“Venti del Neolitico”: Manfredonia valorizza l’archeologia di Barletta
Nota di Doronzo e Muntoni. «Patrimonio ignorato dalle precedenti Amministrazioni»
sabato 13 luglio 2013
Il 21 giugno scorso si è inaugurata presso il Museo Nazionale Archeologico di Manfredonia, allestito nei locali del Castello Svevo, la mostra "Venti del Neolitico. Uomini del Rame", promossa ed organizzata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, con il coordinamento scientifico della dott.ssa Anna Maria Tunzi, direttrice del museo.
Per l'occasione scrivono una nota Pietro Doronzo e Italo M. Muntoni: «Particolare motivo d'interesse della mostra risiede nel fatto che sono esposti, in alcuni casi per la prima volta, anche reperti provenienti dal territorio di Barletta, inseriti a testimoniare quella fitta rete di contatti che, sia nel Neolitico sia nell'Età del Rame, lega il comprensorio ofantino al Tavoliere e al Subappennino Daunio.
Nella sezione "Al tempo della Dea" è esposta la statuetta femminile in argilla del Neolitico medio (metà VI millennio a.C.) proveniente dalla Cittadella di Canne, rinvenuta fuori strato nell'area delle Basiliche, ma certamente riferibile al preesistente insediamento neolitico sulla cittadella. L'esemplare rimanda alle raffigurazioni antropomorfe del Neolitico meridionale attestate sulla ceramica sin dalle fasi più antiche, sia a rilievo sia con raffigurazioni incise o dipinte, a riprova dell'ampia circolazione d'idee e modelli, trovando appunto i confronti più prossimi con le due statuette del Neolitico medio di Passo di Corvo nel Tavoliere, anch'esse esposte nella stessa sezione.
Nella vetrina "Abili ceramisti", di straordinaria bellezza è il vaso di facies Serra d'Alto (prima metà del V millennio a.C.), dipinto con motivi meandro–spiralici e due coppie di protomi zoomorfe a testa d'ariete, di oltre 30 cm di altezza, rinvenuto nel 2000 nella struttura a silos di Canne, località San Giovanni/Setteponti, durante l'intervento di scavo per la realizzazione del gasdotto Snam Borgo Mezzanone – Barletta. Dallo stesso insediamento, ma proveniente dalla raccolta Savasta, è un'olletta miniaturistica, di 5 cm di altezza, con inciso simmetricamente ai lati sulla spalla un motivo ad uncino, vasetto che rientra in una tipica categoria di piccoli contenitori pregiati destinati al rituale funerario e cultuale.
Passando invece all'area immediatamente prospiciente la foce dell'Ofanto, caratterizzata anch'essa nel Neolitico dalla sistematica e diffusa presenza di piccoli villaggi di capanne, abitati da agricoltori e da allevatori, posti a distanze piuttosto regolari tra loro, sono esposti materiali provenienti sia dal grande abitato in località San Lazzaro, ubicato su un terrazzo fluviale a 13 m s.l.m., a breve distanza (meno di 1 km) dall'attuale corso del fiume Ofanto, e sia da quello, più arretrato rispetto alla zona litoranea, di Pozzillo, anch'esso localizzato su un terrazzo fluviale, ad una quota di ca. m 20, inciso da un corso d'acqua riferibile al bacino del Canale Campanile.
Dall'abitato di San Lazzaro, e provenienti dalla raccolta Savasta, sono esposte nelle sezioni "Volti d'argilla" e "Abili ceramisti" cinque prese e protomi, di cui due zoomorfe, anch'esse databili alla facies Serra d'Alto (prima metà del V millennio a.C.). Particolarmente significativa è, infine, la presentazione per la prima volta al pubblico, nella sezione "L'oro del Gargano", delle 18 lame in selce, alcune anche di grandi dimensioni (fino ad una lunghezza di cm 28), provenienti dal sito di Pozzillo. Tali reperti furono consegnati per iniziativa della sede di Barletta di Archeoclub d'Italia alla Soprintendenza archeologica, insieme a due grandi contenitori in ceramica impressa, parzialmente ricomposti e provenienti dallo stesso sito, attualmente esposti al Museo Archeologico Nazionale di Altamura.
Il gruppo di lame, in selce di provenienza dal Gargano, è presumibilmente riferibile ad un unico "ripostiglio", come confermato dal tipo di selce che sembra essere pertinente in gran parte ad uno stesso nucleo. Analoghi ritrovamenti di gruppi di grandi lame sono stati effettuati nel Tavoliere a Masseria Candelaro e a Passo di Corvo e testimoniano il grande valore che gli uomini del Neolitico e dell'Età del Rame riservavano ad una materia prima, quale la selce appunto, con cui si realizzavano tutti gli strumenti di uso quotidiano per tagliare, incidere, bucare e grattare. Proprio il Gargano è una delle aree più ricche a livello geologico di selce e sin dal Neolitico sorsero le più antiche miniere d'Europa per l'estrazione della selce, presente in strati continui (liste) o noduli isolati, spesso di grandi dimensioni.
L'invito per i cittadini è certamente quello di recarsi a visitare la mostra, anche, ma non solo, per conoscere e fruire di alcuni degli straordinari reperti archeologici di cui il territorio della nostra città è ricco. Questo stesso patrimonio – conclude la nota - invece è stato sistematicamente ignorato dalle passate Amministrazioni Comunali che non si sono mai curate di garantire una pubblica fruizione, non solo dei materiali archeologici di proprietà statale relativi alla storia del territorio e della città di Barletta, dalla preistoria all'età medievale, ma anche di quelli di proprietà comunale un tempo esposti a Palazzo San Domenico. Fruizione che solo la realizzazione di un vero Museo Civico Archeologico nel Castello Svevo avrebbe permesso! Ma questa è un'altra (ormai vecchia) storia che la recente inaugurazione del Lapidarium, nelle sale del Castello che sarebbero dovute essere destinate proprio ai reperti che ora sono esposti a Manfredonia (e ad Altamura), ha relegato nel libro dei sogni di questa città…»
Per l'occasione scrivono una nota Pietro Doronzo e Italo M. Muntoni: «Particolare motivo d'interesse della mostra risiede nel fatto che sono esposti, in alcuni casi per la prima volta, anche reperti provenienti dal territorio di Barletta, inseriti a testimoniare quella fitta rete di contatti che, sia nel Neolitico sia nell'Età del Rame, lega il comprensorio ofantino al Tavoliere e al Subappennino Daunio.
Nella sezione "Al tempo della Dea" è esposta la statuetta femminile in argilla del Neolitico medio (metà VI millennio a.C.) proveniente dalla Cittadella di Canne, rinvenuta fuori strato nell'area delle Basiliche, ma certamente riferibile al preesistente insediamento neolitico sulla cittadella. L'esemplare rimanda alle raffigurazioni antropomorfe del Neolitico meridionale attestate sulla ceramica sin dalle fasi più antiche, sia a rilievo sia con raffigurazioni incise o dipinte, a riprova dell'ampia circolazione d'idee e modelli, trovando appunto i confronti più prossimi con le due statuette del Neolitico medio di Passo di Corvo nel Tavoliere, anch'esse esposte nella stessa sezione.
Nella vetrina "Abili ceramisti", di straordinaria bellezza è il vaso di facies Serra d'Alto (prima metà del V millennio a.C.), dipinto con motivi meandro–spiralici e due coppie di protomi zoomorfe a testa d'ariete, di oltre 30 cm di altezza, rinvenuto nel 2000 nella struttura a silos di Canne, località San Giovanni/Setteponti, durante l'intervento di scavo per la realizzazione del gasdotto Snam Borgo Mezzanone – Barletta. Dallo stesso insediamento, ma proveniente dalla raccolta Savasta, è un'olletta miniaturistica, di 5 cm di altezza, con inciso simmetricamente ai lati sulla spalla un motivo ad uncino, vasetto che rientra in una tipica categoria di piccoli contenitori pregiati destinati al rituale funerario e cultuale.
Passando invece all'area immediatamente prospiciente la foce dell'Ofanto, caratterizzata anch'essa nel Neolitico dalla sistematica e diffusa presenza di piccoli villaggi di capanne, abitati da agricoltori e da allevatori, posti a distanze piuttosto regolari tra loro, sono esposti materiali provenienti sia dal grande abitato in località San Lazzaro, ubicato su un terrazzo fluviale a 13 m s.l.m., a breve distanza (meno di 1 km) dall'attuale corso del fiume Ofanto, e sia da quello, più arretrato rispetto alla zona litoranea, di Pozzillo, anch'esso localizzato su un terrazzo fluviale, ad una quota di ca. m 20, inciso da un corso d'acqua riferibile al bacino del Canale Campanile.
Dall'abitato di San Lazzaro, e provenienti dalla raccolta Savasta, sono esposte nelle sezioni "Volti d'argilla" e "Abili ceramisti" cinque prese e protomi, di cui due zoomorfe, anch'esse databili alla facies Serra d'Alto (prima metà del V millennio a.C.). Particolarmente significativa è, infine, la presentazione per la prima volta al pubblico, nella sezione "L'oro del Gargano", delle 18 lame in selce, alcune anche di grandi dimensioni (fino ad una lunghezza di cm 28), provenienti dal sito di Pozzillo. Tali reperti furono consegnati per iniziativa della sede di Barletta di Archeoclub d'Italia alla Soprintendenza archeologica, insieme a due grandi contenitori in ceramica impressa, parzialmente ricomposti e provenienti dallo stesso sito, attualmente esposti al Museo Archeologico Nazionale di Altamura.
Il gruppo di lame, in selce di provenienza dal Gargano, è presumibilmente riferibile ad un unico "ripostiglio", come confermato dal tipo di selce che sembra essere pertinente in gran parte ad uno stesso nucleo. Analoghi ritrovamenti di gruppi di grandi lame sono stati effettuati nel Tavoliere a Masseria Candelaro e a Passo di Corvo e testimoniano il grande valore che gli uomini del Neolitico e dell'Età del Rame riservavano ad una materia prima, quale la selce appunto, con cui si realizzavano tutti gli strumenti di uso quotidiano per tagliare, incidere, bucare e grattare. Proprio il Gargano è una delle aree più ricche a livello geologico di selce e sin dal Neolitico sorsero le più antiche miniere d'Europa per l'estrazione della selce, presente in strati continui (liste) o noduli isolati, spesso di grandi dimensioni.
L'invito per i cittadini è certamente quello di recarsi a visitare la mostra, anche, ma non solo, per conoscere e fruire di alcuni degli straordinari reperti archeologici di cui il territorio della nostra città è ricco. Questo stesso patrimonio – conclude la nota - invece è stato sistematicamente ignorato dalle passate Amministrazioni Comunali che non si sono mai curate di garantire una pubblica fruizione, non solo dei materiali archeologici di proprietà statale relativi alla storia del territorio e della città di Barletta, dalla preistoria all'età medievale, ma anche di quelli di proprietà comunale un tempo esposti a Palazzo San Domenico. Fruizione che solo la realizzazione di un vero Museo Civico Archeologico nel Castello Svevo avrebbe permesso! Ma questa è un'altra (ormai vecchia) storia che la recente inaugurazione del Lapidarium, nelle sale del Castello che sarebbero dovute essere destinate proprio ai reperti che ora sono esposti a Manfredonia (e ad Altamura), ha relegato nel libro dei sogni di questa città…»