando di riaprirli nel giorno dell'ultima gara della tua carriera, quale sarà il sogno che più di tutti vorresti vedere realizzato e quale potrebbe essere il piu grande rammarico?
« Immaginando la mia ultima partita, vorrei che fosse la partita decisiva di una promozione in un campionato qualsiasi, arrivando a quel risultato dando il massimo che posso dare in quel momento. Il mio più grande rammarico potrebbe essere quello di non aver continuato a giocare negli anni della serie B a Trani pensando che magari avrei potuto arrivare a giocare anche in B1 chissà..ma col senno di poi…chi può dire di aver fatto la scelta giusta o sbagliata. Negli anni in cui ho lasciato la pallavolo mi sono arricchita culturalmente facendo altre esperienze che non avrei potuto vivere se fossi stata impegnata nella pallavolo..ho studiato, ho conseguito altri titoli universitari, ho viaggiato, fatto volontariato, ho intrapreso un lavoro che adoro..forse se avessi continuato a giocare anche a livelli più alti oggi farei di lavoro la giocatrice di pallavolo, ma con scarse prospettive professionali per il futuro. Quindi non so se è giusto parlare in questi termini di rammarico. L'importante nella vita è fare sempre ciò che si sente e ciò che piace.. e quindi io gioco nell'Axia volley Barletta!».
Intervista di Nicola Ricchitelli
Questo il passato, mentre quello recente, il presente e il futuro si chiama Axia volley; l'arrivo nella città della disfida attorno al gennaio 2010, per poi salire in groppa al "Delfino" e attraversare mari calmi e burrascosi oceani, a volte capita di centrare una promozione, altre prenderla per i capelli mentre inesorabile sfuggiva di mano la stagione successiva. Ed ora?:«… Ora serve una nuova promozione», non ha paura nel pronunciarla questa parola Rossella Mastrototaro – capitano dell'Axia volley – in prossimità dell'avvio del campionato 2011/2012, certa della maturità raggiunta dalla squadra del presidente Michele Rizzi.
Un saluto a Rossella Mastrototaro, roccioso capitano dell'Axia volley – formazione barlettana di volley militante in Prima Divisione – Rossella il tuo arrivo qui a Barletta nel Gennaio del 2010 dall'Aquila azzurra Trani, nel segno del "Delfino" hai ottenuto una promozione ed una miracolosa salvezza, quali le prospettive in vista della stagione 2011/2012?
«Dopo aver provato l'emozione di una promozione in prima divisione e di una salvezza nella stessa categoria, ora serve una nuova promozione. La squadra sta crescendo anno dopo anno, quindi per quest'anno non si può perder tempo. L'anno scorso abbiamo conosciuto il livello della prima divisione, ora abbiamo tutti gli strumenti (conoscenza, esperienza e giocatrici più mature) per poter vincere nuovamente il campionato ed approdare in serie D. Sarebbe davvero una bella soddisfazione!».
Rossella, hai trascorso i due anni sotto il segno del "Delfino" tra una prestigiosa promozione ed una miracolosa salvezza; nel mezzo quanti e quali i momenti più difficili vissuti e superati?
«I momenti più difficili per quello che mi riguarda personalmente, sono stati i problemi fisici. Non avendo una buona preparazione alle spalle perché per problemi personali non vi potevo partecipare, durante entrambi i campionati ho avuto problemi sia alle ginocchia sia al piede destro. Comunque grazie ai buoni suggerimenti del mister sono riuscita lo stesso a giocare e a superarli».
Mettendo sotto la lente d'ingrandimento la stagione 2010/2011, caratterizzata da una partenza non di certo esaltante, qual è stato il momento chiave che vi ha portato sulla strada verso la salvezza?
«Disputare un campionato di una categoria superiore rispetto alla stagione precedente non è mai facile. Il campionato è iniziato in sordina perché la maggior parte delle giocatrici non aveva mai disputato un campionato di prima divisione. Quindi è stato quasi normale iniziare in quel modo.Dico "normale" ma "non giustificabile", ci tengo a sottolineare. Nel corso del campionato, superata la metà delle giornate, ci siamo rese conto però che stavamo gettando via una occasione d'oro, cioè rimanere in un campionato che avevamo conquistato l'anno prima con tanti sacrifici. Quindi ci siamo rimboccate le maniche e ci siamo impegnate ancora di più. Non posso non menzionare il valido aiuto che ci è stato dato dalla compagna Simona Fiorella che si è unita a noi verso la fine del campionato e il cui contributo è risultato ampiamente decisivo».
Rossella, cosa vuol dire indossare la fascia di Capitano? Quanto il prestigio ma soprattutto quante le responsabilità?
«Premetto che sono orgogliosa di essere il capitano dell'Axia. Indossare la maglia del capitano comporta una forte responsabilità perché essere il capitano vuol dire essere il punto di riferimento per la squadra sia durante le partite sia durante gli allenamenti. Vuol dire mediare nelle relazioni tra i componenti della squadra e il mister se ci sono delle incomprensioni, dei problemi. Vuol dire prendere il mano la situazione quando sembra che questa stia sfuggendo di mano durante una partita. Insomma un buon capitano deve essere un punto di riferimento per tutte le sue compagne ma anche per il suo allenatore in ogni occasione, pallavolisticamente parlando».
I ragazzi di oggi sono assediati se cosi si può dire dal calcio e dal suo mondo, in che modo cercheresti di far presa su un ragazzo/a spiegandone la magia di questo sport?
«Sinceramente non saprei come convincere un ragazzo a scegliere lo sport della pallavolo rispetto al calcio. Magari gli consiglierei di venire a vedere qualche nostra partita, o meglio andare a vedere delle partite di categorie superiori che potrebbero risultare più interessanti. Gli direi di provare a giocare, ad allenarsi perché nella vita in generale se non si prova qualcosa non si può dire che non piace o che non si è portati. Io per esempio quando ho deciso di iniziare a giocare a pallavolo, l'ho fatto perché ho scelto di farlo. Nessuno me lo ha imposto. Ma ho scelto perché mi è stata data la possibilità di provare a praticare più sport e alla fine quello che più mi piaceva, che più mi faceva sentire me stessa, ho scelto di proseguire in maniera assoluta. Quindi sono dell'opinione che bisognerebbe dare ai ragazzi la possibilità di provare a praticare diversi sport e poi far scegliere loro quello che più piace».
Una rete ed una palla che da una parte all'altra regala gioie e dolori: quali sono durante una gara i momenti che creano maggior gioie e quali quelli che creano mortificazione e delusione?
«I momenti in cui si provano le gioie sono i momenti di una vittoria, quando si fa un punto, ma anche quando una giovane giocatrice entra in campo per la prima volta e riesce a giocare in modo disinvolto e a fare cioè che è dovuto fare. I momenti di delusione sono quelli in cui si perde, soprattutto quando si perde perché non si è dato il massimo. Quelli di mortificazione sono quelli in cui perdi perché non ti sei impegnato abbastanza, "non hai fatto il tuo dovere"».
Rossella concedimi la più classica delle domande, qual è l'atleta di riferimento a cui ti ispiri?
« Il mio idolo, la giocatrice a cui io ho fatto sempre riferimento da quando ho iniziato a giocare agonisticamente, è stata la centrale, ormai diventata libero, Mirela Sesti. Io ho sempre giocato come centrale, solo negli ultimi anni sto ricoprendo il ruolo di laterale. Per questo ho sempre guardato con ammirazione questa giocatrice. Mirela ha giocato per diversi anni a Trani quando c'era la serie A. Io ero piccola, andavo a vedere le partite e anche a fare la raccattapalle e osservavo sempre con profonda ammirazione Mirela e desideravo diventare brava come lei. Poi ho iniziato a ricoprire il ruolo di centrale e ancora di più la osservavo e la consideravo un punto di riferimento. Era molto brava anche in ricezione e in difesa, infatti all'epoca non essendoci il ruolo del libero lei non usciva mai quando era in seconda linea e giocava sempre benissimo anche nei fondamentali della seconda linea. L'ammiravo per questo. Era dunque una giocatrice completa, per questo mi ispiravo e lei e, devo dire, lo faccio ancora oggi».
Alle tue spalle un curriculum importante dove non mancano militanze sui parquet della serie B, cosa ti ha spinto nel gennaio 2010 ad intraprendere la strada verso Barletta ed indossare quindi la maglia dell'Axia volley allora militante in seconda categoria?
«Quando ho iniziato e giocare nell'Axia erano circa 4 anni che ero ferma. Avevo deciso quattro anni prima di non giocare più a pallavolo per diversi motivi. Poi tramite amicizie in comune, il mister mi ha contattata chiedendomi se potevo ricominciare a giocare per dare una mano alla squadra e ho pensato che poteva essere la giusta occasione per rimettermi in gioco. Quindi ho ricominciato dalla seconda divisione che era il campionato che l'Axia avrebbe disputato quell'anno».
Tracciando un bilancio, qual è stato il momento più esaltante della tua carriera e quale quello in cui hai pensato di mollare?
«Ce ne sono diversi di momenti esaltati: fra quelli che più ricordo c'è la convocazione in serie A quando avevo 15 anni (un'emozione unica). Anche se facevo solo la panchina, ero felice lo stesso, in quanto stare in panchina voleva dire allenarsi con la serie A e già quello mi bastava per migliorare. Gli altri momenti esaltanti che ricordo sono stati le varie promozioni a campionati superiori, ma quello che ricordo maggiormente è stata la prima volta che con il Trani fui promossa in serie B2. Invece ho pensato di mollare, come tra l'altro poi ho fatto, quando ho capito che nella società in cui militavo e in cui avevo giocato per anni, dove ero nata pallavolisticamente parlando e a cui avevo dato l'anima, preferì dare maggiori soddisfazioni (sia di gioco sia economiche) a delle giocatrici mercenarie che venivano da fuori e che giocavano solo per guadagnare e non per la maglia, per la società o per passione. E questo è stato uno dei motivi per cui ho deciso di mollare, dando maggiore importanza agli studi e al lavoro».
Rossella, chiudendo per un attimo gli occhi immaginando di riaprirli nel giorno dell'ultima gara della tua carriera, quale sarà il sogno che più di tutti vorresti vedere realizzato e quale potrebbe essere il piu grande rammarico?
« Immaginando la mia ultima partita, vorrei che fosse la partita decisiva di una promozione in un campionato qualsiasi, arrivando a quel risultato dando il massimo che posso dare in quel momento. Il mio più grande rammarico potrebbe essere quello di non aver continuato a giocare negli anni della serie B a Trani pensando che magari avrei potuto arrivare a giocare anche in B1 chissà..ma col senno di poi…chi può dire di aver fatto la scelta giusta o sbagliata. Negli anni in cui ho lasciato la pallavolo mi sono arricchita culturalmente facendo altre esperienze che non avrei potuto vivere se fossi stata impegnata nella pallavolo..ho studiato, ho conseguito altri titoli universitari, ho viaggiato, fatto volontariato, ho intrapreso un lavoro che adoro..forse se avessi continuato a giocare anche a livelli più alti oggi farei di lavoro la giocatrice di pallavolo, ma con scarse prospettive professionali per il futuro. Quindi non so se è giusto parlare in questi termini di rammarico. L'importante nella vita è fare sempre ciò che si sente e ciò che piace.. e quindi io gioco nell'Axia volley Barletta!».
Intervista di Nicola Ricchitelli