Tommy Dibari: «Ogni mio lavoro parte da Barletta»

La passione per la scrittura e la terra pugliese raccontata a BarlettaViva

domenica 28 dicembre 2014
A cura di Floriana Doronzo
Oltre a scrittore, copy pubblicitario, autore televisivo e teatrale, lo si potrebbe definire un geografo moderno; Tommy Dibari, abile scrittore della sua terra, porta le sue radici nella sua stessa firma. Tuttavia, non gli sono mancati i voli verso Mezzanotte, quelli che gli hanno permesso di lavorare al fianco di Antonio Ricci e di pubblicare i suoi libri prima con Rizzoli e ora con Cairo Editori. Sincronizzate le monadi della "barlettanità", lo abbiamo incontrato a seguito di una sua lezione, per estrapolare qualche curiosità dalle sue parole, che sono il suo lavoro.

Tre anni fa, ai microfoni di BarlettaViva, hai detto che la scrittura è l'ultimo atto dopo l'idea, l'intesa di squadra o l'ok di una produzione. Una sfida a una penna impaziente o un invito all'immaginazione?
«Questo non lo dico io, ma lo ha detto il premio Strega Niccolò Ammaniti ed è quello che penso fermamente, al punto che consiglio ai miei studenti di non prendere subito la penna in mano. La scrittura è composizione di idee: ci si serve di pensieri, magari scritti sui post-it sparsi e che solo in un secondo momento vengono ordinati e scritti fino a formare un abito di sartoria. Scegli la misura, il tessuto e gli dai il taglio che più ti sta bene addosso, lavorando ad ogni modo di fantasia, di quell'immaginazione indispensabile per chi vive di creazioni. Io non credo al racconto di un fatto, perché ogni vicenda è l'incontro tra verità e rielaborazione della verità. Quando chiedo ai miei ragazzi quale sia l'immagine che hanno in mente dopo la visione di un film, non voglio l'immagine del film che più li ha colpiti, ma l'immagine rielaborata da loro e scaturita dal film. Questo significa partorire, creare, dare alla luce una nuova visione delle cose a partire da un dato reale».

Libri, tv, teatro, pubblicità: in che misura il tuo mestiere ti costringe a modellare i linguaggi?
«Certamente i linguaggi teatrali, televisivi e pubblicitari hanno sfumature diverse, pur appartenendo alla gamma cromatica della scrittura audiovisiva. Quello pubblicitario, per esempio, richiede rapidità nel pensiero e nell'esecuzione, quindi non dobbiamo puntare alla lunghezza narrativa, ma a un'efficacia del tempo. Il teatro credo che sia la massima ambizione per uno scrittore; avevo 27 anni quando una mia commedia "Gravidanze" è stata rappresentata al Politeama di Lecce ed è stata una gioia incommensurabile per me vedere che il mio nome era l'unico vivente tra tutti gli autori passati a miglior vita. Per quanto riguarda la dimensione dei libri, è come tornare nel ventre della propria madre e avere quel non pensiero in una dimensione amniotica. Mentre scrivo mi sento come un pesce in un acquario, un'esistenza in potenza che vive di calore ed emozioni che si consumano nello stesso spazio in cui vengono concepite. La scrittura è un ritorno ancestrale a questa dimensione».

Durante le tue lezioni con gli adulti, i bambini, i detenuti e nei Csm, quanto ti senti ladro e quanto appartamento da saccheggiare?
«Be, entrambe le cose. Io mi sento un Robin Hood, quindi se devo identificarmi nella categoria dei ladri, mi dichiaro un furfante gentiluomo; rubo e lo dichiaro. Rendo consapevoli di questo rapimento i bambini, gli studenti, i ragazzi dei centri di salute mentale e i detenuti, con i quali ho lavorato benissimo presso il Supercarcere di Trani più di dieci anni fa. Alcune cose di quelle che rubo, come se fossero le tessere di un mosaico, non le reinserisco in un modello predefinito; piuttosto conferisco loro un'altra forma e mi ci ritrovo dentro, come un dipinto di Jean Michelle Basquiat».
Tommy Dibari e il suo studio a Barletta

Barletta: un amore connaturato, ma tramontabile? Quali sono le peculiarità della piazza da punto di vista comunicativo e culturale?
«Ogni mio lavoro parte da Barletta: è la città della prima pagina del mio primo libro (edito da Rizzoli nel 2007) con la pizzeria Il Mulinello; così come in "Non ho tempo da perdere" e in quello che sto scrivendo adesso. Barletta è la costante dei miei scritti e la porto con me in ogni presentazione in Italia e all'estero, come ad esempio Bruxelles. La mia terra c'è, ma non sempre vado d'accordo con alcuni barlettani che sarebbero disposti a perdonarmi un omicidio, ma non il fatto che sono bravo. Barletta è una città di pochissimi artisti e molti improvvisati, e ci sono persone che hanno speso tantissimi soldi per formarsi all'estero, per poi tornare qui e raccattare le sorti da artista. Con modestia e onestà intellettuale, posso dire che per me gli artisti barlettani vanno da Piripicchio a Gino Pastore, fino a quelli meno noti ma molto validi, come il pittore Luigi Lanotte e l'attore Dino Paciolla».

Nonostante i tuoi approdi settentrionali, sei rimasto qui con la tua famiglia e i tuoi progetti. C'è ancora terreno fertile al di qua dei muretti a secco?
«Ma certamente! Mai come oggi, la Puglia sta vivendo un momento di grande spessore artistico e il suo panorama cultuale è in continua evoluzione. Tuttavia, non so quanto sia stata la Puglia a determinare questi artisti o quanto sia stato il contributo culturale di questi a determinare l'immagine della Puglia, che oggi tutto il mondo ci invidia. Io penso di essere tra queste persone, o almeno è quello che mi riconoscono nelle altre regioni. Ricordo che all'indomani della pubblicazione di "La Cambusa-storie d'amore e di altre malattie", ricevetti una lettera privata dal sindaco Emiliano, con la quale mi ringraziava per lo scenario pugliese che avevo offerto nel libro e che, grazie a Rizzoli, poteva essere esportato in tutto il mondo. E' sempre difficile parlare di queste cose: il margine di opportunità che è concesso a noi figli di nessuno è sempre più ristretto. Il sistema tutto italiano "amici degli amici" ci soffoca, ma quando riusciamo a sottrarci la soddisfazione è grandissima».

Come procede con Rino, il ragazzo della carne?
«Alla grandissima! Lo vedo tutti i giorni. Barletta continua ad essere l'epicentro di ogni mio lavoro e in questo-in particolare-ritrovo molto della mia gioventù. Da adolescente ho frequentato la parrocchia di Sant'Andrea e sono stato allievo di quel grande scrittore, attore, regista, artista vero che è Don Gino Spadaro, il mio mentore in tante cose, un vero maestro di vita. Con lui facevamo teatro con i ragazzi del centro storico; ragazzi poveri, pieni di vita e Rino è un omaggio a quel tempo. Questo racconto, da cui sarà tratto un musical, è ambientato nella Barletta degli anni '80: la Barletta che tifa per la sua Italia ai mondiali di Spagna, la Barletta che muore povera ammazzata dall'eroina. E ho voluto riportare in scena il centro storico della nostra città, che oggi si è imborghesito con gli american pubs e i ristoranti orientali; il centro storico di Rino recupera la sua identità, ri-diventa regno delle autentiche tradizioni delle nostre nonne».

A Luglio hai ricevuto la medaglia del senato per il doppiaggio; a quando l'uscita del prossimo libro e della serie web?
«Proprio questa mattina ho sentito il Dott. Marco Garavaglia, vice direttore Cairo Editori. Per me è un fratello, mi ha preso per mano durante questo percorso e ha creduto da subito in "Sarò vostra figlia se mi fate mangiare le zucchine", che uscirà a Febbraio- Garavglia permettendo. Sulla serie web ci sono due percorsi: uno sulla rete con degli editoriali mordaci, graffianti, ironici e l'altro con Domenico De Pasquale, il Mingo di Striscia la Notizia, che sta partendo con una serie molto carina, in cui parliamo con i politici attivi nella vita pubblica, trattandoli da morti e collocandoli nel loro loculo. Il primo di questi è Antonio De Caro, sindaco di Bari».

Tre nomi di bravi confezionatori viventi di prodotti culturali
«Oliviero Toscani, Oscar Iarussi e Don Ciotti».

2014: il tuo bilancio. 2015: le tue previsioni.
«E' stato forse l'anno più bello della mia vita. Sono ormai due anni che scrivo da solo e questo è il mio primo romanzo da solista. Poi ci sono i miei quarant'anni, mia figlia, il lavoro così spalmato su più fronti a farmi rendere conto della pienezza raggiunta dalla mia vita. Eppure manca la mancanza; quella nostalgia di cose non vissute, il profumo di rose non colte. Ma io ho bisogno anche di questo, di unire le poesie jaku con le frittelle di mia suocera, di sorridere alla malinconia per trovare l'equilibro che non contempla linee di demarcazione. Il contatto con i ragazzi a rischio dispersione scolastica e con fragilità psichiche mi ha fatto maturare una forte consapevolezza sulla stra-ordinarietà della vita di ogni essere umano. I cosiddetti "normali" sono persone con patologie serie, non ancora diagnosticate; per il 2015 continuerò la mia ricerca di persone autentiche».