Un eroe silenzioso: la testimonianza di Gaetano Pavone, soldato vittima del dovere in Bosnia
La nota del presidente di Anmig Ruggiero Graziano
lunedì 23 dicembre 2024
13.46
Nel dicembre del 1994, a soli 20 anni, Gaetano Pavone veniva chiamato al servizio di leva presso la caserma Stella di Barletta. Assegnato al ruolo di aerologista, aveva il compito di coordinare l'artiglieria pesante M109, raccogliendo dati meteorologici essenziali per garantire precisione nei bersagli. Un incarico tecnico che ben presto lo avrebbe portato lontano dall'Italia, in una missione di pace dal volto complesso: Sarajevo, Bosnia, gennaio 1996.
L'impatto con la guerra
"Sapevamo poco della situazione in Bosnia, se non che la guerra civile era terminata grazie agli accordi di Dayton. Tuttavia, arrivare lì fu uno shock: a pochi chilometri dall'Italia c'era un mondo che non aveva più niente per sopravvivere". Pavone racconta le difficoltà di operare in condizioni estreme, dove le mine antiuomo disseminate sul territorio imponevano movimenti attentamente pianificati.
Nonostante tutto, non mancava il coraggio: "Non ho mai avuto paura. Era naturale andare, senza cercare scorciatoie. Sapevamo che il nostro scopo era contribuire alla stabilità e alla sicurezza del nostro Paese".
L'ombra della contaminazione
Ma ciò che Pavone non poteva immaginare era il rischio invisibile che aleggiava sopra di lui: l'esposizione all'uranio impoverito, utilizzato nei proiettili durante il conflitto. "All'epoca non si sapeva nulla. Nessuno ci informò". Solo anni dopo, a seguito di un malore improvviso e di diagnosi errate, la verità emerse. Una biopsia epatica rivelò livelli anomali di metalli pesanti nel suo fegato, confermando l'esposizione.
Una battaglia personale e burocratica
Il percorso verso il riconoscimento come vittima del dovere fu lungo e tortuoso, iniziato nel 2008 e conclusosi solo nel 2024. Nel frattempo, Pavone affrontò gravi interventi chirurgici, tra cui un trapianto di fegato e l'asportazione della tiroide. "Sono stati anni difficili, ma il sostegno della mia famiglia, e soprattutto di mia moglie, mi ha dato la forza di superare tutto".
Oggi, con orgoglio, Gaetano Pavone è iscritto all'Associazione Nazionale tra Mutilati e Invalidi di Guerra (ANMIG), un'istituzione che da oltre un secolo rappresenta e tutela i diritti di chi ha sacrificato la propria salute e la propria vita per il bene del Paese. Il riconoscimento ufficiale come vittima del dovere è stato per lui una conquista, ma anche un simbolo di giustizia per le difficoltà e il dolore affrontati lungo il cammino.
Il valore della pace nel mondo
Nel riflettere sulla sua esperienza, Pavone sottolinea un concetto fondamentale: il valore universale della pace. "Essere lì, in una terra devastata dalla guerra, mi ha insegnato quanto sia fragile l'equilibrio del mondo e quanto sia necessario preservare la pace con ogni mezzo possibile. Ogni missione, ogni sacrificio, non è solo per proteggere il nostro Paese, ma per garantire un futuro migliore, libero da conflitti".
Il suo impegno in Bosnia, come quello di tanti altri, rappresenta un piccolo ma importante tassello nella costruzione di un mondo più stabile e sicuro. "La pace non è mai scontata, è una conquista quotidiana che richiede sacrifici, comprensione reciproca e solidarietà".
Un messaggio di speranza
Oggi, Gaetano Pavone guarda al passato con orgoglio e amarezza. "Il riconoscimento come vittima del dovere è gratificante, ma non ripaga gli anni perduti tra i 30 e i 45 anni, un periodo che non ho mai vissuto veramente". Il suo messaggio alle generazioni future è chiaro: "Chi sacrifica la propria vita per gli altri merita rispetto. È fondamentale che le missioni all'estero siano percepite come un sacrificio per garantire sicurezza in Italia e contribuire alla pace globale".
Concludendo, Pavone lancia un invito a non arrendersi mai: "Il motto deve essere sempre non mollare mai. È con sacrificio e voglia di vincere che possiamo costruire un futuro migliore".
Custodire la memoria
Questo articolo è stato pensato dal Cav. Ruggiero Graziano, Presidente dell'ANMIG – Sezione di Barletta, per divulgare il sacrificio di tantissimi ragazzi tornati da missioni di pace con infermità fisiche e psicologiche. La testimonianza di Gaetano Pavone è un monito e un tributo ai tanti uomini e donne che, spesso nell'ombra, hanno dato tutto per il bene collettivo. La sua storia ci ricorda che la pace non è solo assenza di guerra, ma un impegno costante per garantire dignità e sicurezza per tutti. Un ricordo che deve restare vivo per garantire consapevolezza e rispetto per chi si è speso in nome della pace.
L'impatto con la guerra
"Sapevamo poco della situazione in Bosnia, se non che la guerra civile era terminata grazie agli accordi di Dayton. Tuttavia, arrivare lì fu uno shock: a pochi chilometri dall'Italia c'era un mondo che non aveva più niente per sopravvivere". Pavone racconta le difficoltà di operare in condizioni estreme, dove le mine antiuomo disseminate sul territorio imponevano movimenti attentamente pianificati.
Nonostante tutto, non mancava il coraggio: "Non ho mai avuto paura. Era naturale andare, senza cercare scorciatoie. Sapevamo che il nostro scopo era contribuire alla stabilità e alla sicurezza del nostro Paese".
L'ombra della contaminazione
Ma ciò che Pavone non poteva immaginare era il rischio invisibile che aleggiava sopra di lui: l'esposizione all'uranio impoverito, utilizzato nei proiettili durante il conflitto. "All'epoca non si sapeva nulla. Nessuno ci informò". Solo anni dopo, a seguito di un malore improvviso e di diagnosi errate, la verità emerse. Una biopsia epatica rivelò livelli anomali di metalli pesanti nel suo fegato, confermando l'esposizione.
Una battaglia personale e burocratica
Il percorso verso il riconoscimento come vittima del dovere fu lungo e tortuoso, iniziato nel 2008 e conclusosi solo nel 2024. Nel frattempo, Pavone affrontò gravi interventi chirurgici, tra cui un trapianto di fegato e l'asportazione della tiroide. "Sono stati anni difficili, ma il sostegno della mia famiglia, e soprattutto di mia moglie, mi ha dato la forza di superare tutto".
Oggi, con orgoglio, Gaetano Pavone è iscritto all'Associazione Nazionale tra Mutilati e Invalidi di Guerra (ANMIG), un'istituzione che da oltre un secolo rappresenta e tutela i diritti di chi ha sacrificato la propria salute e la propria vita per il bene del Paese. Il riconoscimento ufficiale come vittima del dovere è stato per lui una conquista, ma anche un simbolo di giustizia per le difficoltà e il dolore affrontati lungo il cammino.
Il valore della pace nel mondo
Nel riflettere sulla sua esperienza, Pavone sottolinea un concetto fondamentale: il valore universale della pace. "Essere lì, in una terra devastata dalla guerra, mi ha insegnato quanto sia fragile l'equilibrio del mondo e quanto sia necessario preservare la pace con ogni mezzo possibile. Ogni missione, ogni sacrificio, non è solo per proteggere il nostro Paese, ma per garantire un futuro migliore, libero da conflitti".
Il suo impegno in Bosnia, come quello di tanti altri, rappresenta un piccolo ma importante tassello nella costruzione di un mondo più stabile e sicuro. "La pace non è mai scontata, è una conquista quotidiana che richiede sacrifici, comprensione reciproca e solidarietà".
Un messaggio di speranza
Oggi, Gaetano Pavone guarda al passato con orgoglio e amarezza. "Il riconoscimento come vittima del dovere è gratificante, ma non ripaga gli anni perduti tra i 30 e i 45 anni, un periodo che non ho mai vissuto veramente". Il suo messaggio alle generazioni future è chiaro: "Chi sacrifica la propria vita per gli altri merita rispetto. È fondamentale che le missioni all'estero siano percepite come un sacrificio per garantire sicurezza in Italia e contribuire alla pace globale".
Concludendo, Pavone lancia un invito a non arrendersi mai: "Il motto deve essere sempre non mollare mai. È con sacrificio e voglia di vincere che possiamo costruire un futuro migliore".
Custodire la memoria
Questo articolo è stato pensato dal Cav. Ruggiero Graziano, Presidente dell'ANMIG – Sezione di Barletta, per divulgare il sacrificio di tantissimi ragazzi tornati da missioni di pace con infermità fisiche e psicologiche. La testimonianza di Gaetano Pavone è un monito e un tributo ai tanti uomini e donne che, spesso nell'ombra, hanno dato tutto per il bene collettivo. La sua storia ci ricorda che la pace non è solo assenza di guerra, ma un impegno costante per garantire dignità e sicurezza per tutti. Un ricordo che deve restare vivo per garantire consapevolezza e rispetto per chi si è speso in nome della pace.